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‘Andavamo tutti alla Caletta’ di Dante Taddia: pagine lette… e vissute

 di Silverio Lamonica

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Con uno stile molto lineare e accattivante, l’amico Dante rievoca il suo impatto con Ponza, una sorta di “dolce tuffo”, grazie al quale conosce la sua futura metà: lei spunta dal limpido mare azzurrino, nei pressi delle Grotte di Pilato proprio davanti a lui, qual Venere che sorge dalle acque.
Una circostanza fortuita ma di grande valenza poetica.

Il racconto di Dante riguarda appunto Ponza agli inizi dei favolosi anni‘60 e si snoda in una serie di brevi capitoli, come dei flash che balzano alla memoria uno dopo l’altro.

Da alcuni sono rimasto particolarmente colpito, perché ne ho vissuto le vicende e le relative emozioni, essendo quasi coetaneo di Dante. Chi di noi può non ricordare quelle francesine in bikini dell’esotico Club Azur, su a La Torre dei Borbone, che Baridon introdusse, quasi provocatoriamente a Ponza? Allora il centro culturale di riferimento dei ponzesi (o almeno della quasi totalità) era ancora la parrocchia. Mi ha stupito non poco che Dante non abbia fatto cenno alle omelie severe e accorate nello stesso tempo, che il parroco Dies rivolgeva la domenica ai fedeli. Mi ha stupito perché, prima di venire a Ponza, Dante ci descrive un istruttivo giro delle sette chiese (le quattro basiliche romane).

Oltre al Club Azur – sempre a La Torre dei Borbone – Baridon organizzò il Centro Studi di Cultura Mediterranea, dove le attraenti ragazze del Liceo Linguistico di Roma, come ricorda Dante, grazie a docenti di madre lingua ben preparati, colmavano le lacune nelle varie materie di studio. Io ricordo che ad alcuni di quei corsi di riparazione potevano partecipare anche ragazze e ragazzi di Ponza. Anche io frequentai un corso di lingua inglese e con me c’era il caro amico Antonio Feola, padre di Aldo e Antonello, rispettivamente medico di base e dentista con studio a Ponza. Entrambi eravamo affascinati dalla lingua d’oltre Manica, oltre che dalle attraenti ragazze del Liceo di cui sopra, naturalmente… La lezione consisteva nel pronunciare in lingua inglese alcune frasi, unite tra loro da un nesso logico, tali da formare un discorso ben definito. Era un esercizio piacevolissimo che seguivamo con tanto interesse, incoraggiati – di tanto in tanto – da un bel Very good indeed che il professore puntualmente elargiva.

Altrettanto puntualmente, in quei favolosi anni ‘60 e oltre, Vincenzo il postino, svolgeva con un eccezionale tempismo professionale il suo lavoro. Vicienze – come tutti lo chiamavamo – la posta residuale che non era riuscito a recapitare all’arrivo della nave e lo sottolinea anche Dante, la portava logicamente a domicilio. Un giorno mi raccontò di aver recapitato una lettera con “Tassa a carico del destinatario di £ 150” ad una signora di una certa età e quella eccepì: “Uh Vicié, accussì assaie, 150 lire! Famme scarzia’!” Mentre lo fissava con uno sguardo speranzoso e ad un tempo furbesco, Vincenzo le rispose deciso: “Nun ze po’ ffà, sennò aggia caccià u rieste d’a sacca mia!”

E la favolosa pesca a totani di sera col novilunio, chi può dimenticarla? Giustamente Dante le dedica ampio spazio: un’affascinante esperienza indescrivibile.

Altri personaggi e momenti di vita non meno interessanti e divertenti, sono sapientemente descritti da Dante, nel loro svolgersi a ponente della mitica Caletta, una volta affascinante palestra per i giovanissimi che lì hanno imparato a tenersi a galla e a nuotare ed ora, anche se orrendamente cementificata, non la lasceremo svanire o morire.

In questo simpatico memoriale di 110 pagine, leggo tra le righe che Dante intende lanciare un appello accorato affinché, sull’altare degli interessi turistici, quel fascino antico di Ponza non venga ulteriormente sacrificato.

 

Ndr: il libro, di cui alcune parti Ponzaracconta in passato ha pubblicato, è stato presentato a Ponza il 28 agosto scorso (leggi qui)

 

1 Comment

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  1. Dante Taddia

    4 Settembre 2023 at 19:58

    Caro Silverio, ti ringrazio per l’attenzione mostrata nei confronti del mio nuovo libro “Andavamo tutti alla Caletta” e della condivisione di molti dei momenti da me descritti. In quanto “civis romanus” sono nato e cresciuto all’ombra del cupolone di San Pietro e sotto l’ala protettrice di Santa Romana Chiesa. Però devo confessare di non aver mai ascoltato a Ponza le “omelie severe e accorate” di monsignor Dies, anche se qualche volta a Messa la domenica ci andavo. Ma forse ero troppo distratto e occupato, tra le notti alla Bussola e le lunghe mattinate alla Caletta e dintorni, direzione grotte di Pilato, grotta di Ulisse e Parata: sempre in buona compagnia come puoi immaginare, bracciata dopo bracciata. Spero comprenderai, e monsignor Dies perdonerà.

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