Botanica

Mostra a Parma:  ‘Impronte. Noi e le piante’

segnalata da Sandro Russo, con un’intervista su Il Manifesto al curatore della mostra

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Impronte. Noi e le piante: a Parma, dal 13 gennaio al 1° aprile a Palazzo del Governatore

In mostra oltre 200 immagini per raccontare l’evoluzione del rapporto tra botanica e visual culture: dagli erbari quattrocenteschi alle tecnologie più evolute che aiutano agricoltura e ambiente

Visitare una mostra e ritrovarsi a sfogliare un album di famiglia, in cui a prendere vita sotto i nostri occhi non sono i ricordi privati ma le memorie collettive e cangianti dei nostri rapporti con le piante nel corso di oltre 6 secoli. A Parma, nella splendida cornice di Palazzo del Governatore, sabato 13 gennaio 2024 apre al pubblico Impronte. Noi e le piante, esposizione unica nel suo genere che ripercorre in oltre 200 oggetti figurativi (erbari storici, illustrazioni botaniche, stampe in nature printing e xiloteche, ma anche fotografie moderne e immagini ad alta tecnologia) il rapporto inesauribile che lega umanità e natura, botanica e immagini, scienza e arte.

 

Il Manifesto/ Cultura
Un palcoscenico dal gusto botanico
di Arianna Di Genova – Da Il Manifesto dell’11 gennaio 2024

Intervista. «Impronte. Noi e le piante»: il racconto dello scienziato Renato Bruni, curatore della mostra presso il Palazzo del Governatore a Parma. «’Plant blindness’ è l’espressione che indica la scarsa attitudine umana nel notare i vegetali»

«Artificial Botany», fuse*, Hong Kong Design Institute, 2023

Sono intorno a noi ma non sempre le vediamo, neanche quando interrompono l’asfalto delle nostre strade o i marciapiedi e ci costringono a cambiare percorso, ostacolando il cammino con le loro radici. Eppure, per un filosofo-paesaggista come Gilles Clément ogni area verde è un territorio mentale di speranza.
La mostra Impronte. Noi e le piante, che si aprirà a Parma sabato per il pubblico (visitabile gratuitamente fino al 1 aprile) nel Palazzo del Governatore, cerca di invertire la rotta della distrazione umana, narrando con oltre duecento immagini (dagli erbari antichi alle illustrazioni botaniche fino alle xiloteche e fotografie ad alta tecnologia) la trama scientifica e immaginaria che intreccia i linguaggi di fiori, arbusti e alberi con quelli della visual culture.
«Le immagini scientifiche delle piante sono bellissime e capaci di trasmettere concetti complessi nell’emozione di un attimo», afferma il curatore Renato Bruni, che dirige l’Orto botanico della città.

Luigi Gardoni, Erbario, 1836-1878. Parma, Università degli Studi, Biblioteca dell’Orto botanico

Tra le specie viventi, quelle appartenenti al mondo vegetale risultano essere le più misteriose, nonostante studiosi e studiose ne osservino da sempre le peculiarità. Qual è la prospettiva della mostra «Impronte. Noi e le piante»?
L’esposizione esplora l’evoluzione temporale e culturale delle relazioni tra piante e esseri umani, spiegandola tramite l’influenza esercitata dalle immagini scientifiche. Mettendo in fila gli erbari figurati del Quattrocento, i disegni dei botanici e le stampe dell’Ottocento con le immagini digitali – ottenute oggi impiegando anche tecniche tipicamente biomediche come la risonanza magnetica nucleare – si svela un regolare pendolo tra attenzione naturalistica e desiderio di sfruttamento, tra sapere per scoprire e conoscenza per usare.
L’espressione plant blindness indica frequentemente la scarsa attitudine umana nel notare i vegetali. La mostra rivela che questa cecità nei secoli non ha però colpito ricercatori e studiosi, che anzi hanno impiegato sistemi visuali di ogni tipo per indagare, svelare, raccontare e diffondere le loro scoperte sulle piante; spesso quello che è mancato è un palcoscenico, una visibilità e forse anche una capacità di usare davvero la potenza delle immagini.

