Africa

Ci fa soffrire, l’Africa, ma possiamo scriverne e parlarne (1)

riceviamo in redazione da Carlo Secondino e volentieri pubblichiamo. Introduzione di Sandro Russo

.

Sabato 28 scorso, insieme a un altro redattore del sito Enzo Di Giovanni, eravamo a Formia, presso Koinè salottoculturale, per la presentazione dei due libri di Carlo, già conosciuto dai lettori come “amico del Liceo” e con un passato di 12 anni – non appena è andato in pensione dal lavoro – da “volontario” in Kenia.
L’incontro è stato interessante e stimolante.
Carlo non ha detto molte parole – giustamente devono essere i suoi libri a parlare -, ma essenziali e con un’assertività che le fa immediatamente percepire come vere e vissute. Ha raccontato degli stati d’animo che ha successivamente attraversato , trovandosi in un’età più che matura a confrontarsi con un paese alieno, con un’altra cultura. La Paura per prima, che avrebbe potuto indurlo a ritrarsi in sé per costruirsi un sogno , adattare quello che vedeva alla sua ideologia. Ma non ha seguito questa strada, bensì quella più faticosa di aprire bene gli occhi e vivere la sua esperienza in modo globale e consapevole. Quindi è la consapevolezza la cifra finale del libro che lo rende così vero al lettore.
Mi trovo così empatico con l’esperienza di Carlo per essere stato anche io in età giovanile e adulta, viaggiatore, non turista – altra differenza rimarcata dai relatori -, e il lettori del sito ne conosceranno i risvolti da un mio articolo sul tema del viaggio a corollario di altri di Emilio Iodice: Sì, viaggiare… (2). L’altra faccia del viaggio.

Due immagini del tavolo dei relatori: Carlo Secondino e Tommaso Del Brango

Al tavolo con lui il prof. Tommaso Di Brango è stato incisivo e esauriente nei suoi interventi, annotando il carattere del libro – di resoconto, più che di racconto – e come l’Autore, uomo del Novecento che ha vissuto appieno la temperie culturale del suo tempo, si è fatto cambiare dall’Africa, prendere da una cultura diversa dalla nostra. Ma anche alternativa?
Qui ha sottolineato il messaggio fondamentale del libro: che l’Africa si salverà se non vorrà assomigliare troppo a noi, seguire la stesse scelte dell’Occidente, che di strada ne ha fatta tanta ma si ritrova, dopo secoli di sviluppo (non di progresso!), “ricco, opulento e disperato”. L’Africa si salverà se manterrà la sua anima, se non prenderà in prestito quella dell’Occidente.
In questa visione – sottolinea Di Brango – c’è qualche affinità del pensiero di Secondino, con Pasolini, critico feroce del consumismo e affascinato invece dai saldi (commoventi per lui) valori dell’Italia che fu povera ma dignitosa, prima del boom economico.

Il terzo relatore dell’incontro doveva essere il professor Sergio Sollima che non ha potuto essere presente per sopraggiunti impegni improrogabili, ma molto ci teneva, tanto che ha fatto avere a Carlo Secondino (che l’ha girato a me) il testo scritto del suo intervento mancato.
Lo presento qui di seguito :

Riflessioni su Piccoli sentieri d’Africa
di Sergio Sollima (*)

Piccoli sentieri d’Africa contiene in sé più generi: è una cronaca, è una testimonianza, è un trattato socio-antropologico, presenta anche gli ingredienti di un saggio con brevi ma significative notazioni psicologiche e filosofiche. Può essere genericamente inquadrato anche nella memorialistica, in quanto è legato al ricordo di esperienze di vita in un determinato contesto, che è quello del Kenya. Qui il pensiero va a Karen Blixen, la scrittrice danese autrice de La mia Africa, che è un diario degli anni in Kenya, in cui risalta il sentimento che la lega all’Africa, alla popolazione e alla natura ma che è anche una storia d’amore.
Quella di Carlo Secondino è memorialistica critica più che autobiografica e introspettiva. Viene dato rilievo soprattutto a ciò che sta intorno, è ciò che l’io vede: il suo è un resoconto oltre che un racconto, in cui lo spirito critico non deve offuscare l’empatia, e l’empatia non deve restringere lo spazio della critica.

Il titolo, Piccoli sentieri d’Africa, è una dichiarazione di modestia sul versante della descrizione: di una realtà vasta come l’Africa si può dare solo un’idea parziale attraverso i piccoli sentieri percorsi. Ma con quel titolo si allude anche al proposito di sentirsi e farsi piccolo per meglio percepire la vastità in cui si è immersi.

Perché vivere in luoghi diversi da quelli in cui si è nati e cresciuti? Perché vivere altrove? si chiede Secondino. Il fatto è che, vivendo sempre nello stesso luogo, si finisce per adattarsi, si atrofizza lo sguardo volto all’alterità ma anche volto a sé stesso. Partire è partire alla ricerca anche del proprio io, varcare le pareti della propria stanza è anche un viaggio nell’io. A qualsiasi latitudine, va tenuta accesa la dialettica fra la percezione del diverso e la percezione dell’uguale: conoscersi significa anche ri-conoscersi in ciò che ci differenzia e in ciò ci accomuna.

Il libro è ricco di riflessioni che investono la società di cui Carlo Secondino ha fatto esperienza. Il Kenya è un paese giovane, indipendente dal 1963: “contraddizioni” può essere una parola chiave per interpretare molti aspetti della realtà keniota. A vari livelli si notano sperequazioni sociali, diffusa è la miseria, con villaggi privi di acqua ma con persone munite di telefonino. Malindi è uno dei più evidenti esempi di contraddizione: luccicante terziario del turismo ma con poche industrie significative.

