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La Napoli velata di Ozpetek
Dal momento che Ponza, tutto considerato, è di tradizioni, cultura e dialetto napoletani, più che laziali, è di Napoli, piuttosto che di Roma, che ciascuno di noi si è fatta un’idea. Come di una città inafferrabile, estrema, sublime e marcescente, disperata e felice, che attrae e respinge. Certamente affascina. Ferzan Ozpetek, il regista di origine turca da anni in Italia (vive a Roma), con un’ormai consistente filmografia all’attivo, propone nel suo più recente lavoro, Napoli velata, la sua personale versione della città immergendovi un mistery erotico tra melodramma e noir. Del film riporto l’intrigante ed essenziale lettura di un’amica cinefila, Paola Pironti
“Napoli velata” è un film strano, con strani personaggi, strane vicende, strane immagini, ma questa stranezza ha il suo fascino e attrae lo spettatore, a cominciare dalla prima scena in cui la macchina da presa, girando lentamente su se stessa, riprende la tromba delle scale di un antico palazzo, facendola sembrare un gorgo, un vortice, metafora della vertigine psicologica in cui sta per precipitare la protagonista, Adriana, che assiste bambina impotente e attonita alla morte del padre, ucciso per gelosia dalla madre sul pianerottolo della loro casa. La ritroviamo Adriana nelle scene successive ormai adulta con un gruppo di amici variopinti e affiatati ad una festa, mentre assiste ad un’antica usanza napoletana (un po’ barbarica secondo me): il finto parto di un “femminiello” e dove incontra un affascinante uomo più giovane di lei che la travolge sessualmente e con cui trascorre una notte di passione che è già quasi amore. Mi fermo qui, perché non voglio dire altro sulla conclusione, posso solo aggiungere che “Napoli velata” forse non è un capolavoro, ma è comunque un film interessante, da vedere, un film che ci ripropone tutto il mondo di Ozpetek: il gruppo di amici, che è una specie di famiglia, l’imprevedibilità, i misteri e le ossessioni della vita quotidiana, la dimensione onirica dei luoghi, in questo caso una Napoli un po’ surreale, barocca e affascinante. Il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino (1753), posto al centro della navata della Cappella Sansevero, a Napoli e (sotto) una “Madonna velata” di Antonio Corradini (1668) che di Sanmartino fu il maestro.
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