Arte

Le immagini del Concorso Fotografico, cosa c’è dietro e intorno

di Sandro Russo

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Gli articoli sul sito sul Concorso Internazionale di Fotografia di Latina: I vincitori (1)
Altre immagini e dichiarazioni (2)

Altre immagini e dichiarazioni (3)

Ho molto apprezzato l’iniziativa degli Organizzatori del Concorso Internazionale di Fotografia di Latina di associare alle foto le dichiarazioni d’intenti degli Autori e le motivazioni della Giuria. Perché l’insieme fornisce una dimensione “narrativa” che le immagini spesso sottendono, ma non sempre rendono esplicita.
E di pensiero in pensiero mi sono sorti degli interrogativi e ho fatto qualche considerazione sul modo di porsi davanti a un’opera d’arte.


È un tema complesso e cercherò di affrontarlo partendo un po’ da lontano.
Quante volte abbiamo sentito che un’opera d’arte va considerata in assoluto, senza condizionamenti riguardanti l’autore e le motivazioni della sua genesi. Un esempio che certo avremo sentito fare è quello di un libro Viaggio al termine della  notte (Voyage au bout de la nuit), il primo romanzo di Louis-Ferdinand Céline, pubblicato nel 1932). Genericamente considerato un capolavoro, salvo un successivo, pesante giudizio sul suo autore: nella Francia del tempo collaborazionista della regime  di Vichy, sostenitore della Germania nazista e violentemente antisemita. Una rivalutazione letteraria (determinato dal giudizio sull’autore) non da poco, in cui furono coinvolti molti intellettuali dell’epoca, tra cui Simone de Beauvoir e Sartre (1).

Louis-Ferdinand Céline. Viaggio al termine della notte (Corbaccio; XV Ed. 1992)

Per aggiornare questa tendenza ai giorni nostri, basti pensare al revisionismo del movimento # Metoo sulla figura e sulle opere artistiche di molti “grandi” del passato (e non solo) alla luce di giudizi recenti (si è da poco scritto. sul sito di Woody Allen: leggi qui).
Rigettiamo delle opere dell’ingegno  umano, le cancelliamo dalla nostra galleria personale di “opere d’arte” quando le opinioni degli autori non collimano (o addirittura confliggono) con le nostre? O abbiamo in così alta considerazione della libertà di pensiero da dare all’opera darte un significato più ampio delle contingenze della sua genesi?
Ho premesso che è un tema complesso su cui si dibatte da secoli. Quindi non entro nel merito di queste posizioni; mi limito ad esporre la questione.

Per un altro aspetto che può aiutarci a farci un’idea su come porsi davanti a un’opera della creatività umana prendo in prestito un esempio cinematografico: un film ‘mito’ di Hitchcock.

Nodo alla gola (Rope), distribuito anche col titolo Cocktail per un cadavere, è un film del 1948 diretto da Alfred Hitchcock (2). È la prima pellicola del regista girata in Technicolor e interpretata da James Stewart (poi presente in diversi altri film di Hitch). Il film è anche famoso per “apparire” come girato in un’unica sequenza, senza stacchi di montaggio [che per la tecnologia dell’epoca invece debbono necessariamente esserci (3)].
Ma devo raccontare qualcosa del film per il fine che mi propongo.
Tutto si svolge in un elegante appartamento di New York dove, poco prima di un ricevimento, due giovani raffinati (e conviventi), a seguito di una lite uccidono l’amico ed ex compagno di college, strangolandolo con una corda. Il corpo della vittima, giunta in anticipo rispetto agli altri invitati, viene quindi nascosto in un baule antico sul quale, per evitare che possa essere aperto, viene apparecchiata la tavola per il party.
Questo accade proprio nelle prime scene del film. Tutto quel che accade successivamente, ruota intorno al fatto che gli invitati – tra cui i genitori e la fidanzata della vittima e altre persone tra cui l’acuto professore di liceo dei giovani assassini – non sanno ovviamente nulla di quanto è accaduto e di cosa c’è dentro la cassapanca. Mentre gli spettatori del film lo sanno, eccome!
Tutto il film è giocato su questo diverso piano di consapevolezza e il Maestro del brivido qui è a una delle sue prove più strepitose.

Al di là della trama del film, è il modo di raccontare l’evento (in questo caso un omicidio) che rende quest’opera un capolavoro. E ci riporta al tema  da cui eravamo partiti, delle immagini del Concorso fotografico e delle note a corredo di esse.
Mi vorrei soffermare solo su due di esse, ma ciascuno può applicare le considerazioni qui espresse a qualunque altra foto del portfolio.

Marco Zaffignani. Lucia

Sapere che l’occhio del fotografo che accarezza le figure è il padre della neonata e il marito della giovane donna fornisce, a mio modo di vedere, un valore aggiunt0 “emozionale” che l’immagine non avrebbe nel caso di un soggetto estraneo all’autore.

Federico Falconi. Primo colloquio

E la foto si un giovane con uno zainetto a spalla davanti a una porta a vetri sarebbe una ‘foto qualunque’ senza la precisazione dell’autore: “Nella foto è rappresentato mio fratello, autistico come me, che, dopo aver superato la maturità con il massimo dei voti e frequentato un Master in “Sviluppo, Applicazione e Servizi”, qui affronta il suo primo colloquio di lavoro. Lui è il mio supereroe. Che sia di speranza per tante famiglie con figli autistici”.

Direi che la differenza è sensibile. Questo approfondimento si potrebbe applicare a molte immagini. Avevo notato che leggendo i libri fotografici di “grandi numi” della fotografia – intendo Sebastião Salgado (leggi qui e qui) o Steve McCurry (qui sotto una schermata dell’indice), spesso l’immagine non mi bastava, subito dopo averla guardata e riguardata, andavo a leggere la didascalia. Poi guardavo ancora la foto… e aveva un’altra dimensione. Ho cercato di render(me)ne conto.

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Note

(1) – Simone de Beauvoir racconta che in quell’inverno 1932-33 lei e Sartre impararono a memoria interi brani del romanzo, e che Sartre ne aveva fatto un modello. Un’ammirazione che si trasformò in condanna alla fine della guerra, nell’articolo Portrait de l’antisémite (Ritratto dell’antisemita) su Les Temps Modernes del dicembre 1945, dichiarando, tra l’altro, che l’autore del Voyage si era venduto ai nazisti

(2) – Il film è basato sull’omonimo lavoro teatrale di Patrick Hamilton del 1929, adattato da Hume Cronyn. La trama è ispirata a un reale fatto di cronaca nera

(3) – Per il regista è una doppia sfida tecnica: questo è il suo primo film a colori ed è composto da dieci piani-sequenza, alcuni dei quali collegati tra loro in modo da apparire come un’unica ripresa. «…l’idea un po’ folle di girare un film costituito da una sola inquadratura» (dal libro fondamentale di Truffaut su Hitchcock: François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Milano, il Saggiatore, 2009).
Tutte le riprese durano 10 minuti ciascuna, il tempo di durata di proiezione di un rullo, 300 metri di pellicola (TMT, Ten Minutes Take): gli stacchi necessari per cambiare bobina sono camuffati in modo da non spezzare la sensazione di continuità nel tempo e nello spazio (fonte: Wikipedia).

 

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