Editoriale

Epicrisi 449. Horror vacui

di Enzo Di Giovanni

E’ vero, siamo in pieno autunno, con venti impetuosi e cicloni sempre più tropicali a spazzare via un’estate troppo lunga che si è trascinata fino a pochi giorni fa.

E’ ritornata l’ora solare, le giornate si accorciano sempre di più: insomma, a leggere gli articoli della settimana sembrerebbe proprio che si sia innescato quello stato d’animo noto come Disturbo Affettivo Stagionale (Seasonal Affective Disorder – SAD), che si manifesta ad ogni cambio di stagione, ma in particolare in questa.

Ma il fatto è che vi è poco da sorridere, e non per una forma depressiva indotta dal cambio di stagione.

Vi sono infatti onde cicliche ben più lunghe che non si affrontano cambiando semplicemente il guardaroba: e noi siamo immersi in una fase di recessione che si trascina almeno dal secondo dopoguerra, dopo l’illusione del boom economico.

Mi viene in mente un film che sintetizza forse meglio di qualsiasi altra opera artistica il nostro mondo: Il Sorpasso*, di Dino Risi.

Il vecchio mondo, fatto di povertà, ma anche e soprattutto di dignità, di conoscenza, di solidarietà: spazzato via in nome di un progresso senza etica.

Tutti elementi presenti in quella che dovrebbe essere una commedia, ma dal finale tragico, tanto più tragico perché ineluttabile fin dal titolo stesso: quel sorpasso che in nome del progresso, della produttività fine a se stessa conduce inevitabilmente ad un salto nel vuoto, alla morte, sociale prima che fisica.

Nel capolavoro visionario di Risi erano già presenti in nuce, pur essendo stato girato nel lontano 1962, i guasti in cui ci dibattiamo, a cominciare dalle crisi ambientali indotte dal consumismo.

Oggi, di visioni non ne abbiamo più. Al punto da aver sostituito l’U-topia con la dis-topia, talmente diffusa da creare un genere letterario e soprattutto cinematografico tra i più redditizi al botteghino.

Laddove l’utopia tende ad amplificare ciò che già c’è di buono nella nostra società, al punto da rendere realistici, non solo auspicabili ideali come la pace e la giustizia sociale, la distopia si prefigura come rappresentazione di un futuro altamente negativo, senza speranze.

Non è un caso che complottismo, fake news, alienazione dalla realtà siano fenomeni sempre più sviluppati, assolutamente moderni, perché non si ha, o se ne ha sempre meno, fiducia nel progresso.

Inchiesta sul cospirazionismo in Italia, e non solo (2) e (3) mette a nudo questo malessere: tutto è speculativo, non esistono buone idee o progetti sinceramente tesi al raggiungimento di una qualità della vita migliore e ad un mondo più giusto.

Non importa che la narrazione che fa da caposaldo alle varie congetture sia, nei migliori dei casi, palesemente assurda, inverosimile, come nei casi delle lobbies sataniche che rapiscono ed uccidono bambini, o della sostituzione etnica a base del piano Kalergi.

Anzi, avviene esattamente il contrario: tanto è più assurdo ed indimostrabile l’assunto, tanto più diventa credibile perché non spinge a nessun confronto o analisi costruttiva.

E’ alla portata di tutti, è ripetibile come un mantra, una preghiera.

Ed ecco che i migranti che scappano da guerre e povertà diventano “le risorse della Boldrini”, mistificando e storpiando ad arte un discorso pubblico dell’ex senatrice che diceva ben altro; le scie chimiche servono ad inquinare l’atmosfera, presumibilmente per rendere sterili i “maschi” europei e favorire il meticciato degli invasori africani, ed altre stupidaggini simili.

Che farebbero ridere, non fosse che ci troviamo, in Italia ed all’estero rappresentanti di queste “ideologie” nelle istituzioni pubbliche.

Un altro rovescio (è il caso di dire) della stessa medaglia è Il cortocircuito tra Halloween e l’orrore reale (1) (2) e (3).

