Ricorrenze

Pensieri per il 27 gennaio

di Rosanna Conte

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Ascoltavo, qualche sera fa, Liliana Segre che discuteva con Corrado Augias dell’importanza di recuperare e conservare la memoria dell’orrore della Shoah, un unicum fra le tante efferatezze e i tanti orrori di cui è stato ed è capace l’essere umano.

Uno dei punti emersi dalla loro riflessione è stato come si fa a mantenere la memoria nelle generazioni successive quando i testimoni non ci saranno più.La mente umana è facile all’oblio e l’imperversare dell’urlo sguaiato della sopraffazione che caratterizza la comunicazione consentirà il dilagare del negazionismo, che già oggi, con i testimoni vivi, fa proseliti.
Quando in un futuro non certo lontano gli stessi racconti e filmati verranno ricacciati nell’invenzione artistica, rimarrà solo la scientificità del metodo storico a dimostrare che è accaduto davvero: degli esseri umani hanno negato l’umanità a propri simili, li hanno ridotti a non-viventi, li hanno sfruttati e annientati come cose.

La Storia sarà la grande custode, ma questa sua funzione è poco compresa. Entrata, come tutte le discipline, nel ring libero della discussione mediatica in cui ognuno ritiene di essere storico, medico, pedagogo o, comunque, esperto di qualsiasi ambito della conoscenza perché internet dà tutte le informazioni si presta a facili strumentalizzazioni.

Fino a qualche anno fa, questa giornata ci faceva riflettere sulla banalità del male, sul fondo dell’abisso a cui era arrivato l’essere umano con l’annientamento dei suoi simili in quanto non appartenenti al genere umano.
Oggi, accanto a tutto ciò, emerge la preoccupazione che oltre alle strumentalizzazioni legate a vicende contingenti, come adesso sta succedendo per le stragi nella striscia di Gaza, fra qualche anno possa esserci il colpo di spugna anche sulla Shoah.

Il negazionismo sminuisce, derubrica, e nel migliore dei casi paragona ciò che è unico ad altre stragi, ad altre persecuzioni, intanto la preoccupazione che possa succedere ancora qualcosa di simile è nelle cose.

Nel contesto storico in cui c’è stata la Shoah, il nazionalismo imperversava da decenni in Europa, l’impoverimento della popolazione in Germania conseguente alla sconfitta e alle gravi sanzioni apriva la strada al dilagare della xenofobia e delle teorie pseudo-scientifiche delle razze con l’affermazione della superiorità della razza ariana, l’orgoglio ferito alimentava il desiderio di vendetta e di rivincita, e la violenza sia fisica che verbale che la prima guerra mondiale aveva coltivato era diventata un’abitudine, inoltre la società di massa e la diffusione della radio consentivano alla propaganda di moltiplicare i suoi effetti in maniera esponenziale.
Questo è un quadro non certo esauriente, ma sufficiente per aiutarci a leggere l’oggi dove il sovranismo contrapposto alla globalizzazione, sceglie il suprematismo bianco come veicolo di propaganda, dove i social semplificando tutto disabituano all’articolazione del pensiero critico e trasformano con la violenza verbale il confronto in scontro, dove il leaderismo fa ritenere che tutto possa funzionare meglio se ci si affida ad uno solo, il capo, che dice parole d’ordine che arrivano alla pancia delle persone, per cui chi grida meglio è il capo giusto.

Questi elementi che caratterizzano il nostro oggi non aprono al nazismo e al fascismo come li abbiamo conosciuti storicamente: la storia non si ripete mai perché cambiano le società e i contesti. È come la serie di terremoti che si verificano prima di una eruzione vulcanica che non sappiamo quali caratteristiche avrà, ma certamente sono segnali che non promettono nulla di buono.

E anche i segnali del nostro oggi  preannunciano disastri. L’indifferenza alla sorte di coloro che fuggono da guerre e fame è già una verifica: se annegano in mare non è colpa nostra, è nelle cose così come lo era per quei tedeschi che sapevano della sorte degli ebrei ammassati come bestie nei treni che arrivavano nei campi di sterminio o che addirittura li compravano per farli lavorare nelle loro fabbriche e nelle cave, sfruttandoli fino alla morte.

Mathausen. I 186 scalini della “Scala della morte”. I deportati dovevano trasportare sulle spalle i massi scavati nella cava sottostante [Fonte: A.N.P.I. – Museo della Resistenza]

Il disastro non è solo la morte dei deboli, ma quello ancora più grave è il disastro che lo precede e lo rende possibile: lo scempio dell’animo umano, cioè la distruzione di quella essenza che distingue l’uomo dalle bestie. Eppure si ha l’improntitudine, propagandando l’esclusione se non l’odio, di fare grandi affermazioni di fede cristiana, declamate anche a gran voce (e su questo ci sarebbe molto da dire).

Noi non sappiamo fin dove possiamo esasperare questi aspetti pericolosi della società odierna, ma dovremmo stare molto attenti perché quando arriva la svolta è troppo tardi per tornare indietro.

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