Concessioni demaniali

L’annosa questione delle concessioni demaniali: breve cronistoria e prospettive

segnalato da Guido Del Gizzo da Il Fatto Quotidiano

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Lobby
Eterna melina sulle concessioni balneari: neanche nel 2024 andranno a gara. Ma entro due settimane il governo deve rendere conto alla Ue
di Chiara Brusini – Da Il Fatto Quotidiano del 3 gennaio 2024

Il balletto va avanti da una quindicina di anni, considerato che la prima proroga (al 31 dicembre 2015) risale al 2009 sotto il governo Berlusconi, la successiva (al 2020) è arrivata nel 2012 con Monti e l’ultima (al 2033) nel 2018, con il Conte 1. Anche quest’anno non cambia nulla: le gare si faranno il prossimo. Il nuovo capitolo della infinita melina sulle concessioni balneari è identico ai precedenti: ancora un rinvio. Giustificato invocando le “ragioni oggettive” in presenza delle quali la legge sulla concorrenza varata nel 2022 consentiva di far slittare di 12 mesi, a fine 2024, le procedure competitive. Ma quali sarebbero gli impedimenti? Semplice: il tavolo tecnico istituito a un anno fa, a cui siedono ministeri competenti, Regioni e associazioni di categoria, non ha ancora stabilito i “criteri tecnici” per determinare se in Italia i litorali siano “risorsa scarsa” – a cui va dunque applicata la direttiva Bolkestein – oppure esistano così tante spiagge libere che è sufficiente mettere a gara quelle. Senza toccare i privilegi della lobby dei concessionari di vecchia data, che versa allo Stato canoni irrisori.

Il richiamo del cdm ai Comuni: “No alle gare” – Il governo Meloni ha messo nero su bianco le sue giustificazioni nel comunicato finale del consiglio dei ministri del 28 dicembre, in cui si legge che “è in corso una interlocuzione con la Commissione europea sui rilievi contenuti nel parere motivato” (nell’ambito della procedura di infrazione avviata nel 2020) per individuare “una soluzione che, in coerenza con l’ordinamento europeo, assicuri le necessarie certezze agli operatori economici e agli enti concedenti in merito all’affidamento dei beni demaniali marittimi”. Nel frattempo, gli enti locali vengono formalmente invitati a non assumere “iniziative disomogenee” – leggi le gare – che potrebbero avere ripercussioni negative sul sistema economico e sociale legato alle concessioni per finalità turistiche e ricreative”. Nel testo non compare però il rinvio di sei mesi (dopo le elezioni europee) per la definizione dei criteri tecnici, sollecitato dal vicepremier Matteo Salvini, che sarebbe stato in palese contrasto con la richiesta di Bruxelles di conformarsi entro due mesi al parere inviato il 16 novembre.

La mappatura con il trucco – A dire il vero il Tavolo coordinato dalla capo dipartimento della presidenza del consiglio Elisa Grande un primo documento l’ha già prodotto, a settembre. Come aveva raccontato Il Fatto Quotidiano, quella relazione considera tutto il litorale “a prescindere dalla sua morfologia”, comprese quindi scogliere e zone montuose su cui nemmeno volendo si potrebbe installare uno stabilimento. Con questo escamotage arriva alla conclusione che, stando Sistema informativo del demanio marittimo, l’Italia è dotata della bellezza di 426mila metri quadri di demanio marittimo di cui solo 77.100 occupati: il 18%. Mentre i dati regionali, per quanto incompleti, direbbero che l’occupazione è a quota 49%. Facendo una media tra i due numeri, a inizio ottobre il governo ha fatto sapere di aver riscontrato “che la quota di aree occupate dalle concessioni demaniali equivale, attualmente, al 33 per cento delle aree disponibili“. Morale: l’Italia sarebbe piena di spiagge libere e le gare si potrebbero fare solo per quelle.