Gli erbari, all’inizio soprattutto strumenti medici, nel tempo si sono trasformati in veri e propri talismani filosofici/esoterici, tavole simboliche su cui far scorrere emozioni. Ce n’è traccia nel percorso della rassegna parmense?
La prospettiva esoterica esula dagli intenti della mostra. Tuttavia gli erbari figurati e farmaceutici hanno un posto di rilievo, come quello del tutto particolare realizzato da Luigi Gardoni a Parma nell’Ottocento ed esposto qui per la prima volta. Permette di illustrare la presenza di un sapere etno-botanico, spesso dimenticato nella cultura europea.

Fra le illustratrici botaniche più celebri troviamo naturalmente la tedesca Sibylla Merian. Nell’itinerario proposto nelle dieci sezioni di Palazzo del Governatore figura anche la parmense Rosalba Bernini. Qual è la sua storia e quali le caratteristiche della sua arte?
Per molte donne, purtroppo, l’illustrazione è stata per secoli l’unica porta di ingresso nel mondo della scienza. La trattazione di questo tema soffre spesso di un piccolo paradosso: si parla quasi sempre solo di alcune illustratrici come Merian, diventate meritatamente famose grazie anche alla loro storia particolare. Ciò rischia di creare una sorta di «alibi da eccezionalità» che non rende giustizia al lavoro di molte altre, impegnate per decenni nelle redazioni dei giornali scientifici, presso i quali hanno prodotto illustrazioni meravigliose. Sempre questa focalizzazione porta a pensare che il fenomeno sia tipicamente anglosassone, mentre ha radici anche in Italia. Impronte ospita una sezione espressamente dedicata alle illustratrici meno note. Rosalba Bernini, ad esempio, è stata la prima autrice a impiegare la tecnica della litografia a cavallo tra Settecento e Ottocento, avviando collaborazioni con alcuni orti botanici, presso i quali ha portato quelle competenze tecniche di disegno che gli studiosi del tempo cercavano per completare le loro attività scientifiche.

Louis Van Houtte, «Flore des serres et des jardins de l’Europe: ou descriptions et figures des plantes les plus rares et les plus meritantes, nouvellement introduites sur le continent ou en Angleterre», Vol. 3-1847, Università degli Studi di Parma, Biblioteca dell’Orto Botanico

Anche i modelli in cera dei funghi esposti sfoggiano una «biografia» affascinante…
La nascita della ceroplastica è curiosa e va ricercata nella tradizione devozionale e propiziatoria che in Italia aveva portato a un fiorente artigianato, connesso soprattutto agli ex voto. Le esigenze dei ricercatori hanno introdotto queste competenze nello studio dell’anatomia umana e della botanica: alla ceroplastica si devono, infatti, le prime ricostruzioni delle funzioni vitali delle piante, veri e propri supporti infografici di nuove scoperte scientifiche. Una testimonianza riguarda i modelli di funghi in cera in mostra, provenienti da un dono personale fatto nel 1817 all’orto botanico di Parma da Maria Luigia d’Austria. La cera è però anche un materiale delicato e così le collezioni sopravvissute rappresentano un ulteriore ponte tra dimensione scientifica e quella artistica: dismessi i panni del supporto scientifico oggi questi esemplari sono trattati da musei o gestiti sul mercato dell’antiquariato come autentiche opere d’arte.

