Ricorrenze

Non dimentichiamo l’anniversario del 25 ottobre

di Guido Del Gizzo

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Ho letto “Il Barone Rampante” a quattordici anni, nel 1971, su suggerimento di un insegnante (bravo), prendendolo in prestito dalla biblioteca scolastica.

Fu una rivelazione: la disubbidienza lucida, determinata e creativa era nell’aria, in quegli anni e io l’avevo acquisita in pieno, mettendoci, evidentemente, una buona dose di predisposizione personale.

Calvino, non casualmente, ha trascorso gli ultimi anni della sua vita dalle mie parti, qui in Maremma che, negli anni ’80, era ancora simile a quell’Ombrosa che non c’è più, nell’ultimo paragrafo del suo libro.

Oltre ai libri, ricordo spesso un‘intervista rilasciata nel 1981, di cui allego il link: “le tre chiavi di Calvino per il 2000”.

Esercitare la memoria, esercitarsi alla complessità, per combattere l’astrattezza del linguaggio e avere la coscienza della caducità di ciò che abbiamo, sono i tre punti che lo scrittore citò, dopo averci pensato qualche momento: guardatevi il video, la scelta delle parole, le pause di riflessione e confrontatelo con la pochezza del dibattito culturale e politico contemporaneo e con i conduttori di talk show e i loro ospiti.

Ci sono indispensabili, oggi, l’esercizio della memoria, il senso delle parole e la complessità che servono a descrivere: mentre la caducità di ciò che abbiamo è diventata evidente nelle nostre vite, tra crisi ambientale e guerre.

Per Calvino però la caducità non ha un senso fatalista: al contrario, deve abituarci al cambio di prospettiva, alla ricerca di soluzioni innovative, a non temere le novità ed essere pronti ad interpretarle, come “una notte d’inverno un viaggiatore”.

La verità è che siamo stati troppo a lungo distratti.
Abbiamo assistito al degrado del nostro ambiente senza reagire. Ovunque, senza eccezioni: su Ponza si potrebbe scrivere un’enciclopedia.

Vogliamo parlare del senso dell’espressione “fare turismo”?
E, a parte Biagio Vitiello, quanti ponzesi ricordano le lavorazioni agricole sull’isola e la cultura che ne dipendeva?

Infine, che dire della democrazia?

In un film di Bertolucci, “Prima della rivoluzione”, c’è il maestro che spiega ai suoi alunni che “la democrazia è come la campagna, bisogna badarci tutti i giorni”: ebbene, i nostri campi sono finiti alle ortiche da parecchio tempo.

Abbiamo completamente perso non tanto i meccanismi di rappresentanza, quanto – ed è almeno altrettanto grave – la capacità di selezione dei quadri dirigenti.

Ricordo che da giovani scapestrati, iconoclasti e indisciplinati, negli anni ’70 sbeffeggiavamo i congressi del PCI, che si concludevano, dicevamo noi, con “sguardo verso l’infinito, sorriso e applauso sovietico ritmato a palmo rigido”: l’ironia di quegli anni è stata abbondantemente superata dalla realtà odierna.

Leader politici a “testa dritta, sguardo verso l’alto e sorriso”, oggi governano e si prendono maledettamente sul serio, con grande disprezzo del ridicolo.

A proposito di memoria, ripensando a qualche giorno fa, al 25 ottobre, mi viene in mente un’altra grande protagonista della nostra storia, ingiustamente sottovalutata e, spesso, dimenticata.

Giuditta Tavani Arquati era una patriota, di quando il termine aveva un significato reale: nata nel 1830, fu fra i difensori della Repubblica Romana nel ’49 e poi di quella di Venezia, lo stesso anno; aderì alla campagna garibaldina del 1867 per la liberazione di Roma, che le costò la vita, proprio il 25 ottobre 1867, insieme al figlio dodicenne, al marito e altre sedici persone.

Non sono sicuro che il Presidente del Consiglio sappia di chi stiamo parlando, ma sarebbe una perfetta “testimonial del concept” femminile meloniano: imprenditrice, coraggiosa, religiosa e madre di nove figli, verrà trucidata nel Lanificio Ajani, in via della Lungaretta a Trastevere, dagli zuavi pontifici mentre era incinta del decimo, dopo l’attentato alla caserma Serristori, per il quale furono condannati a morte Monti e Tognetti,  gli ultimi due ghigliottinati dal Papa Re.

 Carlo Adamello, Eccidio del lanificio Aiani, Museo del Risorgimento di Milano

“La mia famiglia crescerà nella libertà”, diceva Giuditta Tavani Arquati: al suo confronto, fanno un po’ sorridere quelle che “serve una grande battaglia per difendere le famiglie, significa difendere l’identità, difendere Dio e la nostra civiltà”, e intanto convivono con un Giambruno qualsiasi.

La memoria di Giuditta Tavani Arquati è stata a lungo affidata solo all’iniziativa dell’Associazione  Democratica Giuditta Tavani Arquati, costituitasi nel 1877, poi  disciolta durante il Fascismo, per non disturbare l’armonia dei Patti Lateranensi, e ricostituitasi nel 1945: fino allo scorso anno, il 25 ottobre si è svolta in via della Lungaretta una cerimonia di commemorazione, ma non quest’anno.

Memoria di Giuditta Tavani Arquati e degli insorti di Trastevere in via della Lungaretta, 97 (1867)

Non so perché, ma la guerra in corso, evidentemente, ha fissato altre priorità.

Negli anni, l’episodio del Lanificio Ajani è stato solo citato, nel secondo film della trilogia di Luigi Magni sulla Roma Pontificia, In nome del Papa Re e il protagonismo di Giuditta mai preso in considerazione seriamente: solo Claudio Fracassi ha pubblicato, nel 2009, un bel libro intitolato “La ribelle e il Papa Re”, per Mursia.

Oggi, ne parla Ponzaracconta.

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