Editoriale

Epicrisi 461. Impermanenza, bellezza e… l’isola

di Enzo Di Giovanni

In Ponza Racconta convivono più anime. A voler guardare dall’alto di un ipotetico occhio esterno i pezzi scritti e commentati questa settimana, noteremmo addirittura un solco, una faglia a dividere due mondi.
Perché l’isola è anche questo: la coesistenza inconciliabile tra la natura ed i bisogni reali da un lato; le attività umane e le speculazioni che da esse derivano dall’altro.

Ho sempre pensato che le isole, grandi o piccole, fossero per definizione luoghi senza frontiere, senza confini.
Penso di essermi sbagliato: un confine c’è, bello grosso, una sorta di filtro caotico con il mondo di fuori.
Il porto.
Chi è foresto, chi non conosce l’isola e in fondo non è interessato a conoscerla, si ferma al porto.
Apprezzandone la bellezza e la maestria architettonica dei costruttori del settecento, quando nella bella stagione approda tra i suoni, le luci e gli odori della vita.

Scoprendone magari, a seguire la cronaca giornalistica di questi giorni, criticità insospettate (!), quali la scarsa sicurezza del porto esposto ai venti del primo quadrante, e persino la vetustà e l’insufficienza del naviglio impiegato: vedi Ponza, all’indomani della tragedia sfiorata, e a seguire dalla stampa reazioni sull’incidente di Ponza, oppure il fermo della Motonave Quirino, oppure ancora su collegamenti marittimi, in cui si fa accenno alle risorse economiche possibili e necessarie.

Dal momento che queste criticità sono ben note da almeno una quarantina d’anni – ma esagero per difetto – da quando cioè con sempre crescente disagio i ponzesi si sono resi conto non solo delle esigenze di sicurezza ma anche della evidente sproporzione tra la portualità esistente e le esigenze della collettività, viene spontaneo chiedersi se questa condizione sia legata a problematiche insuperabili, o all’incapacità dei vari soggetti politico-istituzionali intervenuti nel tempo di farsi portavoce di istanze serie.

Oggi a Ponza è pressoché impossibile andare al mare perché non vi è spazio per ormeggiare un gozzo (ed infatti aumenta visibilmente la flotta dei natanti messi a morire nei terreni interni), e perché non vi sono più siti accessibili da terra per le note vicende legate all’assetto idrogeologico, ma tant’è…

Ovviamente, essendo l’argomento “caldo”, più persone hanno contribuito con una personale visione ad irrobustire il dibattito: Pasquale Scarpati esamina alcuni aspetti critici, quali la mancanza di concorrenza, la mancanza di incentivi economici per incentivare il flusso turistico in bassa stagione, auspicando l’attivazione di un “comitato permanente isolano” nel suo Collegamento & Trasporti.

Tonino Impagliazzo con le Riflessioni sul trasporto marittimo pone l’accento su come dovrebbero essere tratte e mezzi adeguati… ma, fuor di retorica, temiamo che la risposta migliore l’abbia data Silverio Lamonica: quando al pubblico si sostituisce il privato nel settore marittimo non si genera “sana” concorrenza ma piuttosto una spartizione di risorse che generano profitti: contributi pubblici, corse saltate con conseguenti risparmi di gestione, manutenzione e servizi scarsi, ecc.
Il Quirino, sotto questo aspetto, è diventato un manifesto eccellente, al netto delle problematiche emerse nell’incidente: gli interni trasformati per rendere più scomoda possibile la permanenza ai viaggiatori, mancanza di frigoriferi o persino semplici contenitori per merci, fino ad arrivare all’ascensore messo dopo anni di proteste… già, peccato che sia “finto”, perché non funziona.

Altre riflessioni sono quelle di Guido Del Gizzo a proposito del fatto che l’emergenza è una cosa seria, tanto seria da poter prevedere lo storno di più risorse unendo quote del PNRR al bando ministeriale.
Da un porto all’altro: Ponza, pubblicata la sentenza Tar su contenzioso Cala dell’Acqua. In allegato le 16 pagine della sentenza che riapre i giochi, per chi volesse approfondire la questione.

Ma c’è anche un altro modo di essere isola, dicevamo.
Nella serie di articoli pubblicati su Il Manifesto, di Autori diversi, riproposti da Sandro Russo sotto un titolo e filo conduttore comuni:  “Into the wild”. “Com’è stato che natura e uomo ‘civilizzato’ hanno preso strade diverse” – vi sono visioni che si sposano benissimo con l’isola che vi è al di qua del porto.

In Into the wild/9 attraverso il giardino-mondo si parla di giardini. A proposito di frontiera, il giardino è una metafora perfetta dell’invadenza tipicamente umana nella natura, del suo tentativo di controllare in maniera artificiosa il mondo. Giardini geometrici all’italiana, o “naturali” all’inglese, con sensibilità diverse in base al periodo storico.