La Commissione smaschera il governo – Ma il parere inviato da Bruxelles a Roma in novembre demolisce quel maldestro tentativo di sottrarre i litorali all’applicazione della Bolkestein. In 31 pagine di analisi, il commissario Ue per il mercato interno Thierry Breton contesta l’inclusione nel calcolo delle aree di costa non accessibili, delle aviosuperfici, dei porti commerciali, delle aree industriali e delle aree marine protette, che evidentemente non possono essere soggette a concessioni. Segue una serie di ulteriori rilievi che portano la Commissione a concludere come “i risultati dei lavori del “Tavolo tecnico” non siano idonei a dimostrare che su tutto il territorio italiano non vi è scarsità di risorse naturali oggetto di concessioni balneari”. E in ogni caso, per Bruxelles, “la varietà delle diverse situazioni locali non può giustificare l’imposizione di una normativa nazionale che preveda una proroga automatica generalmente applicabile a tutte le concessioni balneari in Italia, o addirittura un divieto generale di procedere all’emanazione dei bandi di assegnazione delle concessioni”. Divieto esplicitamente imposto dal decreto Milleproroghe convertito in legge all’inizio del 2023, che punta a mantenere in vigore le concessioni attuali “potenzialmente per un periodo illimitato o comunque indefinito”.

Bocciati pure i tentativi di sostenere che la proroga concessa nel 2018 sarebbe stata “concordata” con la Ue e che è necessaria per evitare “innumerevoli richieste di risarcimento” e garantire “certezza dei rapporti giuridici”: anzi, sottolinea Breton, “è piuttosto la reiterata proroga della durata delle concessioni a compromettere gravemente la certezza del diritto a danno di tutti gli operatori in Italia, compresi gli attuali concessionari, che non possono contare sulla validità delle concessioni esistenti. Contrariamente a quanto suggerisce la risposta alla lettera di costituzione in mora, la situazione giuridica è molto chiara da anni”: le proroghe sono in contrasto con il diritto Ue, come sancito dal Consiglio di Stato, anche se il massimo organo della giustizia amministrativa dovrà pronunciarsi nuovamente sull’argomento per effetto di una sentenza di Cassazione.

I Comuni in ordine sparso – Di qui, evidentemente, la scelta del governo di prendersi altro tempo per mettere a punto i famosi criteri tecnici, “richiamando” nel frattempo i Comuni a lasciare tutto com’è. Non tutti hanno ubbidito: Rimini, Ravenna e altre località della riviera romagnola hanno avviato le procedure per le gare pur prorogando, nell’attesa, le concessioni attuali fino alla fine del 2024. Così come Genova e Lecce. Altri sindaci, invece, si sono limitati alla proroga: tra gli altri Sestri Levante, Santa Margherita Ligure, Viareggio, Marina di Pietrasanta, Fiumicino, Bari, Brindisi e Taranto. Aver calciato la lattina più in là, però, non sarà sufficiente per sfuggire alle richieste della Ue. Che entro il 16 gennaio si attende che l’Italia adotti le disposizioni necessarie per conformarsi al suo parere motivato.

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Appendice del  4 gennaio 2023 (cfr. Commento della Redazione)

I rilievi su balneari e ambulanti
Perché Mattarella ha ragione
di Carlo Cottarelli – Da la Repubblica del 3 gennaio 2024

C’è voluto ancora una volta l’intervento del presidente Mattarella per mettere in luce la relazione conflittuale e contraddittoria che questo governo e questa maggioranza hanno rispetto alla concorrenza e all’operare delle forze del mercato. L’intervento del Presidente riguarda in questa occasione le “Misure in materia di commercio al dettaglio” contenute nel Capo II della legge annuale per il mercato e la concorrenza approvata dal Parlamento a fine anno. Dove sta la relazione conflittuale e contraddittoria? Da un lato, il governo approva puntualmente la legge annuale sulla concorrenza, provvedimento previsto dalla legge del 23 luglio 2009, n. 99: per diversi anni, i governi che si sono succeduti nello scorso decennio alla guida del Paese hanno ignorato questo obbligo. Bene dunque.

