.
Tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, molte località e territori del nostro paese sono stati travolti dal turismo di massa che si stava sviluppando, per effetto dello sviluppo economico che il paese stava conoscendo.
Un’intera generazione di contadini poveri, pescatori, minatori, pastori, artigiani e carbonai è andata incontro ad un periodo di prosperità, nel quale i servizi turistici – prevalentemente accoglienza, prima che ristorazione – hanno offerto un’opportunità di ricchezza altrimenti irraggiungibile con le attività precedenti.
Contemporaneamente, per i turisti, quegli anni sono stati anni di scoperta di luoghi e territori che offrivano delle identità e delle culture affascinanti e preziose: ma questo non ha impedito, complici le comunità locali, che, invece di essere rispettate e mantenute, queste fossero svilite e mercificate nei modi più stupidi e volgari.
Si è sviluppato un nuovo – per quei luoghi – settore economico? Senz’altro.
Si è trattato di reale produzione di ricchezza? Nemmeno un po’.
Si è trattato, invece, di una importante ridistribuzione di ricchezza prodotta altrove: mentre le attività turistiche hanno comportato uno sviluppo prevalentemente immobiliare, con un grande, e spesso incontrollato, consumo di territorio e un gigantesco costo ambientale, che siamo, ad oggi, incapaci di misurare, ma di cui percepiamo bene gli effetti.
L’artigianato di prodotto, che in questo paese ha sempre rappresentato la base per il successivo sviluppo industriale, è stato quasi completamente trasformato in artigianato di servizio, mentre le altre attività, di cui sopra, sono state progressivamente abbandonate.
Così, le amene località turistiche degli anni ’60 sono diventate dei “turistifici” senza più anima, che assumono, di anno in anno, l’identità di coloro che le frequentano, seguendo mode e culture lontane ed estranee al territorio che li ospita.
Ma già negli anni ’90, in Italia, quel meccanismo ha iniziato a rallentare: Tangentopoli ha inferto un duro colpo alla fascia di consumo medio/alta, mentre hanno resistito bene i consumi di fascia bassa e, ovviamente, quelli di lusso.
Ora, il settore turistico, nel nostro Paese, è caratterizzato da ampia diffusione sul territorio e scarsa professionalità (si tratta, prevalentemente, di forme di autoimpiego): la risposta è stata lo spostamento dell’offerta verso il basso, con riduzione dei costi e aumento dei prezzi.
E siamo all’oggi: il settore del turismo di lusso non conosce crisi, mentre il resto del comparto fa i conti con una stagione turistica diventata sempre più breve e meno redditiva, negli ultimi anni.
E può solo peggiorare. Quindi?
La prima considerazione è che nelle località turistiche si viveva, anche prima del turismo: solo che, oggi, i contadini poveri, i pescatori, i minatori, i pastori e gli artigiani non ci sono più.
Ma l’aspetto più preoccupante è che quei mestieri – che, grazie al progresso, sarebbero assai meno faticosi di prima – non solo non esistono più, ma sono proprio rifiutati dalle nuove generazioni: e con essi l’identità che ne derivava.
“Prima che il tempo cancelli le tracce” è uno degli intenti di Ponzaracconta: beh, le tracce le hanno cancellate i ponzesi già da un bel pezzo, mi pare di vedere… adesso le tracce da vedere sono altre.
Qualche giorno fa ho visto la documentazione fotografica dello sversamento di gasolio del 2009 a Giancos: da vergognarsi come ladri, ma sono convinto che sull’isola quelle immagini le abbiano viste in parecchi, senza che nessuno abbia mai avuto il coraggio di chiederne conto.
Quando ero bambino, in Maremma c’era il mestiere del “pinoccolaio”: la grande pineta litoranea voluta da Leopoldo di Lorena era mantenuta da gente che potava i pini, curandoli, e in cambio raccoglieva le pigne e ne prendeva i pinoli.
Non si può vivere con lo sguardo rivolto all’indietro, ma oggi, i pini, li tagliano e basta, se solo ostacolano la vista delle nuove costruzioni lungo la costa.
“Mai sprecare una crisi ”, si dice in economia.
Circa 200 ha di terrazzamenti ancora in essere sull’isola sono un’opportunità enorme: non solo agricoltura, ma salvaguardia idrogeologica, biodiversità, percorsi di visita, didattici e paesaggistici.
Andrebbero cercate opportunità nelle attività invernali: ma occorrerebbero un’amministrazione che non si occupasse solo degli affari della SEP – copyright Giuseppe Mazzella, l’assessore dimissionario – e anche delle politiche meno incivili e stupide sull’accoglienza dei migranti: perché temo che, se dipenderà dai ponzesi, e in generale dagli italiani in tutto il Paese, non ci sarà futuro, né per lo scoglio ponzese, né per tutto il resto.