proposto da Sandro Russo
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Prosegue la serie di Antonella Iovino da la Repubblica, sui grandi ispiratori delle tematiche ambientalista; mentre H.D. Thoreau è più noto, il personaggio delineato stavolta lo è molto meno, almeno qui da noi. Impariamo sempre molto da Serenella Iovino.
I GUARDIANI DELLA TERRA. 2
Mary H. Austin La ragazza del West
di Serenella Iovino
Audace, bizzarra, provocatrice. Ma soprattutto mistica
Nelle sue opere trovano voce gli indiani, i cercatori d’oro, i coyote
Fu femminista, ambientalista, attivista e grande scrittrice
Le foto ce la mostrano audace, gli occhi negli occhi di chi guarda. In una ha in testa un cappello da ranchero; la fronte è scoperta, solcata da giovani rughe, il mento un po’ alzato. E quello sguardo: chiaro, fiero, a metà strada tra l’invito e la sfida. In altre è vestita con scialli e collane Navajo. A volte indossa bizzarri copricapi floreali. Mary Hunter Austin è così: audace, bizzarra, provocatrice. E mistica: sotto un albero di noce, a cinque anni, vede Dio.
Con lei l’immaginario americano scopre il deserto, e il West comincia a parlare lingue diverse da quella dell’epopea della frontiera. Nelle sue opere trovano voce gli indiani, i cercatori d’oro, le guaritrici, i coyote, le piante, la polvere e tutta quella vita invisibile che ancora non filtrava nel mito.
L’hanno definita la prima grande scrittrice del West. Fu femminista, ambientalista, attivista sociale, amica di artisti e scrittori. Elogiata, criticata, venerata, schernita, era ruvida e profetica. Diceva di leggere il futuro in una sfera di cristallo, ma la sua conoscenza ecologica è scientifica e accurata come in pochi altri al suo tempo.
Mary Hunter nasce in Illinois nel 1868. La sua è una storia come tante in quegli anni. Morto il padre, emigra con la madre e il fratello in California. È il periodo dell’espansione verso Ovest, della corsa all’oro. A quei tempi, per far fronte alla povertà e favorire lo sviluppo demografico, il governo concedeva a chi lo richiedesse il diritto di acquisire terreni rurali non reclamati da altri. Gli Hunter ne occupano uno a Sud-ovest, al confine della San Joaquin Valley. L’impresa è un fallimento, quelle terre sono aride e difficili da coltivare. La famiglia soffre la fame e continua a spostarsi nella regione. Ma è proprio allora che cresce in Mary l’interesse per il deserto e la sua gente. Conosce i contadini e i cowboy della Sierra con i loro cani pastori, e scopre presto che i terreni concessi dal governo non sono disabitati o senza padrone, ma appartengono ai nativi: Mojave, Paiute, Shoshoni. Da loro assorbirà tradizioni, sapienza, spiritualità. Intanto si è sposata con un californiano in cerca di fortuna, Stafford Austin, e ha avuto una figlia. In entrambi i casi la fortuna non è arrivata. Però lei scrive.
Prima di partire per l’Ovest, infatti, Mary ha fatto in tempo a laurearsi in scienze, ad avere opinioni sue. Le aveva avute da sempre: opinioni e visioni. Nella sua autobiografia, Earth Horizon (1932, L’orizzonte terrestre), libro potente e bellissimo che andrebbe tradotto, si racconta bambina con una vocazione mistica sospesa tra sentimento panico della natura e visioni di fatti umani, immagini che non sa se ha visto con gli occhi del corpo o quelli del cuore. Come un piccolo uccello, dice, queste storie volavano dalla mia bocca. Erano storie di uomini e bestiame sepolti dalla Grande Neve del 1834, di rapimenti di indiani, di donne che perdono i figli. Intrecciate a loro sono storie di terra, piante e animali.
Dio le «capita» una mattina d’estate, mentre attraversa un frutteto e il vento scuote la collina su cui sta camminando. C’è un albero alto contro il cielo, un’ape su un tappeto di digitale selvatica. A quel punto, dice, terra e cielo e albero e erba e bambina e ape e fiori non si distinguono più, sono tutti insieme in una «bolla lucente di vita».
Mary non sa niente di Dio, ma è l’unica parola maestosa che conosce, e risuona dentro di lei. Quando la bolla si scioglie niente è più uguale a prima.
