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Escursione a Zannone, la verde perla nel Parco Nazionale del Circeo (2)di Franco Schiano
Per la punta precedente, leggi qui Zannone è costituita da rocce sedimentarie formatesi nel periodo carbonifero dell’era paleozoica. Vi sono argillocisti grigio-chiaro e argillocisti caratteristici di terreni devoniani, calcari in azzurro e grigio scuro con vene cristalline come bardiglio; bianchi lastroni di calcari cristallini a strati sottili, dolomiti grige azzurrognole. Una trentina di milioni di anni più tardi, intorno al 600 d. C., una comunità di monaci benedettini mise piede sull’isola. Fu il primo insediamento stabile. Nel 813, a seguito dell’occupazione di Ponza da parte dei Saraceni, i monaci di Zannone (e Ponza) si trasferirono a Gaeta da dove proseguirono per Arcinazzo, dove fondarono un nuovo monastero intorno al quale secondo l’uso dell’epoca sorse la comunità profuga di Ponza di Arcinazzo (oggi Arcinazzo Romano). Quando nel 929, dopo un secolo di guerre sul mare, i saraceni furono cacciati, le isole passarono sotto il Ducato di Gaeta e nel 976 il Duca Gregorio diede Zannone al Monastero di S. Michele Arcangelo di Gaeta, che però sbarcò sull’isolotto solo il 29 giugno del 1213 per restarvi fino al 1295, quando nuovamente minacciati dalle incursioni saracene, abbandonarono definitivamente Zannone per tornare a Gaeta ove fondarono il monastero dello Spirito Santo di Zannone. Di Zannone non se ne parla più fino al 1816, quando la ritroviamo menzionata in un Sovrano Rescritto del 30 ottobre con il quale si ordinava la consumazione del suo territorio a favore degli abitanti di Ponza che però non avvenne. Anzi nel 1819 l’Università di Ponza deliberò essere più utile conservare Zannone agli usi civici degli abitanti di Ponza. Intervenne il Demanio dello Stato che reclamò a sé la proprietà. Si instaurò un lungo contenzioso tra lo Stato e il Comune di Ponza che si definì solo nel 1913 con la vittoria del piccolo Comune di Ponza che si vide riconosciuta la proprietà dell’isolotto. In quel periodo l’isola fu data in affitto ad una società di ricchi signori del nord rappresentati da un certo signor Negro. Ora si è fatto tardi e bisogna scendere giù al Faro dove ci aspetta il nostro barcone per accompagnarci a fare un bel bagno o un po’ snorkeling per chi ne avrà voglia. Ripercorreremo il tratto di sentiero fino al bivio e qui volteremo a destra verso nord e dopo pochi metri raggiungeremo il crinale dal quale inizia la discesa verso il Faro. Il sentiero a differenza dell’altro è alquanto dissestato e bisogna procedere con un minimo di attenzione. Ad un certo punto, appena lasciate sulla destra alcune piccole grotte, lo stradello diventa un rettilineo completamente avvolto da frondosi rami di quercia che formano una volta a sesto acuto. Questo trionfo di verde è interrotto qua e là da alcune macchie di bianco e rosso, sono il fiori ed i frutti del corbezzolo il cui odore aspro si staglia netto in questo spettacolare tunnel, dove la vegetazione è così fitta che oltre il sentiero non scorgeresti una persona a pochissimi metri: un’allegoria della natura, un portico al centro di un convento tutto verde, per ricordarti che sei sull’isola di S. Benedetto. Arbutus unedo (Fam Ericaceae): corbezzolo. Detto anche ciliegio marino e, a Ponza, ‘sorba pelosa’ Mentre aspettiamo d’imbarcarci sul nostro barcone vi racconto la leggenda dei serpenti: In tempi lontani l’isola era piena di serpenti pericolosissimi, ma che amavano la bella musica. Un giorno il re per punire un giovane pescatore, che aveva fatto innamorare la figlia del re col suo bel canto, lo mandò a Zannone, con la promessa che avrebbe consentito al matrimonio sole se fosse riuscito a ritornare sano e salvo dopo un certo periodo da passare sull’isola. Andava incontro a morte certa, se non lo avesse soccorso la sua perspicacia, che gli aveva procurato il soprannome di “Sennone”. A causa dei serpenti il povero Sennone era costretto a starsene sempre in riva mare, ma aveva notato che quando per vincere la noia intonava qualche canzone, i rettili accorrevano in gran numero e si fermavano come ipnotizzati ad una certa distanza da lui. Quando però cessava il canto quelli lo assaltavano e lo costringevano a trovare scampo tuffandosi in mare. Fu allora che gli venne in aiuto la sua genialità. Si mise a cantare a squarciagola senza smettere fino a quando non accorsero tutti i serpenti dell’isola. Quando fu certo che c’erano proprio tutti, si tuffò nel mare continuando a cantare e quelli, innamorati del suo canto lo seguirono finendo tutti miseramente annegati. Fu così che da allora a Zannone non ci sono più serpenti. Insomma è chiaro che grazie a Sennone sull’isola non ci sono serpenti di alcun tipo; solo lucertole tra cui quella verde a pois di Zannone. Mentre ci dirigiamo con nostro barcone verso la spiaggetta detta della Calcara – per via dei ben conservati resti di un’antica calcara probabilmente eretta dai monaci cistercensi per costruire il loro convento – sulla nostra destra vediamo una ripida inaccessibile scogliera. E’ il luogo dove è ubicata la più grande delle colonie di nidificazione della Berta maggiore. La spiaggia della Calcara è il posto ideale per farsi un bel bagno dopo la non breve passeggiata terrestre. Chi vorrà potrà approfittare dei bei fondali per mettere maschera e pinne a fare un po’ snorkeling, avendo cura di rispettare la flora e la fauna sottomarina. La giornata ormai volge al termine è ora di rientrare. Lo faremo completando la circumnavigazione dell’isolotto verso levante, anche per poter ammirare – sia pure solo dal mare – le belle falesie della parte sud orientale ornate da alcuni splendidi esempi di vegetazione rupestre come il Limonium pontium, la Thymelea hirsuta, la Pistacia lentiscus e l’Erica multiflora. Sarà l’ultima immagine di quest’isola magica il cui ricordo porteremo a lungo con noi. Tra un’oretta saremo in porto pronti a bere il nostro aperitivo preferito.
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