Domina una cultura maschilista, con le donne poco integrate nella società. Chi lavora non ha adeguati diritti, non ci sono welfare, sindacati, in politica non c’è partecipazione. Uno dei problemi più gravi è inoltre il particolarismo legato al tribalismo. La corruzione viene percepita ma non se ne colgono le conseguenze devastanti sull’intero assetto sociale. La scuola non è formativa, la cultura che vi si diffonde è carente, c’è poca attenzione agli eventi degli altri paesi.

Altre notazioni riferite alle persone e ai modi di vita arricchiscono il libro. C’è caos nel traffico ma i volti esprimono pazienza, la fretta è bandita. Prevale la naturalezza nei rapporti umani, con espressioni sorridenti pur fra mille difficoltà. I kenioti sono lusingati dall’attenzione degli stranieri, nei confronti dei quali sono pronti a relazionarsi con curiosità e disponibilità. Gli stranieri però, anche quando generosi e disponibili, non sempre mostrano vero rispetto verso i loro costumi. Bisogna mostrarsi generosi senza lasciar trapelare commiserazione o paternalismo. Nel libro ci sono poi riferimenti a scoppi di violenza che contrastano con la naturale gentilezza: la gente odia i ladri (o presunti tali), al punto che può arrivare a farsi giustizia da sé. La polizia, quando interviene, raramente riesce a ristabilire l’ordine.

Il modo di vivere in equilibrio con la natura è una costruzione concettuale occidentale. L’incontaminato e l’intatto si possono riferire solo agli ambienti naturali meno accessibili. Fra le notazioni più interessanti, c’è il riferimento all’episodio in cui l’autore, unico spettatore di uno spettacolo di danza, coglie artificio nei danzatori, abituati alle esibizioni per i turisti. A proposito della tribù Turkana, poi, l’autore ricorda che, dopo aver detto loro che vivevano in un Paradiso in terra, notò che si erano risentiti per questa sua considerazione. Molti di loro guardano la Tv, sanno che altrove la gente è sazia e i bambini non muoiono, associano quindi l’idea di migliorare la propria vita esclusivamente all’acquisizioni di beni materiali: questo rischia di vanificare il sogno di uno sviluppo alternativo, anche umano, la possibilità per l’Africa di essere un laboratorio.

C’è un brano di Seneca in esergo, tratto dalla Consolatio ad Helviam matrem, che nella sua interezza suona così: «Non c’è esilio nell’universo, perché nulla di ciò che si trova nell’universo è estraneo all’uomo, non c’è differenza da dove lo sguardo si levi al cielo». Qui il pensiero va anche a un celebre aforisma di Terenzio, che può condensare il messaggio forse più importante del libro: «homo sum: humani nil a me alienum puto» ovvero “sono un uomo, niente di ciò che è umano ritengo a me estraneo”. La riflessione terenziana è un manifesto di tolleranza e di apertura, linfe vitali dell’atteggiamento di Carlo Secondino nei confronti del Kenya: bisogna comprendere le ragioni e le debolezze altrui, nonché i propri limiti, bisogna percepire la dignità dell’uomo in quanto tale, al di sopra delle etnie, delle convenzioni e dei ruoli sociali.

***

Non sarebbe completa la presentazione dell’incontro senza la citazione delle due bravissime lettrici – Vera Cavallaro e Tinnì Sequino – che hanno presentato brani significativi tratti da entrambi i libri. E una menzione di ammirazione meritano i loro abiti – etnici, colorati e fantasiosi – che hanno contribuito a illuminare la serata, oltre all’Africa e alla Poesia. Io non le ho fotografate per ritrosia, ma pregherei chi ha le foto di parteciparle.

***

(*)  Sergio Sollima, note bio-bibliografiche
Sergio Sollima è nato a Cassino, dove ha insegnato Italiano e Latino presso il Liceo Classico . E’ stato cultore di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Cassino e professore a contratto per l’insegnamento integrativo del Corso di Storia del diritto medievale e moderno “Cinema e giustizia” presso la facoltà di Giurisprudenza della stessa Università.
Ha ottenuto premi e segnalazioni in concorsi di poesia (“La gerla d’oro”, Serravalle Sesia; “Montale”, Roma; “Valle Senio”, Riolo Terme.
Ha al suo attivo una raccolta di poesie, “L’amore disuguale” (La Stampa, Genova, 1981), rivista e riedita recentemente sotto il titolo “Le poesie” (Ali Ribelli Edizioni, Gaeta 2021)
È poi autore, fra l’altro, di In inferno d’atti dolorosi (Ciolfi, Cassino, 1997), saggio sui “Promessi Sposi”; di “L’automobile che m’investirà” (Manni, San Cesareo di Lecce, 2008), volume di racconti, di Altri lidi (ECIG, Genova, 2012). Protagonista di vari eventi culturali, ha recentemente prodotto il video Sì lunga tratta di gente – ignavi nel tempo -, in cui si affrontano temi letterari e filosofici legati al concetto di ignavia.
Collabora con le riviste on line “Sitosophia” e “Poetarum Silva”.

 

Ci fa soffrire, l’Africa, ma possiamo scriverne e parlarne (1) – Continua
Nella prossima puntata si dirà del secondo libro di Carlo Secondino presentato: la raccolta di poesie: “L’occasione di esistere”

Clicca per commentare

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top