Bosso Rita

Marinai, fruttivendoli, orefici e nobili tra Ischia e Ponza

 a cura di Rita Bosso

 

In occasione del gemellaggio Ponza – Ischia, pubblichiamo uno stralcio dello studio sulla marineria ischitana del prof. Agostino Di Lustro, edito da La Rassegna d’Ischia in tre puntate. L’articolo è corredato da foto di uomini che hanno speso la propria esistenza tra le isole di Ischia e di Ponza; di alcuni ci siamo già occupati su questo sito (leggi qui).

Alessio ‘u Mammone da Forio d’Ischia; vendeva frutta in una grotta sotto il tunnel di Sant’Antonio

Sull’attività svolta dai marinai, siamo informati con una certa precisione da diverse fonti archivistiche. Abbiamo già detto che i marinai di Celsa, fin dal secolo XVI, frequentavano le isole di Ponza e Ventotene per svolgervi l’attività di pesca. Lo attestano esplicitamente anche diciotto «padroni di felluca di pesca di questa città, ed isola d’Ischia» i quali il 12 ottobre 1720, in presenza del not. Natale Buonocore di Ischia, dicono «come si è sempre praticato, e li costano benissimo de causa scientie che da essi, e da loro antenati da immemorabile tempo conforme al presente si pratica, che la maggior parte di Padroni pescatori di questa Città et seu Isola d’Ischia di tartaroni come di tartanelle, sciavichielli, spadali, rezze di posta, goffe ed altre ordegne sono andati ogni anno principiendo dal primo del mese d’aprile a pescare nell’Isola di Ventotene, Ponza e Parmarola dove giornalmente si sono pigliate quantità e quantità di pesci, che fra detto mese di aprile più migliara di cantara di ogni qualità di pesci regalati, buoni ed ordinari, e di dette loro pesche ne tengono li partiti con li personali, seu Capi Paranza della Fidelissima città di Napoli, quali Personali, seu Capo Paranza con detti Procuratori di pesca che sono gran numero tengono impiegati più migliara di docati di prestito, e ci mantengono le loro barche per andare a ricercarlo, e parte che lo conducono nella Fidelissima Città di Napoli, oltre delle barche ventoriere, che vanno in detta Isola a farne compra di detti pesci da Pescatori, che non tengono appaldi, e per le tante quantità di pesci, che d’ogni qualità si prendono ridanno sempre in dette Isole quantità di barche di detti ricevitori facendone ogni giorno il primo carrico la prima barca, che si ritroverà approdata in detta Isola con le quali quantità, se ne mantiene l’abondanza per tutto il publico di detta Città di Napoli e suoi Casali, et utile esorbitante all’arrendamento del pesce, e mancando la Pesca predetta in dette Isole conforme sta ordinato dal Banno emanato dalla Deputazione della Salute non solo viene danno notabile alli sudetti patroni e Pescatori di detta Isola con mancare l’abondanza de pesci al publico di detta Città di Napoli, e suoi Casali, ed anco ne risulta danno notabile a detto arrendamento, il quale il maggior lucro di ingabellazione de pesci sono quelli che vi pescano in detta Isola e per la verità del vero hanno essi Patroni ut sopra fatto il presente attestato, e dichiarazione, per mano di me predetto notaro».

Michele Regine da Casamicciola, orefice, si stabilisce a Ponza nel 1930; è agente della società di navigazione SPAN; fonda il cinema Primo in via Corridoio 

Questo documento è di grande importanza sia perché ci fornisce delle indicazioni preziose sulla natura delle imbarcazioni usate dagli isclani, sia sulla destinazione del ricavato della pesca. Diamo uno sguardo alle imbarcazioni degli Isclani. Secondo R. Cisternino e G. Porcaro.

La «tartana» era una imbarcazione usata sia per il commercio che per la pesca e contava da trenta a sessanta tonnellate di stazza. Dotata di un solo albero, con vela latina, aveva una capacità di carico di alcune decine di tonnellate. Se le tartane venivano usate in coppia per la pesca, venivano definite «paranze».

Molto spesso abbiamo però parlato di «feluche». Questo tipo di imbarcazione, molto veloce, poteva raggiungere dalle trenta alle cinquanta tonnellate. Era fornita di un solo albero con vela latina, e talvolta con mezzanella e polacconi. Lo scafo era simile ad una piccola galera e veniva usata come ausilio alle galere e come nave mercantile. Era ancora dotata di tre-cinque banchi così da dare posto a sei-dieci rematori. Non si dimentichi che una feluca effettuò una traversata notturna da Forio a Napoli nella notte tra il 28 febbraio e il 1° marzo 1713 impiegando otto ore, mentre il viaggio di ritorno, effettuato il giorno dopo, fu coperto in appena quattro ore

Lo «sciavichiello» era una imbarcazione che andava dalle cinquanta alle duecento tonnellate, con tre alberi, trinchetto inclinato verso prora, con vela latina. L’imbarcazione aveva uno scafo piuttosto grosso, ma reggeva molto bene il mare e veniva usato sia per le attività commerciali che per quelle di guerra. Alcuni di questi tipi di imbarcazioni, li troviamo riprodotti in alcuni quadri e nelle decorazioni a stucco delle chiese dello Spirito Santo, di S. Gaetano, e nel Santuario del Soccorso, nonché in alcuni affreschi della cosiddetta Torre di Michelangelo.

Ischia Chiesa dello Spirito Santo. barca da pesca con la sciabica (particolare della volta ignoto stuccatore del XVIII sec.)

Ischia Chiesa dello Spirito Santo. Volta della sacrestia. Ignoto stuccatore del XIX sec.

Lacco Ameno. Chiesa di S. Restituta ex voto con veliero (ignoto del XIX sec.)

Il file .pdf del lavoro del prof. Agostino Di Lustro su La Rassegna d’Ischia 1/2004:
La marineria ischitana tra il ‘5oo e l’8oo. (II)

 

Mario Coppa da Forio d’Ischia; arriva a Ponza come fruttivendolo ambulante, poi si stabilisce sull’isola

Luigi Silvestro Camerini – originario del Veneto, è al confino a Ponza dal 1942 al 1943 – si stabilisce a Ischia (leggi qui)

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