Poesia

Discorso d’artista di Capodanno, a Bologna per le feste

Daniela Sialbani presenta Mariangela Gualtieri ai lettori di Ponzaracconta

 

“Discorso d’artista 1° gennaio 2024”
Mariangela Gualtieri ha partecipato alle celebrazioni per il Capodanno della Città di Bologna

L’esperienza che Mariangela Gualtieri ha condiviso quest’anno al Teatro Alessandro Bonci, con due grandi artisti, il trombettista Paolo Fresu e il pianista Uri Caine, ha riacceso i sentimenti dell’anima. Musica e poesia sono concatenati, si sono resi conto anche i due musicisti
Le parole poetiche di Mariangela Gualtieri illuminano la nostra anima.

(Alessandro Poletti da https://www.spreaker.com)

Ascoltare la lettura poetica, un augurio per il nuovo anno, in fondo, fino al tempo 9′,34’’.

 

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Mariangela Gualtieri (Cesena, 1951) è una poetessa e scrittrice italiana.
Laureata in architettura allo IUAV di Venezia, ha fondato, insieme a Cesare Ronconi, il Teatro Valdoca nel 1983.
Nelle sue opere, sia poetiche che teatrali, ha spesso accentuato l’aspetto della “inadeguatezza della parola”. Nelle interviste rilasciate dalla poetessa sono citati spesso i poeti da lei amati: Dante, Clemente Rebora, Amelia Rosselli, Dylan Thomas.
Il teatro della Valdoca ha rappresentato poesie di Mario Luzi, Franco Loi, Franco Fortini, Maurizio Cucchi, Piero Bigongiari.
In occasione della quarta serata del Festival di Sanremo 2022, Jovanotti ha recitato una poesia di Gualtieri intitolata Bello mondo” [una biografia di Mariangela Gualtieri – completa delle sue opere in prosa, poesia e delle rappresentazioni teatrali – si può trovare in Wikipedia].

***

Esortazione urbana e planetare
di Mariangela Gualtieri per il Capodanno 2024 a Bologna

Poiché io credo
nelle parole
nel loro celeste
di parole
nel loro rosso
acceso.
Poiché io credo che possano
fermare,
sciogliere.
Incendiare,
dare da mangiare.
Fare nascere. Fare ballare.
Allora ecco: vengano
a noi
le bambine parole –
escano chiare
e fiere
dalle nostre bocche.
e con esse parole venga

un silenzio
di covature
quel silenzio
bello
di passi
e di pace
dove il furore del mondo tace
il furore
delle nostre teste
malate.

Prima
che la città
fosse città
era
tutto respiro
diffuso
e slargato
tutto quanto
era
respirato.
Prima che la città fosse città
il selvatico
della terra
cantava così forte
e generava
da ogni vita
altra vita.

Poi edificammo la città
coi porticati
e le torri
con le fontane
e cuocendo la terra
fabbricammo case
e mura
maestose –
e la sola vita che ora c’è
nella città,
è la vita
umana
con la sua appendice
di qualche albero
qualche animale addomesticato,
qualche animale
che poi
verrà mangiato.

E tutta quella vita
che era qua
prima
che la città fosse città
tutta quella vivacissima vita
è stata dimenticata.

Allora, la prima esortazione è:
si possa ricordare – sempre –
che
ogni nostro soffio
è fatto
di foglie
e foreste
di radici
e distese erbose
e senza quelle
sarebbe respiro attossicato,
sarebbe da tempo finito
il nostro
piccolo
essere qui.

Così, in questo anno che comincia appena
vorremo frequentare
la scuola superiore dei fiori,
degli alberi
sapienti,
dei pesci,
la scuola degli uccelli del cielo
l’alta scuola internazionale
dell’acqua da bere,
dell’acqua del mare.

Vorremo guardare più spesso
il cielo.
Le nuvole maestose
e quel blu steso
o anche l’addensarsi del nero fra le case,
e guardare il cielo stellato –
e le stelle
guardiane delle parole
sciolgano
il nostro
inquieto
pensiero.

Questo ti voglio dire,
che non indurisca il tuo cuore
e quando lo senti indurire,
allora pensare
che anche il mondo s’indura con te
e allora voler riparare.

L’augurio grande è
che tu possa tornare
a casa dentro te.
Tornare dove hai imparato a balbettare,
quando tutte le cose stavano senza nome.

Tornare a casa dentro te
dove eri nuova e nuovo.
E così placare
quella nostalgia
di non sai cosa.

Il mio augurio è di preoccuparti e tremare
se pensi
di essere migliore
e ricordare
che l’ape, che il lombrico,
che anche la formica è
più necessaria di te
e di me
a questo verdeggiare della terra.

Ricordare che non sei migliore.

