Detti e Filastrocche

Benedetta ’a mano ’i Ddio

di Francesco De Luca

 

Come ricorda Enzo Di Fazio (leggi qui), circolava fra gli isolani dell’altro secolo questo intercalare, che era un saluto, un augurio, un modo paesano di manifestare vicinanza.
Ce n’erano tanti, anzi no… tantissimi.
Alcuni conviviali, buoni per ogni incontro. Dimostravano una socialità diffusa, come: tirammo annanze. Alcuni erano usuali, asettici, asciutti, come: statte bbuono.

Ricordo quello che pronunziava Salvatore Musella: buongiorno vossignoria e salute. Salvatore era un negoziante coi fiocchi. Attento, capzioso, chiacchierone. Il suo era un invito implicito a tornare al negozio. Che vendeva di tutto. E si chiamava Emporio: Emporio Musella
Qualcuno palesava la comunanza religiosa e la esternava: comme vô ’u Signore.
Dai nonni ci si attendeva il massimo, perché il nonno non ha bisogno più di nulla e tutto vorrebbe avesse il nipote: pozza vunnà.
Il giocherellone è leggero come il suo saluto: si ce vedimmo è sempe bbuono.
Fra i vecchi corre simpatia e invidia. Si spiano, si rinfrancano, si prendono in giro: puozze campa’ cient’ anni. Fra loro il saluto è sempre un arrivederci mai un addio.

La socialità aveva un peso. Era composta da persone e non da individui. Ciascuno era considerato per la sua personalità. Gli individui anonimi erano fuori dalla società viva, quella integrata, in cui ognuno valeva per l’altro, e il tutto  era un intreccio di dare – avere – sentire. Gli intercalari riflettevano quel tipo di relazione sociale, quel tipo di socialità partecipata. Col sentimento e non soltanto con e per il conto in banca.

Non voglio fare confronti fra società ed epoche, e non esprimo giudizi. Ogni realtà va letta per quella che è. Il valore ciascuno lo attribuisce come ritiene opportuno.

 

Benedett ’a mano ’i Ddio. Perché più sentita era la precarietà della condizione umana. Se poi si trascorreva la vita a Zannone, in un isolamento accentuato che fa poggiare tutto sulle disponibilità dell’ambiente e sulle capacità personali, allora l’esistenza non era percepita come in possesso di tutti i diritti; e la natura non era considerata il serbatoio da cui per diritto attingere tutto; e la comunità occorreva costruirla con impegno, fatica e devozione.
Senza la mano di dio non era possibile riuscirci. Dio era (e talora lo è) l’elemento irreale di cui ha bisogno il reale  per credere in sé.

Un uomo è un uomo, l’ Umanità è il suo dio.

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