Racconti

Domani si andrà a pescare

di Francesco De Luca

Domani si andrà a pescare. Il padre fa la sveglia presto. Un sorso di caffè caldo e poi via, con le lenze sistemate nel secchio e un po’ di frutta per colazione.
L’aria da poco è schiarata, le strade fra i caseggiati amplificano i passi. Si rompe il fragile sonno del paese, raggomitolato come i cani randagi negli spigoli.
Il mare è invitante a quell’ora. La barca scivola sulla massa piatta, incorniciata dalle coste. Lascia il porto e i colori delle case dalle linee perfette e si allontana, guadagnando i faraglioni dai contorni contorti. L’acqua si apre al battere dei remi e sbuffa leggera. Così come fa la risacca vicino agli scogli. Vi si avvicinano in silenzio.

Uno dei fratelli scende e carpisce le lumache di mare che al rumore lasciano l’asciutto guadagnando l’onda. Si cerca di prendere le più grosse. Il padre le schiaccia fra due sassi. Ne getta il guscio calcareo ed estrae il corpo molliccio, che infila nell’amo per esca.
La prua è drizzata al largo, verso un punto indistinto, segnato da invisibili coordinate che partono da terra e si incrociano dove sul fondale ci sono le secche.
Intanto il sole è alto, e nel silenzio del mare s’ode lo stridìo dei falchi in amore che si rincorrono con voli acrobatici là, in faccia alla parete diruta. Sulla barca i tre si scambiano battute. Finalmente giungono sul posto. Vengono calate le lenze e si consuma il duello fra l’astuzia dell’uomo e l’istinto animale.

La perchia, vorace e aggressiva, si getta sull’esca a bocca spalancata e viene inesorabilmente catturata. Il secchio comincia a riempirsi e i tre motteggiano ora sull’imperizia di uno nel tirare dentro la preda, ora sui tentativi disperati dei pesci, che saltellano sul pagliuolo, agonizzando. Il sole cocente ne spegne subito la vita indurendo il corpo squamoso. I ragazzi allora prendono la frutta, la sciacquano a mare e, continuando ad armeggiare con la lenza, si dissetano.

La barca appare immobile anche se la corrente lentamente la sposta. Il padre infatti di tanto in tanto coi remi fa in modo di tenere il posto. E l’immobilità favorisce l’opera di demolizione del sole che più incrudelisce coi raggi più debilita la volontà dei tre. Che infine decidono di ritornare. Il secchio è pieno e lo spirito allegro. Una rinfrescata al collo e alle braccia e poi i fratelli impugnano i remi. Via.

Il padre squama i pesci, li pulisce, poi getta una lenza a rimorchio. Ottiene l’effetto sperato: vi abbocca l’occhiata argentata, quando lo scafo rasenta i faraglioni. Sempre più evanescenti nelle sagome, appannate dall’aria incandescente e dal sudore che segna la stanchezza dei corpi.

La barca va spumando a prua, arriva all’insenatura del porto. Animato dai gozzi, anch’essi al rientro, a da altri scafi.
Sulla spiaggia di Santa Maria c’è agitazione. Un bastimento sta riprendendo il mare, dopo un periodo di sosta nel cantiere. E’ il Mariù. I basamenti simili a rotaie toccano l’acqua e lo scafo, fra gridi concitati, vi scivola sopra fino a tonfare in mare, Alcuni natanti lo affiancano come le procellarie il corpo di una balena, e il Mariù poco dopo si muove per un breve giro di prova.

La barchetta dei tre approda sotto il Mamozio. L’uomo scende coi pesci ben nascosti nel secchio. Se così non facesse porterebbe a casa ben poco del pescato, dato che ad ogni combriccola di amici è dovuto uno scotto in natura.
Li aspetta la mamma, che nel vederli mette in ordine la tavola per il pranzo.
La controra poi ammanta di luce i caseggiati e le strade, e si ferma a rinfrescarsi nelle acque delle cale.

NdR: Le immagini inserite nell’articolo riproducono dipinti del pittore Edward Brian Seago, nato a Norwich nel 1910 e morto a Londra nel 1974 (da Frammenti di Ponza)

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