Musica

Una canzone per la domenica (242). Quando e come è nata la mia passione per la lirica

di Carlo Antonio Secondino

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Auspico che non dispiaccia, ai frequentatori di Ponzaracconta che si dedichi uno spazio, piccolissimo almeno nelle intenzioni, all’opera lirica. Me ne ha fornito l’occasione una domanda che mi è stata rivolta dopo che, aderendo all’idea di porre all’attenzione dei lettori di questo sito (che ritengo magnifico) un’aria lirica che mi avesse particolarmente colpito, ho suggerito Casta diva dalla Norma, di Vincenzo Bellini.
La domanda rivoltami è stata:
– Quando, e come è nata la tua passione per la lirica?
La risposta mi obbliga, anzitutto, a prendermi la libertà di riformulare, per così dire, la domanda; far conto che in essa mi sia stato chiesto quando e come io abbia iniziato a interessami alla musica classica: fu questa, infatti, a catturare il mio interesse fin dai primi fortuiti ascolti, intorno ai tredici anni di età.

Dire genericamente “musica classica”, per la verità, è improprio, perché è una definizione che si può riferire soltanto al ’700, e a pochissimi  compositori di quel periodo. I principali: Franz Joseph Haydn, Wolfgang Amadeus Mozart , Muzio Clementi, almeno due dei figli di Bach, Antonio Salieri, Luigi Boccherini e, solo in parte, Ludwig van Beethoven, compositore illuminista ma dal temperamento romantico.
Per un’idea della storia della musica strumentale, si deve partire dalla polifonia medioevale, attraverso la musica rinascimentale e barocca; seguono la “classica”, appunto, la “romantica” e,  quindi, il periodo dei compositori “decadenti”  e “avanguardisti” di fine ‘800 e primo ‘900, tra i quali grandi innovatori: si pensi a Pëtr Il’ič Tchaikovskij, Igor Fedorovic Stravinskij, Claude Debussy, Arnold Schönberg (l’ideatore della dodecafonia, novità accettata e sperimentata da pochi compositori, tra i quali va certamente annoverato Stravinskij – Sul sito leggi e ascolta qui e segg.).

Di storia abbastanza simile a quella della musica si può parlare riferendosi al canto, a partire dal canto religioso medioevale, con voci solistiche e polifoniche, attraverso i meravigliosi madrigali dell’Umanesimo e Rinascimento, per giungere alle complesse opere liriche, nate dal “matrimonio” tra il teatro e la musica, compiuto da Claudio Monteverdi con la sua, giustamente celebrata, creazione del melodramma.

I miei primi ascolti furono fortuiti, come poco sopra detto: risalgono alla metà degli anni ’50. Il mezzo di ascolto era un vecchio grammofono, sul quale un mio anziano vicino sistemava grandi “pizze”, credo di 75 giri, edizioni de “La voce del padrone”, azionando, con la delicatezza di cui era capace, il braccio di metallo leggero, all’estremità del quale veniva fissata la “puntina”, specie di robusto ago.

La ‘Quinta’, la ‘Ottava’ e la ‘Nona’, di Ludwig van Beethoven, furono le prime sinfonie ascoltate. Seguirono il ‘Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra’, di Tchaikovskij (di cui mi limito a segnalare, per le vette altissime raggiunte anche nell’arte della composizione per balletto, Il lago dei cigni e Lo schiaccianoci); la Sinfonia n. 9 ‘Dal Nuovo mondo’ del compositore ceco Antonin Dvorak, vissuto per alcuni anni di fine ‘800 negli Stati Uniti; considerata il capolavoro di Dvorak, questa sinfonia denota di avere accolto, con mirabili esiti, importanti influssi dei ritmi e canti degli Indiani d’America, nonché degli spiritual, i suggestivi canti degli Africani costretti a vivere da schiavi nelle piantagioni.

In seguito, fra i 16 e i 18 anni, i miei ascolti iniziarono a essere frutto di una ricerca gradualmente più attenta e rispettosa dell’evoluzione della musica attraverso i periodi storici: ed ecco la ‘scoperta’ dei maggiori compositori del Barocco, come Antonio Vivaldi, Johann Sebastian Bach, Georg Friedrich Hendel, Arcangelo Corelli e Domenico Scarlatti; dei romantici: Johannes Brahms, Robert Schumann, Felix Mendelssohn Bartholdy, Fryderyk Chopin, Franz Liszt.

