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Gli inganni del linguaggio

segnalato dalla Redazione

“Tiene la bocca come il miele!” E’ un modo figurato per dire che il linguaggio di una persona attira come il miele attira le mosche. A seconda del tono con cui questa frase viene pronunciata si sottolinea la pericolosità, la falsità, l’artefatta sdolcinatezza  della persona  in questione. Del resto spesso, puntando alla rima,  questo detto viene declinato con “Bocca di miele, cuore di fiele” Quindi, per atavica esperienza sappiamo che il linguaggio è uno strumento che può essere piegato a scopi personali circuendo gli sprovveduti.
I nostri politici sono esperti nella manipolazione del linguaggio che ormai è diventato lo strumento principe  per attirare le simpatie degli elettori meno smaliziati. Quando non si possono o non si sanno fare interventi concreti per risolvere i loro problemi, si può usare un linguaggio rassicurante ed assertivo che dà per scontato che, avendolo detto, è stato fatto o si sta facendo. E, ricordiamolo, è linguaggio anche quello che si esprime attraverso la mimica facciale, la postura e, naturalmente, il tono di voce.
Ecco come lo spiega Marco Belpoliti su la Repubblica dello scorso 5 novembre.

Meloni e il linguaggio. Il potere delle parole
di Marco Belpoliti – Da la Repubblica del 5 novembre 2022

Il tema della salute, del Covid, della scienza non si affronta con un approccio ideologico. Si affronta con un approccio serio che tenga conto, quando si prendono dei provvedimenti, di quali siano le evidenze scientifiche a supporto di quei provvedimenti». Così Giorgia Meloni nella sua prima conferenza stampa. Tutto il suo discorso non spiega quali sarebbero queste mancate «evidenze scientifiche» dei precedenti governi, e neppure su quali convinzioni scientifiche il nuovo governo da lei presieduto ritiene di fondare ora le proprie scelte. La frase è un perfetto esempio di quello che il filosofo inglese John L. Austin ha chiamato enunciati performativi, ovvero quel tipo di enunciati che sembrano descrivere o asserire qualcosa, e che, non solo non descrivono, ma non constatano alcunché. Austin mette bene in luce in Come fare le cose con le parole (Marietti, 1987) che di questi enunciati non si può dire siano veri o siano falsi.

Detti in prima persona singolare di un verbo indicativo attivo non descrivono un’azione, servono piuttosto a compierla. Di più: l’atto di enunciare la frase si tramuta nell’esecuzione di un’azione. Meloni ha una spiccata tendenza all’uso degli enunciati performativi, che pronuncia con un tono di voce assertivo che non prevede nessuna dimostrazione o conferma ulteriore: è così e basta. Austin aggiunge una cosa molto acuta: gli enunciati performativi non sono conseguenza di atti provenienti da un’esperienza interiore ma sono puramente operativi, si fondano sulla presa di parola pubblica. Detto altrimenti: quando Meloni parla non dice quello che pensa interiormente, ma formula un’affermazione che va ricevuta come un comando. Se si confrontano le conferenze stampa dei precedenti presidenti del Consiglio (Draghi e Conte) si comprende immediatamente l’ingiunzione prescrittiva che possiede il parlato del nuovo presidente del Consiglio. Ora la questione non riguarda solo la sua personalità umana e politica — certo anche quella — quanto un’attitudine che la destra ha di assumere un atteggiamento performativo: dire è fare. La battaglia che oggi la destra combatte, e che combatterà sempre di più, è quella del linguaggio, per questo utilizza questo tipo di enunciati. E non solo questi. Ad esempio, l’adozione di nuovi nomi per i ministeri, come si è visto nel giorno del giuramento del governo, si basa sulla convinzione che il linguaggio può modellare la realtà. Ha ragione: è così. In un mondo come quello attuale dove l’informazione è il bene primario di scambio e di trasferimento di ricchezza e di potere — il web ha accelerato tutto questo già messo in opera con i precedenti media, radio e televisione — le parole sono il principale strumento con cui si modella la realtà medesima. Quando Giorgia Meloni usa l’espressione «evidenze scientifiche» non afferma nessun contenuto, crea piuttosto una formula che in qualche modo è paradossale: “evidente” significa che può essere facilmente visto da tutti, ma quando mai la scienza è evidente? Richiede competenze specifiche. L’espressione è perfetta per un enunciato performativo: io ho detto che le decisioni riguardo la salute pubblica durante il Covid dovevano fondarsi su «evidenze scientifiche» e so che per certo che non è stato così.

Detto fatto. Come sostiene Austin questo tipo di enunciato non descrive nulla, non asserisce nulla, e non si può dire né che sia vero né che sia falso. L’accusa poi di “ideologia” significa: io che sto dicendo questo non sono ideologica. Mentre è vero il contrario. Tuttavia quello che arriva a chi ascolta, sia attraverso il tono di voce che con l’atto stesso del dire, si tramuta in un’azione — tutto avviene mediante il linguaggio. I regimi autocratici sono fondati non solo sul potere di controllo, e di interdizione, o peggio di violenza e morte, ma sull’uso performativo delle parole. Nella sua conferenza stampa dell’altro giorno Meloni ha affermato: è così e basta. È come se avesse detto: lo so! Ma cosa sa lei della «evidenza scientifica»?

Nulla o quasi. Ha solo citato un dato che è parziale, e detto con quel tono e con la sua sicumera sembra vero: l’Italia è stata la nazione che ha affrontato il Covid con il più alto numero di restrizioni e ha avuto il maggior numero di morti. Peccato che sia anche il Paese con il più alto numero di anziani in Europa, quindi con persone esposte per ragioni di età e di patologie al contagio del virus e alla sua virulenza. Si tratta di una «evidenza scientifica»? No, di un dato statistico, e tuttavia è un dato omesso per ragioni ideologiche dal presidente del Consiglio.

Come si sa ideologici sono sempre gli altri, gli avversari, i nemici.

 

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