Ma dall’altro lato, si usa quella stessa legge, come riportato in dettaglio in altri articoli di questo giornale, per prolungare le concessioni per l’uso del suolo pubblico, in alcuni casi per altri dodici anni, al di fuori di ogni logica di concorrenza tra potenziali concessionari. La contraddizione è però in questo caso spiegata dalla necessità di rispettare vincoli posti dall’Unione Europea: la legge sulla concorrenza era una delle principali condizioni per avere accesso alla quinta rata del Pnrr. Occorreva approvarla, sperando ora che la Commissione possa chiudere un occhio sull’anomalia delleconcessioni di suolo pubblico. Non è la prima volta che il governo si arrende di fronte ai vincoli europei: lo stesso discorso vale, per esempio, per la decisione di non rinviare ulteriormente l’uscita dal mercato “di maggior tutela” per le forniture di gas ed elettricità, un’altra condizione inclusa nel Pnrr.

Insomma, magari al governo non vanno giù queste misure a favore della concorrenza, ma le deve adottare per mantenere una buona relazione con la Commissione Europea e avere accesso alle relative risorse. La contraddizione c’è, ma è spiegata da contingenze finanziarie.

C’è però una contraddizione più profonda, più politica e ideologica. Uno dei principi che il nuovo governo Meloni ha cercato di portare avanti è quello del merito, al punto di cambiare nome al ministero dell’Istruzione, ora ministero dell’Istruzione e del Merito. E ieri il ministro della Pubblica amministrazione Zangrillo ha dichiarato: “Vorrei approfittare diquesta tornata (contrattuale) per ritornare su un tema centrale per l’ammodernamento della pubblica amministrazione: il merito”. E come non può essere a favore del merito chi si è proposto all’opinione pubblica italiana come l’underdog, che emerge e arriva al governo del Paese grazie ai propri meriti? Ma emerge presto la contraddizione con altre esigenze politiche e ideologiche di questa maggioranza. A livello economico premiare il merito vuol dire lasciare operare le forze di mercato e la concorrenza.

Ma questo significherebbe andare contro i propri interessi politici visto che una parte consistente dei voti di questa maggioranza viene da settori che mal digeriscono la concorrenza (come i detentori di concessioni balneari e di suolo pubblico). Ma non è solo interesse politico immediato. C’è anche una forte componente ideologica. Credo che una parte consistente della maggioranza (forse soprattutto nella nuova Lega di Salvini) abbia una profonda avversione alle forze di mercato, identificate come il capitale internazionale, quello à la Soros, per intenderci. Da qui le misure come la tassazione degli extra-profitti delle banche, i tetti ai prezzi dei biglietti aerei delle compagnie low cost, le norme contro la carne sintetica vista come una minaccia alla qualità dei prodotti italiani, dimenticandosi che il primo modo per combattere eventuali extra-profitti, prezzi da monopolio o il pericolo di prodotti di scarsa qualità è proprio aumentare la concorrenza e la trasparenza e non ridurle con interventi amministrativi. Insomma, non si può essere davvero a favore del merito se non si è anche a favore delle forze della concorrenza e delle economie di mercato, e se si vede, in comune con la sinistra più estrema, nell’operare di quelle forze la malvagità di un capitalismo guidato dagli obiettivi di profitto. Una postilla.

Ancora una volta la sollecitazione del Presidente della Repubblica si dimostra particolarmente puntuale e utile. Mi chiedo quanto tale sollecitazione potrebbe avere rilevo una volta approvato il premierato, come previsto dalla riforma costituzionale in corso di approvazione.

Che valore avrebbe una tale sollecitazione di fronte alla posizione di un Presidente del Consiglio eletto dal popolo? È una domanda che dovremo porci necessariamente più volte nel corso del 2024. Buon anno.