Poi, finalmente, fuori di ogni ordine storico, la predilezione per autori come Haydn e Mozart, Giuseppe Verdi e Richard Wagner: incontri fondamentali di compositori la cui musica aveva ‘sposato’ il teatro, su quella via, appunto, aperta da Monteverdi.
Tratti, più o meno lunghi, di ‘recitativo’ che si alternano con ‘arie’ a una o più voci: il canto umano nella sua espressione più alta; dunque, canto ‘lirico’.
Lo stesso Beethoven, che pure non  compose opere liriche, a margine del manoscritto della Sinfonia n. 9, la Corale, là dove si leva il coro dell’Inno alla gioia, di Friedrich Schiller, annotò che a quel punto non erano più sufficienti gli strumenti musicali, occorreva che intervenissero le voci, molte voci umane.

Mi è venuta in mente Casta diva dalla Norma, di Vincenzo Bellini: ma che dire delle arie de La traviata di Verdi, o della Carmen di Georges Bizet? Di Tosca, La bohème e Turandot, tutte di Giacomo Puccini? E il pensiero non può non andare alle arie, sublimi, delle opere di W. A.  Mozart: Don Giovanni, Così fan tutte, Le nozze di Figaro, Il flauto Magico

Mi fermo qui per ‘avvilimento’: ogni autore citato, infatti, ne fa affiorare alla mente altri e altri ancora… Un meraviglioso infinito di profonde emozioni,  fino al quale ognuno che vi aneli può elevarsi.
Nel concludere, sento l’obbligo di dire due parole sulla Norma: le vicende si svolgono in Gallia, durante il dominio di Roma su quella regione.

Norma, sacerdotessa e figlia del capo dei Druidi, Oroveso, è innamorata del proconsole romano Pollione, dunque di un nemico dei Galli. Questi l’ha amata, le ha dato due figli, ma l’ha tradita poi con la giovane Adalgisa, che desidera portare con sé al suo rientro a Roma. L’eroismo di Norma è tutto nella strenua lotta con se stessa, per non far prevalere i suoi iniziali sentimenti di vendetta contro Pollione e la giovane donna, ritrovando infine le sue qualità migliori, la comprensione e la generosità.

La prima rappresentazione dell’opera, risalente al dicembre del 1831, non fu adeguatamente apprezzata, forse perché non compresa nei suoi contenuti innovativi. Ma il successo arrivò presto, e anche oggi è situata dalla critica tra le opere liriche eccelse.

L’aria Casta diva è l’intensa preghiera che la sacerdotessa Norma rivolge alla Luna, al fine di calmare il furore dei guerrieri galli, dunque dei “suoi”, e scongiurare che essi attuino il progetto di attaccare, a sorpresa, l’esercito romano.

Da Youtube, l’aria Casta diva cantata da Maria Callas

La grande Maria Callas esegue un’aria che porta la sua firma, la sacerdotessa dei Druidi Norma, dall’opera di Bellini, con l’Orchestre de l’Opera National de Paris diretta da Georges Sebastian. Registrato dal vivo al Palais Garnier il 19 dicembre 1958, questo concerto segnò il debutto della soprano all’Opera di Parigi, il maggiore degli eventi sociali della capitale francese, per il quale la Callas sfoggiò il suo abito più elegante e dei gioielli del valore di milioni di dollari – The official Maria Callas website: http://www.maria-callas.com/

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Posso auspicare, certo, che l’ascolto della musica classica e del canto lirico, che appassiona sempre più molti giovani, cresca ulteriormente, ma non ho la presunzione di dare consigli circa i generi. La buona musica supera la limitatezza del genere di appartenenza. Io stesso, che ho superato svariati ‘…anta’, guardando indietro, ricordo di aver riconosciuto, e apprezzato, la grande musica in una pluralità di generi: ovviamente nel jazz, ma anche nel rock, in tutta la sua vasta tipologia, e nel reggae (oh, Bob Marley!); nella musica country (Bob Dylan e non solo) come in quella del genere dark. Confesso anche, però, il mio immenso debole per qualsiasi opera di Mozart. Se mi accade di dover interromperne l’ascolto, mai per mia volontà, pronuncio la breve frase, ormai di rito: “perdonami, Mozart”. La sua musica, più di quella di ogni altro compositore, riesce ad addolcirmi e a placare, attraverso una sorta di sublimazione, quell’amarezza di fondo causatami, in gran parte, dalle gravi contraddizioni valoriali che vedo  caratterizzare il “primo” mondo, il nostro: mondo  di occidentali “progrediti”; amarezza divenuta pressoché una costante che, a un certo punto della mia vita, ho identificato come grido inespresso.

 

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