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La storia giusta per la VigiliaProposto da Sandro Russo . D’abitudine metto da parte gli articoli che leggo e mi piacciono particolarmente. Con l’aumento dei pezzi – e forse anche il declinare della memoria – ho delle vere sorprese quando accade che me li ritrovo sotto gli occhi… Storia vera di un Natale da niente Il racconto. Una tavola allungata con un asse, attorno una famiglia numerosa negli anni ’50 e un bambino nato tra la miseria e la speranza. Quel bambino era Maurizio Maggiani che oggi ricorda la prima volta che ha capito l’augurio. Ecco, c’è stato là, tra la montagna Apua e quel poco di piana di qua dai canneti versigliani, un paese di contadini senza terra, di manovali e cavatori, un paese da niente di gente da niente, in mezzo a quel paese stava una casa, una casa da niente e dentro quella casa viveva una famiglia, una famiglia da niente ma grande, riempivano quella casa, in mirabile equilibrio di vuoti e di pieni, quello che rimaneva di quattro generazioni di miserabili contadini, e manovali e cavatori, si era nel mezzo degli anni ’50, quella casa era abitata da superstiti, scampati alla disgrazia e alla tragedia della Guerra, sopravvissuti alla distruzione, la casa stessa era un superstite, sopra le sue fondamenta passava il fronte della Linea Gotica. Ma in quella casa c’era un bambino, la quarta generazione, un bambino nato nel tempo della pace, il primo nato dopo che non sembrava che potesse più nascere niente, il figlio della disgrazia e il figlio della speranza, io ero quel bambino. Ero un bambino che cresceva e cresceva, cresceva nella miseria ben protetto dalla speranza che l’aveva partorito. Ecco, quel bambino ha vivida, presente memoria di un Natale, forse il ’55, forse il ’54, il primo Natale che seppe cos’è l’augurio, oh, non la parola e nemmeno il significato, ma la sua carne e le sue ossa, la sua materia. Laggiù, nella parete in faccia al tavolo, c’è un focolare, ancora ce n’erano di accesi a quel tempo, nel focolare, sopra una gran brace, una marmitta appesa per il gancio, nella marmitta colma di acqua spumeggiante sobbalzavano i ravioli della matriarca, morbidi, teneri ravioli grandi come guanciali, ripieni de tuto er bon, di ogni cosa buona che la casa aveva messo da parte e raccolto nell’orto e per le ripe; due parti di boragine lessata e una de prebugion, la crosta grattata del formaggio e il culo della mortadella battuto alla mezzaluna, il rosso dell’uovo e quel po’ di santoreggia, che poca che ce se ne dovesse mettere incensava tutta la cucina già dai recessi della marmitta. Il bambino amava i ravioli dello stesso amore che nutriva per la matriarca, il bambino aspettava il suo piatto per poggiare la guancia su quei cuscini e addormentarsi nel vapore odoroso, e solo in sogno prendere e mangiarseli. Il bambino guardava la matriarca, tutti intorno alla tavola la stavano guardando, anche se non sembrava, anche se qualcuno aveva la testa sul suo piatto vuoto, la matriarca era inginocchiata sulla soglia del focolare, la pietra serena che portava incisi l’anno in cui era stata posata e le iniziali di chi l’aveva fatto perché lì restasse in eterno, inginocchiata la matriarca era grande quanto un fagotto, ai piedi portava scarpe sbrindellate con un buco all’altezza degli alluci perché non le facesse troppo male l’artrosi, aveva davanti a sé un’enorme fiammenga di terra, c’erano sbrecci qua e là negli orli. E teneva per il lungo manico una rama e con quella pescava dalla marmitta i suoi ravioli, li lasciava colare sospesi nei vapori e li poneva con la massima cura nella fiammenga, quindi, da un tegame posto al limite della brace cavava una bella cucchiaiata di sugo e lo spargeva sui ravioli come seminasse. Niente di quel primo giorno di Natale è rimasto, non la casa da niente, che c’è, ma disabitata e senza più camino, non la grande famiglia da niente, che s’è dispersa di là dalla miseria, e nemmeno il paese da niente, che oggi è assunto a ben altro rango di paese da poco, niente è rimasto tranne il bambino, che oggi assomiglia a un anziano signore con le sue manie, e tra queste la fissazione di preparare per il giorno di Natale un pranzo di ravioli, e per quel giorno, al prezzo di grandi inventive e volteggi, mettere assieme una grande famiglia dentro una grande cucina, se non con il camino almeno con un grande fornello. [Da la Repubblica del 24 dic. 2018] Foto di copertina: Maurizio Maggiani
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