Musica

Una canzone per la domenica (232). Un’esperienza di musica dodecafonica (prima parte)

proposto da Sandro Russo

In questa sezione ogni settimana dedicata alla musica abbiamo accolto proposte di ogni tipo, dalle filastrocche per bambini al Concerto di Colonia di Keith Jarrett, dai canti di chiesa al punk più demenziale. C’è stata però un’omissione importante, certo non premeditata, di cui mi sono reso conto qualche giorno fa.
Propongo per intero la mia esperienza, per capire insieme come è accaduto; che risultato ha avuto l’impatto, una volta che spinto dalla curiosità (e dall’occasione) ho provato a rimediare e cosa ne ho tratto.

Sui media, intorno alla Giornata della Memoria abbiamo letto e sentito tante cose. Ha attirato la mia attenzione questo articolo di Corrado Augias proprio su la Repubblica del 27 gennaio, che propongo per intero. Augias è un bravissimo divulgatore, anche esperto di musica – “appassionato dilettante di musica, ha studiato armonia e contrappunto presso l’Istituto di musica sacra di Roma”, trovo scritto da qualche parte -; quindi sarà da leggere con attenzione.

Civili ebrei forzati dalle SS ad evacuare durante la distruzione del ghetto di Varsavia nel 1943
(dall’articolo di Repubblica – Getty Images)

Il Giorno della Memoria
IL CONCERTO
Una sinfonia di atroce bellezza contro la Shoah
di Corrado Augias

Si intitola “Un sopravvissuto di Varsavia” l’oratorio musicale di 7 minuti che il compositore Arnold Schönberg ha dedicato alla strage nel ghetto.
Amato da Kundera ed eseguito dall’orchestra Rai per non dimenticare.
Tempo sconvolgente nella sua stridula, dissonante struttura dodecafonica.
L’essenza esistenziale del dramma degli ebrei del XX secolo è in quest’opera viva.

Resta vero quello che si disse anni fa: il breve oratorio di Arnold Schönberg Un sopravvissuto di Varsavia è il più grande monumento che la musica abbia mai dedicato all’Olocausto.
L’orchestra nazionale sinfonica della Rai, diretta da Fabio Luisi, voce recitante Francesco Micheli, lo ha magistralmente eseguito ieri sera a Torino, nello stesso luogo dove l’oratorio ebbe la sua prima esecuzione italiana — ottobre 1961 — sempre ad opera dell’orchestra sinfonica della Rai.
Sette minuti, questa la durata, nei quali Schönberg ha condensato incubo, dolore, paura, l’incombere di un destino ineluttabile. Erano quasi mezzo milione gli ebrei che i nazisti murarono nel ghetto di Varsavia; vennero sistematicamente trucidati con il crudele rito della decimazione.
Sette minuti di musica, voce recitante, coro maschile e orchestra, niente più di questo, sette minuti che non è esagerato definire sconvolgenti nella loro stridula, dissonante struttura dodecafonica, con un organico orchestrale ricco di percussioni (xilofono, tamburo rullante, glockenspiel, nacchere, tra le altre) con la voce del narratore che per farsi udire supera l’ordinato caos dei suoni — la voce inerpicata sul ribollente magma: un grido, un silenzio, un affanno, un disperato sussurro.

Dopo l’ascesa di Hitler al potere, Schönberg nel 1933 aveva trovato rifugio negli Stati Uniti. Lì lo raggiunsero le frammentarie notizie che, tra cento reticenze, cominciavano a dar conto di quanto era avvenuto nei campi di sterminio. Anche un nipote del musicista era morto in un lager.
Basandosi sul racconto di un uomo fortunosamente scampato al massacro di Varsavia, Schönberg in pochi giorni, nell’agosto del 1947, compose il suo oratorio. Nel 1948 l’opera venne eseguita ad Albuquerque nel New Mexico per poi essere conosciuta nel mondo.

Dal punto di vista strettamente compositivo, prescindendo cioè dalla tragedia di cui dà conto, l’oratorio è un esempio di perfetta fusione tra la voce umana e le varie sonorità orchestrali; i suoni riproducono l’angoscia, la voce spiega da dove provenga.