Sarà questa tensione spirituale la cifra della sua scrittura. Che emerge presto, e stavolta la fortuna le sorride.
Nel 1903 infatti, proprio mentre il suo matrimonio finisce, sua madre muore e lei affida la figlia disabile mentale a un istituto, Mary pubblica il suo primo libro, The Land of Little Rain (La terra delle piogge rare, Nova Delphi). Ha 35 anni. Il successo inatteso le concede di dedicarsi alla scrittura. Ma in una società in cui, come lei stessa dice, si coprivano le gambe dei pianoforti, una donna scrittrice e libera non era ben vista. Anche qui però la fortuna assiste Mary.
Un ritratto di Mary H. Austin (1868-1934) sulla copertina del suo libro edito in Italia (2023)
Nel 1906, anno del terremoto di San Francisco, viene accolta in una colonia di artisti a Carmel. Ci sono Jack London, Sinclair Lewis (primo Nobel americano per la letteratura), Alice MacGowan e altri autori e autrici, giornalisti e giornaliste, poeti, pittori, fotografi. Lì, in una casa su un albero costruita apposta per lei, Mary scriverà.
Da sinistra: George Sterling, Mary H. Austin, Jack London e Jimmie Hopper a Carmel, California
Sono anche anni di lotte ambientali. Tra queste le California Water Wars, le guerre dell’acqua per il controllo della Owens Valley, il cui bacino fluviale è distrutto per portare acqua a Los Angeles [è la trama di Chinatown (1), ricordate? – ndr]. Prima di separarsi, Mary e il marito vi erano stati direttamente coinvolti. Questa battaglia era andata male, ma altre erano state vinte: per esempio, quelle del naturalista John Muir per l’istituzione dei Grandi Parchi Nazionali.
Muir visita spesso la colonia di Carmel, e Mary lo ammira. Lui è un’icona: a piedi ha percorso l’America dall’Alaska alla California, e si è fatto profeta della wilderness. Ancora oggi, per i più, la natura americana è quella di Yosemite Park: rigogliosa, imponente, sublime – e inequivocabilmente maschile. È una wilderness senza abitanti, quella di Muir: anche i nativi, che l’avevano umanizzata da millenni. ne sono esclusi.
La wilderness di Mary Austin però è un’altra. Non è la montagna, ma sono le terre riarse del Sud-Ovest. La sua ecologia non è verde e umida, ma marrone e secca. Il suo paesaggio ha poco delle maestose scenografie della Sierra di Muir e del fotografo Ansel Adams (che pure con lei farà un libro). E, soprattutto, è un paesaggio abitato.
La grande americanista Cheryll Glotfelty, fondatrice degli studi eco-letterari, ci spiega perché Mary Austin è rivoluzionaria. «Muir e Adams – dice – ti fanno guardare il paesaggio da lontano. Austin invece si siede su una roccia fino al tramonto e osserva il deserto finché non lo vede animarsi. Ti fa capire che il deserto è tutto fuorché deserto, è vivo, sonoro e popolato da creature intelligenti che hanno imparato a coesistere».
Qui, conclude Glotfelty, tutti gli abitanti – la lucertola, il toporagno, la cestaia Paiute, il cercatore d’oro – «make a living», vanno incontro alla vita. È, ci viene da commentare, una mistica creaturale del lavoro collettivo. Mistica, ecologia e politica.
Mary Austin muore in New Mexico nel 1934 dopo altri lunghi anni di creatività e battaglie. Non tutto quello che ha scritto è memorabile, ma lo è la sua voce. Unav oce americana che sa di Egitto, di Mesopotamia. Il deserto, scrive nella Terra delle piogge rare, chiede tanto, ma dà anche tanto: respiro amplissimo, sonni profondi e la comunione delle stelle. Capisci qui che i Caldei erano un popolo del deserto. Nel deserto le stelle sembrano vicine, vive come animali.
Nasce in Illinois nel 1868 La sua è una storia come tante in quegli anni Morto il padre, emigra con la madre e il fratello in California È il periodo della corsa all’oro
[‘I guardiani della terra’, di Serenella Iovino (2) – Continua]
(1) – Chinatown – film del 1974 diretto da Roman Polański, con protagonisti Jack Nicholson, Faye Dunaway e John Huston; soggetto e sceneggiatura di Robert Towne – fu ispirato dalle guerre dell’acqua in California e mostra una versione romanzata del conflitto come elemento centrale della trama