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Appendice del 7 gennaio 2024 (cfr. Commento di Enzo Di Fazio)

Vuoto normativo
La melina del governo sulla Bolkestein e il rischio di far pagare ai contribuenti una multa salata
di Matteo Fabbri (da Linkiesta del 6 gennaio 2024)

Meloni vuole prendere altro tempo sulla direttiva che riguarda le concessioni balneari, nonostante la pressione di Bruxelles: magari aspetterà fino alle elezioni europee. Ma stavolta i margini di manovra sono molto limitati

Il 30 dicembre il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha promulgato la legge annuale per il mercato e per la concorrenza. Contestualmente il Quirinale ha inviato al governo le osservazioni relative ad alcuni profili di contrasto della normativa italiana con il diritto europeo menzionando, in particolare, le proroghe delle concessioni per il commercio ambulante. La stessa indicazione era già stata inviata lo scorso febbraio sulla questione dei balneari, una vicenda che da allora è rimasta irrisolta. Il contesto normativo è sempre lo stesso: la direttiva Bolkestein.

Nella conferenza stampa di fine anno tenutasi il 4 gennaio, Giorgia Meloni ha sottolineato che «l’appello del Presidente Mattarella non rimarrà inascoltato». La Presidente del Consiglio però cammina su un terreno molto scivoloso visto che dovrà trovare una quadra tra le pressioni del Quirinale (e di Palazzo Berlaymont) e le promesse fatte negli ultimi anni, che hanno consentito a Fratelli d’Italia di intercettare i voti di un intero settore. Durante la campagna elettorale del 2022, infatti, Meloni ha ripetuto in più occasioni davanti agli imprenditori balneari che una volta al governo avrebbe fatto di tutto per impedire l’applicazione della Direttiva Bolkestein alle concessioni demaniali marittime.

La strategia è ormai nota: dimostrare che la “risorsa spiaggia” non è scarsa facendo venir meno, in questo modo, uno dei presupposti principali per l’applicazione della direttiva. La linea di Palazzo Chigi non cambierà nonostante le perplessità di Bruxelles e Meloni lo ha ribadito nuovamente in conferenza stampa: «Questo governo ha fatto per la prima volta un lavoro che curiosamente nessuno aveva inteso fare prima: la mappatura delle nostre coste per stabilire se esista o non esista il principio della scarsità del bene che è fondamentale per applicare la direttiva Bolkestein. Abbiamo fatto un lavoro serio che ci consentirà di mettere ordine. L’obiettivo del governo è una norma di riordino nella giungla di interventi e pronunciamenti susseguitisi, che ovviamente necessita di un confronto con la Commissione europea. L’obiettivo è duplice: scongiurare la procedura d’infrazione e dare certezza a operatori ed enti».

Restano molti dubbi. A partire dal lavoro svolto dal tavolo tecnico incaricato da Meloni di elaborare la mappatura delle coste. Il dato emerso del trentatré percento di spiagge occupate «non è pertinente», per dirlo con le parole utilizzate dalla Commissione europea. E questo perché è stata presa in considerazione la quasi totalità del litorale compresi i tratti di costa rocciosa, quelli non accessibili, quelli oggettivamente non appetibili e le spiagge che non possono essere date in concessione. La mappatura inoltre è stata fatta su scala nazionale e non comunale, trascurando la specificità delle varie realtà regionali.

