Giovani

Israele – Hamas. Cosa sta succedendo nelle università americane?

segnalato da Tano Pirrone

.

L’opinione di un grande scrittore e giornalista  che aveva partecipato ai movimenti del ’68 nei Campus americani
Paul Berman (1949) è uno scrittore e saggista statunitense di orientamento liberal, professore di giornalismo alla New York University.

Paul-Berman (2018) [credit Beowulf Sheehan]

Lezioni dal ’68
E’ offensivo dover discutere degli slogan alla Columbia contro gli ebrei. La responsabilità dei prof.
di Paul Berman – Da Il Foglio del 30 apr. 2024

La mia esperienza come studente della Columbia University agli arresti ebbe luogo alla fine dell’aprile del 1968, nel corso di una grande rivolta nel campus. La rivolta era guidata, o almeno avviata, da un’organizzazione socialdemocratica radicale chiamata Students for a Democratic Society, o Sds, insieme alla Society of Afro-American Students, o Sas.
Poiché ero un esponente dell’Sds, trascorsi una settimana accampato nell’ufficio del rettore dell’università e anche altrove, cosa che consideravo un esercizio di cittadinanza rivoluzionaria. Le autorità preferirono considerarla una “violazione criminale”.
Così trascorsi la notte nella triste prigione di Manhattan nota come le Tombe, nella più squallida delle celle, assieme a un piccolo gruppo di altri trasgressori criminali, tra i circa 700 di noi che erano stati arrestati dal dipartimento di polizia di New York. E al mattino, quando tornai al mio dormitorio del campus, scoprii un ulteriore residuo dell’irruzione della polizia, oltre agli arresti di massa. C’erano grandi macchie di sangue scuro secco sul marciapiede. Furono esperienze importanti, soprattutto le macchie di sangue.

E oggi quelle esperienze mi portano a osservare la nuova ribellione studentesca della Columbia attraverso una lente di emozioni curiose e strane: dapprima divertito, quasi felice con spirito paterno, per un illuso mezzo minuto, e poi, mezzo minuto dopo, inorridito, dapprima a un livello semplice, in solidarietà con gli studenti ebrei molestati della Columbia, poi a un livello più profondo.

Nel 1968 gli adulti comprensivi dicevano a noi studenti radicali: “Sono d’accordo con i vostri fini ma non con i vostri mezzi”. Con questo intendevano applaudire i nostri nobili ideali e deplorare le nostre rivolte e i nostri disordini troppo violenti. Ma in questi giorni ho scoperto che le mie opinioni hanno preso una piega opposta. L’aspetto fosco delle proteste studentesche mi sembra anche adesso solo un problema secondario. Gli studenti vogliono occupare il prato? Non sarebbe così terribile, se alcuni di loro non insistessero nel perseguitare gli ebrei. Ma io mi sento in imbarazzo di fronte a quelli che sono chiaramente i fini. Nelle settimane successive al mio ritorno al campus della Columbia dalle Tombe, nel 1968, correvo per i cortili contribuendo a fomentare il nostro potente sciopero studentesco. E, mentre lo facevo, un professore dopo l’altro mi avvicinava sui marciapiedi di mattoni per arringarmi con lezioni sulla politica e sul passato.
Robert Gorham Davis, lo stimato critico letterario, mi rimproverò ripetutamente, e così fece David Sidorsky, il mio professore di Filosofia, tanto che, dopo un po’, mi resi conto di essere coinvolto in un lungo dibattito con quelle persone illustri. Si trattava di una discussione sulla Germania degli anni Trenta. I professori erano ossessionati dalla Germania e dalla sua storia, il che potrebbe sembrare strano nel contesto di uno sciopero studentesco nel 1968 a New York. Ma non c’era nulla di strano.
Nel 1968, la sconfitta dei nazisti era solo 23 anni alle nostre spalle, e l’èra della Seconda guerra mondiale e della catastrofe degli ebrei non era ancora definitivamente scomparsa nel passato – almeno, non agli occhi dei professori.
Volevano farmi capire che la sinistra tedesca degli anni Trenta non aveva compreso il pericolo del nazismo. Lo sciocco radicalismo di sinistra aveva contribuito a minare le università tedesche, che avrebbero dovuto essere un luogo di resistenza antinazista. Volevano che capissi, insomma, che ciò che le persone pensano di fare potrebbe non essere ciò che stanno facendo in realtà e che, in nome di alti ideali, la società potrebbe indebolirsi e potrebbe verificarsi il peggiore dei disastri.

