Usi e Costumi

Riflessione senile

di Francesco De Luca

 

Io scrivo per testimoniare. Nessuno me lo ha imposto e nessuno mi preme a farlo. Sento un’urgenza che mi spinge  a dire agli altri, a tutti, quello che sento. Per insegnare? No,no. La mia risposta è netta anche se, ben celata al di sotto, c’è una qualche presunzione di avvertire gli altri, di sommuovere in essi l’attenzione. Per piacere allora? Sì, questo senz’altro. Mi appaga, per quel tanto che può, l’aver tentato di avvicinare gli altri a me. Per solitudine? No… penso piuttosto per solidarietà umana.

Vedo, in questi anni di riflessione senile, che la dote più singolare e strana in possesso dell’uomo, la andiamo a nascondere. Qual è? E’ l’umanità, nella sua caratteristica più evanescente e tuttavia più forte, ovvero la sua morale.

Noi si esalta con riverenza e, talvolta, con baldanza la nostra veste nazionalistica: siamo italiani, siamo ebrei, siamo arabi. Ci si appassiona alla nostra veste religiosa. Per essa si soffre, si piange, ci si uccide finanche. Siamo cattolici, musulmani, induisti. Per la veste politica si mente senza pudore, si ruba senza vergogna. Siamo di destra, di sinistra. La veste economica è quella di cui ci si vanta di più. Vuoi mettere? Siam imprenditori e non operai; siamo lavoratori e non sfruttatori!

E poi, tante altre vesti: abbiamo i tratti somatici degli indios, oppure quelli dei vichinghi; abbiamo il pallino della matematica oppure la creatività dell’artista o le qualità dell’atleta.

E via così.

Per queste vesti ci si batte; si scende in piazza; si fanno cortei; ci si affratella. E si sottolinea che esse  ri-vestono il nostro essere uomini perché contraddistinguono la nostra umanità. Si nasconde però la veste che si è indossata allontanandoci dall’animalità: ossia la morale.

L’uomo è l’unico essere che si comporta secondo dettami che gli provengono dall’intimo. E non sono gli istinti. Perché possono essere seguiti o no. Possono ottenere il consenso della volontà o no. Per cui talvolta operiamo genocidi e talvolta salvataggi. E dopo aver commesso l’atto sentiamo amarezza o compiacimento. E se zittiamo la coscienza individuale, è quella sociale ad ammonire o a lodare, a disprezzare o a esaltare.

Ebbene, queste agitazioni che provano tutti gli uomini e che li accomunano, questi sentimenti sono concussati , in virtù del libero arbitrio, in modo becero. Questi, che sono l’espressione più alta della natura umana, sono avviliti da altri, dai quali cerchiamo prestigio, ricchezza, potere. Ecco qui l’apice del nostro agire: il potere. Ossia la facoltà di fare. Sfogo della volontà. Eliminazione dei limiti.

O il potere o la partecipazione. I due poli contrapposti.

La realizzazione storica prodotta dagli uomini ha generato i Clan, le Società, gli Stati. gli Imperi, le Monarchie, le Dittature, le Repubbliche, le Repubbliche  democratiche (l’esemplificazione è voluta).

Ogni gruppo sociale ha edificato ed edifica la sua strada da percorrere come società civile. Noi, noi Italiani dico, avremmo una strada seria, ardua ma gloriosa, perché la nostra Costituzione ce lo consente. Ma… possiamo scegliere di peggio. Talvolta lo abbiamo fatto e siamo sempre in procinto di farlo. Se rinunciamo alla morale (individuale, sociale, politica) cadiamo senza scampo nel ricatto, nella menzogna, nella corruzione. Come lasciamo la coerenza cadiamo nella falsità. Non appena tacitiamo la coscienza morale entriamo nel vocìo della finzione. Con essa si compra il potere non l’onestà.

Questa la mia testimonianza. Ha la validità di una espressione. Nessuna autorità, se non quella che le si attribuisce.

 

NdR: Nell’immagine di copertina: Ercole al bivio, dipinto del 1596 di Annibale Carracci (1560-1609), raffigurante l’indecisione dell’eroe fra le alternative della virtù e del vizio  (da Wikipedia)

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