Palazzo Berlaymont ha impiegato solo poche settimane a richiamare il governo, sottolineando tutte le perplessità rispetto ai risultati del tavolo tecnico istituito da Palazzo Chigi. La Commissione lo ha messo per iscritto nel parere motivato inviato il 16 novembre che ha avviato ufficialmente la procedura d’infrazione nei confronti del nostro Paese. All’Italia sono stati concessi sessanta giorni per rispondere, manca quindi poco più di una settimana. Ed è per questo motivo che le dichiarazioni della Premier non convincono: con margini così ristretti e la procedura d’infrazione alle porte potrebbe non essere sufficiente che il riordino del settore sia «oggetto del lavoro delle prossime settimane». Il governo proverà ancora a prendere tempo ma questa volta la Commissione europea potrebbe aver esaurito la pazienza, soprattutto considerato che la soluzione ipotizzata da Palazzo Chigi sembra essere l’ennesima forzatura per provare ad aggirare la direttiva. Evitare la procedura d’infrazione sarà molto difficile.

Nel frattempo anche gli enti locali sono in difficoltà: i vari Comuni si stanno organizzando cercando di colmare autonomamente il vuoto normativo lasciato dal governo, chi prorogando le concessioni in essere e chi preparandosi ai bandi. Il rischio però è che in entrambi i casi si inneschi una catena di ricorsi, viste le numerose pronunce europee che vietano la proroga automatica delle concessioni e vista l’assenza delle linee guida nazionali sui bandi. In teoria come quadro di riferimento ci sarebbe la legge 118/2022 del governo Draghi che prevede un sistema di gare in linea con la direttiva europea ma quella legge non è mai stata implementata. Una situazione di incertezza che ha penalizzato gli investimenti, in un settore che attende da tempo una normativa chiara.

Palazzo Chigi continua a procrastinare ormai da un anno e mezzo, rimandando una decisione che in ogni caso sarà inevitabile. E questa è a tutti gli effetti una scelta politica visto che Bruxelles ha ripetuto in tutte le salse che l’unica strada percorribile per risolvere la questione delle concessioni balneari è quella delle gare. Il governo lo sa ma prova a prendere tempo, magari fino alle elezioni europee, quando servirà il consenso anche di quella fetta di elettorato. Questa volta però i margini di manovra sembrano essere molto limitati e con la procedura d’infrazione in corso il rischio è di far pagare ai contribuenti italiani l’ennesima multa salata invece di prendersi le proprie responsabilità politiche.

 

2 Comments

2 Comments

  1. La Redazione

    4 Gennaio 2024 at 09:07

    A corollario e rinforzo dell’articolo de Il Fatto Quotidiano, un articolo da la Repubblica, sempre di ieri, 3 gennaio 2024, di Carlo Cottarelli, dal titolo: “Perché Mattarella ha ragione”

    In chiaro, nell’articolo di base, a cura della Redazione

  2. Enzo Di Fazio

    7 Gennaio 2024 at 18:18

    Il tema delle concessioni balneari, ma anche di quelle demaniali, e di quale sarà il loro destino nel prossimo futuro è di estrema attualità e una buona fetta dell’economia della nostra isola ne è interessata.
    C’è tanta propaganda politica intorno all’argomento e l’attuale esecutivo cerca di far apparire il problema meno grave di quello che in effetti è.
    E’ arrivato il tempo di trovare una soluzione che soddisfi le pressioni di Mattarella di richiamo al rispetto della normativa europea e le aspettative di quella parte del paese che, confidando nelle promesse elettorali, ha portato al potere l’attuale compagine governativa.
    Tempo non ce n’è molto per prendere decisioni e il rischio che le conseguenze di ritardi, improvvisazioni, omissioni e leggi sbagliate cadano sui contribuenti diventa sempre più reale.
    Da qui la necessità di saperne sempre di più e di dare spazio all’informazione che cerca di mettere ordine in tutto quello che si racconta intorno a una materia abbastanza complicata.
    In questo senso appare interessante l’articolo, a firma di Matteo Fabbri, Vuoto normativo. La melina del governo sulla Bolkestein e il rischio di far pagare ai contribuenti una multa salata, che il magazine on-line Linkiesta ha pubblicato ieri e che propongo ai lettori riportandolo in chiaro in calce all’articolo di base

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