Oggi, stretti tra le emergenze climatico-ambientali e la necessità non più di assoggettare la natura, ma di imparare a conviverci, del giardino abbiamo bisogno che ci racconti la biodiversità. Un giardino in cui dare valore all’estetica dell’imperfezione, all’impermanenza, concetti molto orientali, e molto di tendenza.

Ecco: l’impermanenza, mi sembra la parola chiave della settimana.
Cosa c’è di più isolano della fragilità del territorio – e dell’uomo che lo abita – dell’incessante lotta contro l’usura del tempo e della natura che riprende i propri spazi?
E della bellezza, del fascino di questo concetto, come ci racconta Giancarlo Giupponi col suo ultimo, stupendo video sul Faro della Guardia, unico tra i fari?

Francesco De Luca, sempre a proposito della vita sul faro, quando c’era una vita da raccontare: “nulla occorre di ciò che non si desidera – In mare nessuna voce, nessuna premura, nessuna ambascia che a terra opprime. In mare si fluttua e l’animo guarda in viso l’inconsistenza, l’inaffidabilità, la casualità dell’esistenza”.

In questo noi isolani siamo fortunati, se vogliamo. Possiamo fare a meno del desiderio dell’altrove, del bisogno del selvaggio di cui si parla in Into the wild/10. Lupo, perché noi siamo già altrove.

In Into the wild/12 Il ritorno alla natura si mette a fuoco il bisogno di fuggire, che molti viaggiatori inquieti hanno sperimentato soprattutto a partire dagli anni sessanta.
Trovo molto bello questo concetto: nessuno comprenderebbe davvero il motivo per cui una specie dovrebbe rintanarsi dentro agglomerati di sogni inespressi, gineprai separati da foreste e deserti, scogliere e grandi mari. «Ero venuta qui perché sentivo, in modo poco chiaro, che un giusto vivere non mi era possibile in città, da stipendiata, senza che potessi avere a che fare con la materia, senza che potessi affondare le mani nella sostanza. Mi sembrava che, fra me e il mondo, ci fosse un velo che mi impedisse di farne parte».
«Ho imparato di più sull’umanità dalle piante, dagli animali e dai paesaggi selvatici di quanto non abbia fatto stando accanto ad altri esseri umani».
A parlare è la scrittrice inglese Etain Addey, da Londra nella Valle di Gubbio.

Come non accostare questa storia di vita ad un’altra vita, completamente diversa ma simile, come la parabola umana di Gigi Riva.

Sardo, perciò isolano, per scelta.

Il penultimo Into the wild/11 la scoperta degli abissi in onda ci riguarda da vicino, non solo metaforicamente. Si parla del film diretto da Folco Quilici, Sesto continente, girato in alcune scene a Ponza, con tra i protagonisti Silverio Zecca, di cui abbiamo già parlato.

Anche in questo pezzo si parla della riscoperta della natura: partiti per esigenza di produzione e per le tendenze del periodo, primi anni ’50, l’impronta dell’opera è quella dell’uomo in grado di sottomettere la natura, persino quella più apparentemente diversa: il mare. Il percorso degli autori però è un viaggio di iniziazione, in cui l’approdo per Folco Quilici sarà ben diverso da quello prospettato nell’opera.

Riportiamo in cronaca, purtroppo, una tristissima notizia. Il nostro addio a Giuseppe e Silvia.
Notizia che ha addolorato molto tutta la redazione; personalmente conoscevo Silvia… non ho parole, un sentito abbraccio a tutti i suoi cari.

Ieri era il Giorno della Memoria.
Anche quest’anno non abbiamo fatto mancare il nostro contributo alla causa, per esercitare il gesto della memoria.
In libreria per il giorno della memoria, un’iniziativa della Feltrinelli con convegni e pubblicazioni in merito.
Storie della Shoah in Italia trasmesso su Rai Tre in cui si narrano le storie meno note dei Giusti, cioè di quelle persone che si adoperarono per salvare ebrei, rischiando la propria vita.
Pensieri per il 27 gennaio, in cui si mettono in evidenza i rischi connessi al negazionismo, esasperati dall’”informazione” – il virgolettato è voluto – in rete.

Di Guido Del Gizzo A sempiterna memoria di Kenneth Smith e Stanislav Petrov un articolo denuncia della nuova, ancora più barbara se possibile, forma di uccisione come pena, il soffocamento con l’azoto, che pone da sempre i democratici Stati Uniti nel novero dei paesi più retrogradi. Al contempo, un ricordo-omaggio di Stanislav Petrov, un militare sovietico di cui si parla poco, ma a cui dovremmo essere tutti molto grati per… non aver fatto niente!

Buona domenica a tutti

 

Immagine di copertina. Mario Carné e lo stone balancing (da:www.ecodibergamo.it)

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