Il narratore non sa riferire tutto ciò che accadde. Per molto tempo è rimasto a terra svenuto dopo i colpi dei soldati nazisti. «La sveglia quando era ancora buio. Venite fuori! Eravate stati separati dai vostri figli, da vostra moglie, dai genitori; nessuno sapeva che cosa gli era successo…».
Il racconto prosegue: «Di nuovo le trombe — Venite fuori! il sergente sarà furioso! Vennero fuori; alcuni molto lenti; i vecchi, gli ammalati; alcuni con agilità nervosa. Temono il sergente. Si affrettano il più possibile. Invano! Molto, troppo rumore, molta, troppa agitazione — e non abbastanza svelti! Il sergente urla: «Achtung! Stillgestanden! Na wird’s mal! Oder soll ich mit dem nachhelfen? Na jut; wenn ihrs durchaus haben wollt!» (Attenzione! Attenti! Ci decidiamo? O devo aiutarvi io con il calcio del fucile? E va bene; se è proprio questo che volete!).

Schönberg scrisse il testo in inglese, le urla del sergente però sono in tedesco. La lingua di Goethe, di Hölderlin, di Schiller diventa qui un ringhio di primitiva ferocia. Si rabbrividisce al pensiero di quale angoscia dovette invadere quegli sventurati i n balia di un uomo come quello.
«Devo essere rimasto svenuto — continua il narratore. La prima cosa che udii fu un soldato che diceva: “Sono tutti morti”, Allora il sergente ordinò di sbarazzarsi di noi».

L’oratorio ha nel finale un improvviso e sorprendente sviluppo. Il sergente ordina di contare i corpi di quelle ombre che paiono morte per organizzarne il trasporto ai forni crematori. «Cominciarono, prima lentamente: uno, due, tre, quattro, poi sempre più in fretta, sempre più in fretta tanto che alla fine risuonò come una fuga precipitosa di cavalli selvaggi, e tutto ad un tratto, nel mezzo del tumulto, essi cominciarono a cantare lo Shemàh Ysraël».
Ascolta Israele, dice l’antica preghiera, la sola via d’uscita che rimanga a quei morti viventi è alzare il canto della fede: Ascolta Israele il Signore è nostro Dio. Il Signore è uno. Benedetto il Suo nome glorioso per sempre.
Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze. E metterai queste parole che Io oggi ti comando, nel tuo cuore, le insegnerai ai tuoi figli, pronunciandole quando riposi in casa, quando cammini, quando ti addormenti e quando ti alzi…».
La fede però non basta, le ultime aspre battute dell’orchestra dicono che la ferocia ha sconfitto anche la speranza.

Il 23 ottobre 2007 Repubblica mise in pagina un intervento su questo oratorio dello scrittore Milan Kundera, viene da lì la definizione del brano che apre l’articolo. Kundera ricordava come un giorno avesse chiesto ad un amico se conosceva Un sopravvissuto di Varsavia — La risposta era stata: «Un sopravvissuto? Chi?». Prosegue: «Non sapeva di che cosa stessi parlando. Eppure, Un sopravvissuto di Varsavia (Ein berlebender aus Warschau), oratorio di Arnold Schönberg, è il più grande monumento che la musica abbia mai dedicato all’Olocausto.
Tutta l’essenza esistenziale del dramma degli Ebrei del XX secolo è in quest’opera viva e presente. In tutta la sua atroce grandezza. In tutta la sua bellezza atroce. Ci si batte perché degli assassini non vengano dimenticati…».
È tutto lì: ci si batte perché gli assassini non vengano dimenticati.

Maestro. Il compositore austriaco naturalizzato statunitense Arnold Schönberg, autore dell’oratorio musicale

 

Arnold Schönberg: A Survivor from Warsaw. Un sopravvissuto di Varsavia. Dirige Simon Rattle
Da YouTube. From Simon Rattle’s tv-series “Leaving Home” May 9, 2009 – Franz Mazura, recitante – CBSO Chorus/City of Birmingham Symphony Orchestra – Direttore Sir Simon Rattle.

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Testo inglese con traduzione italiana a fronte (cliccare per ingrandire):

Siccome un ascolto non basta, propongo qui di seguito una versione dello stesso pezzo con una serie di spiegazioni in sovraimpressione:
Arnold Schonberg (1874-1951) Un sopravvissuto di Varsavia (1947) – Artista Erich Leinsdorf

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Avevo premesso che era un’esperienza nuova anche per me.
Ai “sopravvissuti” (all’ascolto e alla visione) devo un secondo articolo sulle considerazioni che questo pezzo mi ha suscitato.

[Una canzone per la domenica (232). Un’esperienza di musica dodecafonica (1) – Continua qui]

 

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