Personaggi ed Eventi

Roma, una mostra su Enrico Berlinguer

segnalato da Luisa Guarino, da la Repubblica

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L’anticipazione
Caro Enrico Berlinguer, leader dell’altra politica. Vita e opere in mostra
di Stefano Cappellini – da la Repubblica di ieri 10 dicembre 2023

Dal 15 dicembre all’11 febbraio all’ex Mattatoio di Roma una rassegna inedita che raccoglie foto documenti e cimeli
Rileggere il passato per capire perché  il Paese non abbia più una classe dirigente degna di questo nome
Un intellettuale ancor prima che un politico capace di dialogare con stile istituzionale con i capi della diccì

Berlinguer ti voglio bene, dolce Enrico, Ber-lin-guer, Berl-lin-guer, le piazze piene e pure le urne, “Eccoci” sulla prima pagina della vecchia Unità, Addio Enrico, i libri, le canzoni, i film, non solo quelli vecchi, anche uno nuovo in lavorazione, regia di Daniele Segre, dove Berlinguer lo fa Elio Germano: «Bravissimo, quando si piega all’indietro da seduto pare proprio papà », anticipa la figlia Bianca che lo ha visto all’opera.
Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista dal 1969 al 1984: un culto popolare senza paragoni, il leader della sinistra più amato da vivo e il più infilzato dopo la morte: non capì, non cambiò, non svoltò, dicono in molti, con qualche critica fondata, la fatale degenerazione della questione morale in giustizialismo, e molto, moltissimo senno del poi.

Incastonata a metà tra i 100 anni dalla nascita, 1922, e i 40 anni dalla morte, giugno 1984, apre una megamostra a Roma dal 15 dicembre all’11 febbraio negli spazi dell’ex Mattatoio: I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer, curata dall’architetto Alessandro d’Onofrio e dagli storici Alessandro Hobel e Gregorio Sargonà. L’ingresso è gratuito.
La organizza l’associazione che porta il nome dell’ex segretario comunista e che custodisce il patrimonio storico e immobiliare del Pci-Pds-Ds. A guidarla è l’ex parlamentare ed ex tesoriere del partito Ugo Sposetti: «L’unico che ha messo a verbale dall’inizio che fondare il Pd era una stronzata», dice tutt’ora di sé come biglietto da visita e con il consueto amore per gli eufemismi, mentre organizza l’ultimo miglio della mostra nella sede dell’associazione a Roma, una ex sezione del Pci nel quartiere Trieste-Salario, seduto sotto una preziosa bozza di Guttuso che rappresenta Aldo Moro, mentre nella stanza a fianco c’è un mastodontico Schifano. «Lo regalò al Pci Gian Maria Volontè quando si candidò alla Regione Lazio», spiega Sposetti.

Duemila metri quadri di esposizione, un padiglione con un percorso multimediale storico e biografico – la carriera, le riforme, le idee – e un altro più pop e iconografico, con i manifesti di Bruno Magno e le fotografie di Angelo Palma, i libri su di lui e la satira, quella mitologica del primo Forattini, con il Berlinguer aristocratico in pantofole e vestaglia che sorseggia tè sotto un ritratto di Marx mentre sfilano in corteo i metalmeccanici, e quella filiale di Sergio Staino, morto poche settimane fa.
I visitatori saranno accolti da una striscia notissima al pubblico di sinistra: Bobo in piazza ai funerali di Berlinguer che ricorda tutte le volte che ha criticato il leader, e sulla strategia, e sul compromesso storico, e sulla Nato, e sul partito, per poi concludere: «Eri un grande dirigente, soprattutto perché non hai mai seguito i miei consigli».

Quando ci si interroga sul perché il Paese non abbia più una classe dirigente degna di questo nome, ogni tanto bisogna anche avere il coraggio di darsi la risposta più vera. Il giovane Berlinguer non guardava Happy Days come i ragazzi della Fgci (cit. Moretti), non giocava alla Play come Renzi, non postava sui social come la gen Z e tutti noi.
Tra i libri personali che la famiglia ha messo a disposizione della mostra, e che il Berlinguer ventenne aveva l’abitudine di datare e autografare, figurano: I doveri dell’uomo (Mazzini), Principi di logica (Aristotele), Lezioni sulla storia della filosofia (Hegel) e i più sorprendenti Teoria dello spirito come atto puro di Giovanni Gentile e Aurora di Friedrich Nietzsche, filosofo fuori linea per un giovane comunista, tuttavia molto amato da Berlinguer quanto un altro compositore non ideologicamente ortodosso: Richard Wagner.

Ma la parte destinata a turbare di più i visitatori, ormai abituati a pensare all’opposizione come a una sala d’attesa nella quale si aspetta il proprio turno di governare, ammesso che venga, è quella sulle leggi che il Pci da lui guidato contribuì a varare in Parlamento dall’opposizione. Solo per citare le principali: divorzio, equo canone, piano asili nido comunali, servizio sanitario nazionale, legge Basaglia per la chiusura dei manicomi. Il riformismo nella sua espressione più pura, quando il Parlamento non era concepito, a destra come a sinistra, come un inutile intralcio ai “pieni poteri” del o della premier.

Sono in mostra gli originali di documenti storici come il discorso che Berlinguer aveva preparato per l’aula del 16 marzo 1978, giorno dell’insediamento del governo Andreotti con il voto fiducia anche del Pci, in due versioni, come doveva essere senza il rapimento di Aldo Moro quella mattina e come cambiò dopo, quando Berlinguer decise di affrontare la sfida delle Brigate rosse con la linea della fermezza e l’assoluta ostilità al riconoscimento politico dei terroristi.
Ci sono le idee dell’uomo, tutt’altro che stantie nonostante la vulgata postmoderna di un leader ripiegato sul passato, per esempio l’attenzione all’ecologia, la centralità del rapporto Nord-Sud del mondo che già cominciava a soppiantare quello Est-Ovest.
Nel 1976 Berlinguer aveva detto chiaro a Giampaolo Pansa da quale parte dell’emisfero si sentisse più al sicuro, sotto l’ombrello della Nato: «Io voglio che l’Italia non esca dal Patto Atlantico anche per questo, e non solo perché la nostra uscita sconvolgerebbe l’equilibrio internazionale. Mi sento più sicuro stando di qua, ma vedo che anche di qua ci sono seri tentativi per limitare la nostra autonomia».
Berlinguer sentiva abbaiare più oltrecortina che in Occidente e, del resto, tre anni prima di quella celebre intervista a Pansa i sovietici avevano cercato di fargli la pelle con un finto incidente stradale mentre era in visita in Bulgaria, ma questo allora lo sapevano solo pochissime fidate persone.

Una mostra destinata al pubblico che c’era come a quello che non c’era e vuole scoprire un’altra politica. Al primo è facile che susciti una qualche nostalgia, al secondo una fondata rabbia per lo stato delle cose presenti, a dirla con le parole di un filosofo più ortodosso di Nietzsche.

Immagine di copertina Con Aldo Moro. Tra i documenti che arricchiscono la mostra, uno scambio col leader diccì poi assassinato dalle Br

L’articolo di Repubblica in file .pdf: La Repubblica del 10 dic. 2023.Mostra Berlinguer p. 11

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