Si parla molto di ‘piante vagabonde’, che migrano in posti diversi, seguendo le dislocazioni umane. A quali cambiamenti stiamo assistendo?
I mutamenti più rilevanti riguardano le conseguenze del cambiamento climatico, la diffusione delle specie aliene, la scomparsa di habitat e nicchie ecologiche. L’ultima sezione della mostra è dedicata alle «Foto di gruppo», ovvero a immagini contenenti più piante in contesti antropizzati (città, campi coltivati) e non (foreste, ambienti naturali), usate per tracciare queste trasformazioni su grande scala. Si tratta di immagini che appaiono quasi come opere d’arte moderna, pop o astratta, ma sono in realtà il risultato di rilevanti studi per determinare l’impronta dell’uomo sulla vita vegetale del pianeta. Un altro strumento importante viene dai recenti progetti di digitalizzazione degli erbari, grazie ai quali è stato possibile utilizzare materiali raccolti oltre un secolo fa per ricostruire l’adattamento delle piante al climate change, l’impatto delle attività antropiche sulla biodiversità e persino l’esito delle politiche di contenimento di alcune emissioni inquinanti.

L’ultima parte della rassegna si concentra sul nuovo modo di guardare alla sfera vegetale, con l’aiuto di tecnologie sofisticatissime e anche facendo ricorso all’immaginario artistico. Qual è «l’anello concettuale» che lega arte e scienza?
L’esposizione ha un obiettivo chiaro: molti prodotti della ricerca scientifica possiedono una loro bellezza intrinseca e rappresentano uno strumento fondamentale per lavorare sul sense of wonder delle persone.
Quando un risultato scientifico è al tempo stesso esito sperimentale e sua narrazione ci troviamo di fronte a uno strumento potente, che può essere utilizzato per avvicinare il pubblico alle scoperte e alle loro implicazioni. In questo senso, la mostra ribalta la catena concettuale più comune del legame arte-scienza: ad essere oggetto estetico capace di veicolare messaggi tramite un’emozione non è solo il frutto della creatività umana, ma anche quello stesso della ricerca.

[Da il Manifesto dell’11 gennaio 2024]

N.B. – Le immagini di copertina e nel testo sono tratte dall’articolo del Manifesto e dal Catalogo della Mostra

 

1 Comment

1 Comment

  1. Sandro Russo

    20 Gennaio 2024 at 10:35

    Molto interessante l’intervista al curatore della Mostra botanica di Parma. Mi hanno colpito – e meritano un commento – varie affermazioni…

    Quella che chiama Plant blindness, cecità per le piante. Non è una cosa tanto strana. L’ho vista presente in alcuni lavoratori che ho avuto, rumeni, per la maggior parte. Grandi lavoratori! Ströe, in particolare, che è stato pure a lavorare Ponza e che Domenico (Musco) ben conosce, pesticciava regolarmente le meglio aiuole fiorite – fiori, arbusti, piante di ogni genere – senza minimamente accorgersene, e quando intervenivo giustamente “contrariato” (diciamo così), si scusava con quella strana voce in falsetto che hanno molti rumeni, assolutamente in buona fede: proprio non se n’era accorto! Eh, ma non solo Ströe, dei tanti rumeni che ho avuto!

    Sense of wonder (lett. senso del meraviglioso) è un’espressione inglese usata per indicare la sensazione di meraviglia, di risveglio (awakening), di vago sgomento (awe, nel senso di ammirazione) innescato dall’improvvisa consapevolezza delle meraviglie del possibile, al confronto della vastità dello spazio e del tempo. È anche uno stato intellettuale ed emozionale frequentemente associato a temi (sconosciuti in precedenza) nel campo della biologia, delle scienze e della filosofia.
    Ho focalizzato meglio questo “senso del meraviglioso” leggendo tanto in adolescenza di fantascienza degli “anni d’oro” (quella degli anni quaranta e cinquanta del Novecento) e da allora è stato un senso coltivato, quasi un approccio all’esistenza che mi ha sempre funzionato da marcia in più.

    Infine, riguardo a quelle che nell’intervista sono chiamate “piante vagabonde” ho più che un’idea. Con il titolo “Le piante pazze” sul sito abbiamo loro dedicato un intero articolo (da (ri)leggere, specie per le belle immagini che contiene); in metafora esse hanno ispirato anche un film (di Alain Resnais, del 2009): Les herbes folles (si trova sempre nell’articolo succitato).
    https://www.ponzaracconta.it/2022/07/16/le-piante-pazze/

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