In un mondo sempre più distopico dominato da fake e distorsioni mentali, il minimo che possa capitare è perdere contatto con la realtà.

Come giustamente dice Stefano Massini viviamo in un mondo che, da Gaza al Donbass trasforma l’orrore in una grande farsa. Purché a soffrire siano sempre gli altri. Perchè contiamo sull’alibi consolatorio di una lontananza – non solo geografica – Nessuno trema più. E non è una buona notizia.

Disinneschiamo la paura della morte, dell’ignoto, addobbandoci con simboli funerei durante Halloween, che lungi dall’ essere un ponte verso i defunti, celebra il trionfo della vacuità.

Allo stesso modo disinneschiamo l’orrore della guerra escludendo l’empatia ed il dolore di fronte alle stragi a Gaza, che è lontana ed assomiglia tanto ad un video game.

Persino ‘Ntunino, che ne ha viste tante, arriva a dire Noi italiani siamo avviliti perché non riusciamo a vedere, al nostro interno, uno sbocco credibile per mutare lo stato delle cose. Pesante, lento, inconcludente. Come la politica. Come la condizione morale della nostra società…

Ma forse è passato anche il momento della distopia, e sta avanzando un’altra idea che è quella della retrotopia, come l’ha definita Zygmunt Bauman, cioè l’incapacità di immaginare un futuro, averne paura e quindi essere spinti a guardare indietro, a cercare nel passato una zona di comfort.

Ci sono diverse chiavi di lettura, ovviamente.

Una è quella di gran voga, in cui il comfort è rappresentato da immagini rassicuranti: una scuola tradizionale, una religione tradizionale, una famiglia tradizionale, tolleranza zero, un pensiero unico.

Cosa significhino queste tradizioni non è dato sapere, dal momento che i campioni di questo corollario tutto fanno tranne che vivere nel solco della “tradizione”.

Ma il mondo non è rassicurante, e renderlo semplicistico, banalizzarlo a fini propagandistici lo rende ancora più pericoloso.

E’ il pensiero umanistico, che dovremmo recuperare.

Come quello di Italo Calvino, ritrovato in una intervista agli inizi degli anni ottanta e riportato in Non dimentichiamo l’anniversario del 25 ottobre: Esercitare la memoria, esercitarsi alla complessità, per combattere l’astrattezza del linguaggio e avere la coscienza della caducità di ciò che abbiamo.

Memoria, lucidità e pragmatismo, recuperare un senso del vivere: esattamente le cose che ci mancano per raddrizzare il timone del mondo.

Per finire, seguendo il fil rouge dell’epicrisi, un richiamo ad una bella serata a cui abbiamo partecipato, Sandro Russo, e io: la presentazione di un saggio di vita vissuta e di un libro di poesie del nostro amico Carlo Secondino.

Cito liberamente da Ci fa soffrire, l’Africa, ma possiamo scriverne e parlarne (1):

è la consapevolezza la cifra finale del libro che lo rende così vero al lettore l’Autore, uomo del Novecento che ha vissuto appieno la temperie culturale del suo tempo, si è fatto cambiare dall’Africa, da una cultura diversa dalla nostra. Ma anche alternativa?

Va sottolineato il messaggio fondamentale del libro: che l’Africa si salverà se non vorrà assomigliare troppo a noi, seguire le stesse scelte dell’Occidente, che di strada ne ha fatta tanta ma si ritrova, dopo secoli di sviluppo (non di progresso!), “ricco, opulento e disperato”.

Buona domenica.

 

NdR: l’immagine di copertina è un’opera di Keith Haring (1958-1990),  pittore, writer, genio contemporaneo che ha reso pop art e graffiti una vera e propria forma di evoluzione e rivoluzione culturale.
Per saperne di più si rimanda all’articolo Keith Haring: l’arte è vita, la vita è arte di Giuditta Avellina pubblicato su iconmagazine,it il 4 mggio 2022

Clicca per commentare

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top