Oggi il ricordo di quelle discussioni sui marciapiedi mi torna alla mente perché, ai miei occhi, è diventato impossibile sbagliarsi sul fatto che, storicamente parlando, l’epoca della Seconda guerra mondiale e le catastrofi di quei tempi non sono ancora terminate. E ai miei occhi è impossibile sbagliarsi sul fatto che, tra gli studenti radicali, le cose abbiano preso una piega errata.
Gli studenti – gli studenti di oggi, i migliori – si difenderanno spiegando che, se stanno occupando il South Lawn della Columbia e cantano e suonano i tamburi, è perché i coloni israeliani estremisti stanno opprimendo i palestinesi della Cisgiordania, il che è un punto giusto e degno di essere sollevato. Gli studenti sottolineeranno che, lanciando la sua risposta a Gaza, l’esercito israeliano ha finito per uccidere un numero immenso di civili, il che è altrettanto incontestabile. E il tentativo israeliano per schiacciare Hamas ha finito per imporre condizioni di carestia e una serie di cose terribili dopo l’altra, il che è tutto vero, orribile e spaventoso. Eppure bisogna riconoscere che, in ultima analisi, la questione centrale della guerra è Hamas e il suo obiettivo, che ultimamente sembra più realistico di quanto chiunque tra gli amici di Israele abbia immaginato negli ultimi anni. L’obiettivo è ed è sempre stato lo sradicamento dello stato israeliano. E gli studenti radicali della Columbia, anche se non tutti, hanno dimostrato che, a un certo livello, se non a tutti, comprendono e abbracciano l’obiettivo.

Ammetto che, quando gli studenti cantano “dal fiume al mare”, alcuni affermeranno di non sentire altro che una richiesta di diritti umani per i palestinesi. Gli studenti, alcuni di loro, potrebbero anche ingannarsi a metà su questo argomento. Ma è offensivo dover discutere di questi punti, così come è offensivo dover discutere del significato della bandiera confederata.
Lo slogan promette lo sradicamento. E’ uno slogan eccitante perché è trasgressivo, ed è per questo che gli studenti amano cantarlo. Ed è doppiamente scioccante vedere quante persone si affrettano a scusare gli studenti senza nemmeno soffermarsi sull’orrore insito nei canti.

La mia esperienza di studente (e, per un breve periodo, di prigioniero politico!) nel 1968 mi qualifica, credo, per offrire un’osservazione costruttiva all’amministrazione della Columbia. Minouche Shafik, la presidente dell’università, ha messo sotto controllo più di cento studenti radicali.
Nella sua testimonianza al Congresso, ha spiegato che due dei professori più estremisti sono stati rimproverati (“ho parlato con loro”), e un terzo “non insegnerà più alla Columbia”, come se trattare con tre professori e gli studenti indisciplinati risolvesse il problema. Ma questo mi preoccupa. Se fossi il padrone autocratico della Columbia University, sarei generoso, nonostante tutto, con gli studenti radicali, anche se mi fanno orrore.
Come potrei essere altrimenti, considerando che, più di mezzo secolo fa, io stesso non sono stato esente da quelli che potremmo definire momenti di eccesso? Li amnistierei tutti, tranne coloro che sembrano davvero una minaccia.
Ma mi rivolgerei con severità ai professori della Columbia – non solo a quelli che sembrano pazzi, ma anche a quelli che sembrano ragionevoli. Sono questi i professori che hanno creato un clima d’opinione disastroso alla Columbia. Sono i professori che sostengono che il massacro del 7 ottobre da parte di Hamas potrebbe essere plausibilmente considerato (cito una dichiarazione di ben più di cento professori della Columbia, alcuni dei quali molto brillanti, appena tre settimane dopo il massacro) “solo una salva in una guerra in corso tra uno stato occupante e il popolo che occupa”. Oppure il massacro potrebbe essere considerato “come un popolo occupato che esercita il diritto di resistere a un’occupazione violenta e illegale”.

Mi rivolterei contro questi professori perché sono convinto che, alla Columbia, i canti spaventosi e gli occasionali accenni di violenza da parte degli studenti in lacrime non siano in definitiva il problema. Il problema è la degenerazione intellettuale. Altrimenti, gli attacchi esistenziali agli ebrei, eufemisticamente invocati, non sarebbero in discussione. Mi rivolterei con rabbia contro i professori perché credo, in breve, che un’università dovrebbe essere un luogo di resistenza alle idee peggiori, e non un luogo di acquiescenza.
Questa è stata la mia lezione del 1968, impartitami da professori attenti che ricordavano gli anni Trenta, e che ripropongo agli amministratori della Columbia e ai professori più lucidi nel 2024 esattamente come farei se fossi io stesso in facoltà in questo momento, e mi fossi imbattuto in studenti brillanti e amati sui viali di mattoni rossi che erano andati fuori di testa, come a volte fanno gli studenti.

[di Paul Berman – Da Il Foglio del 30 apr. 2024]

Da vedere, proposto dalla redazione:

Fragole e sangue (The Strawberry Statement) è un film del 1970 diretto da Stuart Hagmann, tratto dal libro Fragole e sangue: diario di uno studente rivoluzionario di James Simon Kunen, vincitore del Premio della giuria del 23º Festival di Cannes.

Clicca per commentare

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top