segnalato da Tano Pirrone
CHI NON LEGGE NON SA PERCHÉ STA AL MONDO
La torre di libri, al Salone del Libro di Torino
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Sempre a proposito del tema dibattuto sul sito in questi giorni e innescato dalla “provocazione” di Bixio – leggi qui e qui -, volevo segnalare una dimensione ulteriore della lettura: quella di ritrovare a distanza di tempo scritti messi da parte – propri, o altrui – da cui riprendere argomentazioni e pensieri apprezzati in altri tempi e poi dimenticati – la memoria è labile, si sa! – ma che balzano dalla pagina “riesumata” con la vividezza che si ricordava.
Così è successo con questo “ritaglio” di un articolo di Galimberti (cliccare per ingrandire), che sottopongo all’attenzione dei lettori (Ops! …ho detto lettori?).
Anche “in chiaro”, grazie alla Redazione.
T. P.
Chi non legge non sa perché sta al mondo
di Umberto Galimberti
La realtà infatti non è fatta solo di cose, ma di idee, storia e sentimenti di cui i libri sono i gelosi custodi
Dopo avere letto la sua risposta a proposito dell’Uomo sequenziale nel numero 1028 di D, vorrei allargare il discorso per conoscere la ragione per cui oggi si legge molto meno. Dalla mia esperienza posso dire che a iniziarmi alla passione per i libri sono stati i miei genitori con la casa pieni di libri, e in loro questa passione è stata inculcata dai loro genitori. E chi non ha simili genitori? Ci sono le insegnanti delle materne, che possono fare la differenza se in casa non si legge. L’importante è incominciare da piccoli. Per quanto mi riguarda, faccio parte di un gruppo di lettura, e sono orgogliosa del fatto che i miei figli (ormai grandi e fuori casa) considerino indispensabile un libro da leggere quando devono trascorrere più di 10 minuti in autobus!
Laura Sabbadin
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Non so che fine faranno i libri. Non tanto per il loro trasferimento sulla strumentazione informatica, quanto perché da molti anni la nostra scuola, nonostante il lodevole sforzo di alcuni insegnanti, ha disabituato i ragazzi alla lettura, al punto che oggi, come riferisce l’Ocse, noi italiani siamo all’ultimo posto in Europa per la comprensione di un testo scritto. A questa non incoraggiante condizione si aggiunge il fatto che, negli ultimi decenni, la maggior parte delle cose che sappiamo non le abbiamo necessariamente “lette”, ma semplicemente “viste” sullo schermo della televisione o del computer, oppure “sentite” dalla viva voce di qualcuno o da due fili inseriti nelle orecchie.
La domanda che a questo punto sorge spontanea è: quale modificazione subisce il nostro cervello come effetto di questo cambiamento?
Nella risposta alla lettera da lei citata si diceva che il nostro cervello fatica sempre di più a tradurre in significati una sequenza lineare di simboli visivi, come possono essere i segni grafici che compongono la scrittura, mentre è facilitato nella visione simultanea, come per esempio un’immagine che, per essere compresa, non ha bisogno di essere percorsa in sequenza da sinistra a destra, com’è necessario fare di fronte a delle righe da leggere.
La perdita dell’intelligenza sequenziale non è cosa da poco, perché ciò che si perde è la capacità del nostro cervello di tradurre segni grafici, come quelli che compongono la parola “gatto” nell’immagine del gatto, che invece l’intelligenza visiva, quella di cui dispongono i bambini prima di andare a scuola, ci offre immediatamente senza lavoro mentale. Se poi consideriamo che “guardare” è più facile e più comodo che “leggere”, viene da pensare che chi ama leggere appartenga a una tribù in via di estinzione, e i suoi abitanti residui, in questo mondo sempre più mediatico e informatizzato, appariranno un po’ strani. Non è un caso che in tutto il mondo si assista a un arresto dell’alfabetizzazione: sembra si sia fermato quel processo, apparentemente irreversibile, che aveva portato l’uomo dall’intelligenza visiva a quella sequenziale che è propria della lettura e della scrittura.
Ma oltre alla trasmissione delle idee, la lettura insegna al nostro cuore i sentimenti che non sono dati per natura, ma si apprendono. E in effetti come possiamo immaginarci l’Aldilà se conosciamo Dante solo per le vie a lui dedicate? Come facciamo a scoprire che la malattia scaturisce anche e soprattutto da una mancanza d’amore se non siamo mai saliti al sanatorio che Thomas Mann descrive ne La montagna incantata? Che ne sappiamo della nausea se non abbiamo mai letto Sartre, e che idee ci facciamo dello straniero se ignoriamo Camus? Per non parlare della capacità di accedere alle cantine della nostra anima a cui ci invita Dostoevskij ne Le memorie del sottosuolo.
Fin qui i libri di narrativa. Ma esistono anche quelli di saggistica, utili per raddrizzare le nostre idee contorte e dare una sana scossa a quelle pigre. Ci sono infatti idee malate che ci fanno smarrire la “giusta misura” nel perseguire il denaro, il successo, il potere; ci sono poi idee di “colpevolezza” che avvelenano l’anima per una malintesa interpretazione della cultura religiosa.
E poi perché ignorare che cos’è “l’amore”, che Platone coniuga con la follia che ci abita; cos’è “l’equità” che come vuole Aristotele è il correttivo della giustizia che altrimenti sarebbe ingiusta; che cos’è “la tolleranza” che, come ci spiega John Locke, significa supporre che l’altro abbia un gradiente di verità maggiore del mio; che cos’è “il rispetto”, che per Kant è l’unica virtù morale da cui discendono tutte le altre.
Il giorno in cui i libri diverranno archeologia o reperti da museo – e siamo sulla buona strada – l’umanità avrà raggiunto il fondo del suo degrado, dove a parlare saranno solo gli insipienti, per fare sentire il vuoto delle loro menti e l’afasia del loro sentimento, che più non conosce i modi in cui si ama, si soffre, ci si dispera, ci si consola, perché saranno sparite tutte le parole necessarie a dare voce al loro cuore, prima ancora che alla loro mente.
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Scrivete una email oppure indirizzate la vostra posta a “Lettere a Umberto Galimberti”, D la Repubblica.
D – 170 – 6 maggio 2017
Bixio
21 Aprile 2024 at 21:14
Un saluto alla Redazione. Grazie del vs impegno e della vs considerazione.
Ho provato a tirare in senso provocatorio con la fionda, e mi è stato risposto col cannone.
Più garbata mi è sembrata la nota di Pirrone, molto meno quel Galimberti (o chi l’ha proposto), che non c’entra niente con quel che dico io, non riuscendo a distinguere tra il leggere e lo scrivere.
Lui asserisce: Chi non legge non sa perché sta al mondo”, e io rispondo “E chi se ne frega!”.
Io parlo dello scrivere e della sua destinazione che il più delle volte non arriva all’obiettivo; il messaggio non arriva alle masse costrette a combattere per sopravvivere ogni giorno senza soldi e senza tempo per leggere un libro.
Questo è stato il mio rilievo fin dall’inizio del dibattito epistolare. Quindi non si confonda la mia accusa allo scrivere a vuoto con l’avversione per la lettura.
Magari leggessero tutti!
Ancora grazie per l’ospitalità.
Bixio