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C’è una vecchia ferita che segna il profilo della nostra isola. Un buco nero, anzi, una zona bianca, se meglio vi aggrada: il comparto 13. Una denominazione fredda ed impersonale ad indicare una sorta di metaverso, un’isola che non c’è.
A pensarci, suona paradossale che questa identità astratta, dove il tempo pare non scorrere se non attraverso le rovine di quelli che furono i manufatti legati all’attività estrattiva, sia il luogo di Ponza in cui più che altrove si sono condensate aspettative, fatiche, e poi progetti di sviluppo.
L’area ex-Samip è il luogo simbolo di Le Forna.
Simbolo di speranza di un lavoro che, per quanto faticoso ed usurante per molte famiglie poté rappresentare un’alternativa alla migrazione, negli anni bui della guerra e del primo dopoguerra. Ma anche simbolo dell’assurdità di violentare una terra già fragile di suo, con intere famiglie costrette ad espatriare perché veniva letteralmente a mancare la terra sotto i piedi. Ed ancora: il luogo dove le cronache dell’epoca ci narrano di un momento di coesione sociale – l’unico che si ricordi – in cui si scelse con decisione un altro percorso, in rotta di collisione con il potere costituito, più in linea con la salvaguardia del territorio e della nascente industria turistica (ne abbiamo scritti tanto sul sito: vi si può risalire attraverso la voce Miniera, ma basti per tutte questa lettera, rintracciata grazie ad una tesi di laurea: Lettera Agostino Feola
La partita che si gioca a Cala dell’Acqua non può non avere forti connotati simbolici, ed al contempo paradossi inestricabili. Per gli abitanti de Le Forna, che da sempre soffrono una sudditanza strutturale, l’essere periferia, quella è l’area in cui concepire la possibilità di uno sviluppo programmato: non un’area di servizi ma il volano dell’economia della zona, come riportiamo in Dissalatore, non disturbare il conducente?
L’ironia della sorte, invece, fa sì che oggi venga scelta Cala dell’Acqua come sede del dissalatore proprio perché sul comparto 13, al di là delle tante, troppe chiacchiere, non sono stati ipotizzati interventi nella direzione di un recupero strutturale a vantaggio della collettività.
A leggere le analisi progettuali riportate in Skid. La risposta di Vigorelli alle domande della Redazione, infatti, si evince che proprio la mancanza di un’ipotesi di sviluppo socio-economico-ambientale ha fatto sì che venisse scelta questa area!
Di più. Guido Del Gizzo nel suo Nuovo intervento si spinge oltre: Cala dell’Acqua è semplicemente, per ora, il pezzo di territorio che i Ponzesi – non i marziani – hanno deciso di consumare… il comprensorio 13 è stato trasformato, negli ultimi decenni, sostanzialmente in una discarica.
Vero. Le trivellazioni di questi giorni, oltre che riaprire fisicamente, a cominciare dalle crepe stradali, una ferita mai chiusa, ci sbattono in faccia che la nostra cronica incapacità di gestire e controllare il territorio la paghiamo, e a caro prezzo.
Da la Repubblica, Cronaca di Roma – Venerdì 12 maggio 2023
Il che non giustifica quanto sta avvenendo, chiaro, ma ci mostra drammaticamente l’ingovernabilità di un territorio quando non si hanno visioni programmatiche e risorse economiche, ed aggiungerei potere politico. Vale per il PAI, vale per l’ex Samip.
“Considerato che nessuno potrà fermare l’impianto (cioè il dissalatore), occorrerà battersi per ottenere il massimo possibile sulla qualità dell’acqua e sull’impatto ambientale”. E’ la chiosa che Vigorelli riprende dal nostro editoriale, e che fa suo Perché Acqualatina non rispetta i patti.
Resta il fatto che, come denuncia il comitato Samip e – supponiamo – l’opinione pubblica silenziosa, per “sviluppo” dell’area e conseguentemente di Le Forna ci si aspetterebbe altro, anche perché sviluppo e salvaguardia dovrebbero andare di pari passo.
Da cui il grido di dolore di Emilio Iodice su quello che definisce Un simbolo di indifferenza e mancanza di rispetto: Pochi cittadini di buona volontà hanno supplicato i politici… Che fine ha fatto questa magica isola che molti chiamano la Perla del Mediterraneo?
Il Turismo è alle porte, ma per Franco De Luca Un luogo, un sito, un’isola senza caratteristiche culturali affermate e praticate non suscitano interesse turistico. Non lo suscita più. Condividiamo assolutamente. Anche perché, per dirla con le parole del già citato Del Gizzo sarebbe ora che tutti capissimo che il turismo non è un modello di sviluppo. È solo un contenitore che se non armonizzato brucia risorse, anziché crearle.
Il primo Viaggio della Memoria, organizzato dall’ANPPIA in collaborazione col Centro Studi e Documentazione Isole Ponziane – APS è un contributo prezioso in tal senso. Il turismo culturale, a cui si riconduce questa iniziativa, è la strada maestra per connotare la nostra offerta turistica, per dargli spessore, radici, e far sì che duri nel tempo.
Solo uno sguardo distratto può non cogliere il nesso tra gli argomenti evidenziati: senza identità i “comparti” possono solo aumentare, e con essi la fruizione del nostro spazio vitale.
E a proposito di identità: in questi giorni onoriamo la nostra Santa Domitilla, co-patrona di Ponza.
Buona domenica a tutti.
Immagine di copertina: ritaglio immagine da la Repubblica, cronaca di Roma, dell’altroieri, venerdì 12 maggio 2023