Lo senti?
Tutto sta
in attesa
di una pietà
tutto implora una nostra resa.

Ti esorto
ad essere
gentile.
Qualunque sia il tuo genere,
il tuo colore, la tua età, il tuo nome.
Sii gentile,
che non serve sbattere e sopraffare, invadere.
Non serve
imperare,
potenziare.
Bastonare.
Che vincere non significa niente.

L’augurio è che le mani,
tutte le mani di questa città
facciano al meglio le cose
e poi restino a volte inoperose
in uno stare contemplante.

Che le sere
siano sere
quando si torna nelle case
a respirare in pace.
E nei letti
di questa città
il sonno sia
quel tesoro
occulto
in cui la stanchezza
giace
e si guarisce
dal peso.

Nessuno stia dentro un fare infelice.
E quella infelicità che c’è e che ci sarà, quei giorni quando si torcono le cose
allora l’augurio è che quello stare infelice
porti le sue profondità
e da lì, da quel gradino basso
dove pare ci sia meno luce
proprio lì si compia
quel passo
savio
dove si comprendono meglio
le complicate
umane
cose.

E chi fa il pane
faccia bene il pane
e chi spazza le strade,
spazzi con cura le strade
e chi cammina
provi in cuor suo
un respiro grato
per questo avere cura della bella città.
E chi fa il caffè faccia
il più buon caffè della terra

e si cominci ancora a sentire
che c’è,
senza dubbio
c’è
un bene comune
generale
e che si sta molto bene nel fare bene
nell’avere dentro il pensiero

un pensiero per chi ci sta accanto
in questo traversare
.

Che tu possa proteggere
i tuoi – e io i miei.
Che un’energia viva di salute
ci tenga qui operosi, generosi.
Con la coscienza
che questi fragili corpi,
bombardati
corpi,
i corpi naufragati e rotti,
quelli bastonati,
i violentati,
sono tutti tuoi
sono tutti miei.

Io mi dico: sii tu
a porre la misura
Tocca a te, mi dico,
in ogni momento
tocca a te mettere lì
un dettato di umanità.

Sii anche tu come i pochi
che prendono in braccio lo storto mondo umano
e guardano la terra
come guardare la madre
e hanno cura
grande
dello sventurato,
della supplicante,
dell’abbandonato.

Sii tu, mi dico.
Non aspettare
che qualcuno muova nell’aria un grido,
che qualcuno alzi
il suo autoritario dito.

Innamorarci ogni giorno,
ogni giorno un amore,
che sia albero
o luce del mattino,
che sia nuvola o bambino,
un colore,
un canto,
che sia il gesto di qualcuno,
una faccia,
una pietra,
una collina,
una parola,
un boccone.

Innamorarci.
Allora la pace viene,
viene da sé
e rimane.

 ***

Appendice del 9 genn. 2024 (Cfr. Commento di Sandro Russo)

Cliccare per ingrandire. Gli articoli si possono andare a ricercare in Indice (Cerca nel Sito)

 

2 Comments

2 Comments

  1. Sandro Russo

    9 Gennaio 2024 at 12:51

    Per una coincidenza virtuosa, quasi un regalo, come qualche volta accade sul sito, abbiamo ascoltato gli Auguri per il Capodanno di una poetessa, Mariangela Gualtieri – una vera e propria lezione di umanità e di vita, – echeggiare temi che stiamo proponendo da tempo, ma più compiutamente con quest’ultima serie Into the wild, ripresa dalle pagine culturali de il Manifesto (leggi qui e qui i primi due della serie), sul rapporto degli uomini con le altre specie. E ancor prima negli scritti di Serenella Iovino sull’ecopoesia e su I Guardiani della Terra. Ma già avevamo utilizzato il titolo Into the wild per una serie di articoli sulla crescente distanza tra l’uomo e la natura.
    Nell’articolo di base sono riportate due schermate degli articoli principali, sui temi suddetti.
    Come si vede sono problematiche generali, che ci riguardano come esseri umani. Essere ponzesi o ‘continentali’ non fa differenza al riguardo, semmai un isolano vivendo più “immerso” nell’ambiente rispetto a un cittadino può essere più sensibile e recettivo alla natura e al rapporto con gli altri essere viventi.

  2. Sandro Russo

    9 Gennaio 2024 at 19:33

    Mi ha tanto affascinato la lettura poetica di Mariangela Gualtieri per il Capodano che ne ho riportato anche le parole (nell’articolo di base, sotto la foto dell’autrice, da leggere mentre si ascolta l’audio). Penso che scritte, quelle parole – nel loro celeste… nel loro rosso acceso… – si incidano meglio, si possano rileggere, ancora e ancora… E lascino una traccia più durevole.
    Le ho riscritte, e lette, come si legge una preghiera.

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