Racconti

Quilibet… Al limite del logico

di Francesco De Luca

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A –  Quilibet ? Cosa è quilibet ?
B –  Niente… quilibet  significa uomo qualunque… è parola latina per indicare  ‘uno qualunque’.

A  –  E perché si usa questa parola? Per disprezzo? Come se uno qualunque sia ‘un uomo da niente’?
B  – Beh, certo… la parola, se non dispregiativa, non è nemmeno elogiativa… Un ‘uomo qualunque’  è… uno dei tanti!

A  – Sì, sì, ma non riesco a capire bene: chiunque è uomo qualunque, chiunque è ‘uno dei tanti’ o… c’è chi vale più di altri?
B  – Ma… è chiaro che nell’insieme di chi ci sta intorno, ognuno di noi stila una sua graduatoria. C’è chi ‘vale’ di più e chi ‘vale’ di meno. C’è chi ha un valore affettivo maggiore di altri, e c’è chi ha una valore sociale minore di altri.

A  –  Questo lo capisco… la parola della mamma, ad esempio, ha valore diverso, così come la parola di chi si conosce vale più di quella di uno sconosciuto. Per cui, in definitiva, l’uomo qualunque è caratterizzato tale perché privo di caratteristiche individuali. Nell’insieme anonimo e complessivo dei soggetti, ciascuno è un uomo qualunque, un quilibet. E dunque ciascuno di noi, tutti, siamo inclusi nella massa indistinta, anonima e asettica degli  ‘uomini qualunque’.
B  –  Questo vuol dire che tutti noi siamo ‘uomini qualunque’?

A  –  Certo, visti dall’esterno, da lontano, in una ideale foto, tutti annacquiamo le nostre singolarità, le individualità, e appariamo  nella veste di  ‘quantità umana’.
B  –  Voglio farti osservare però che ‘appariamo’ quantità umana, ma non ci si sente tali. Si offende la singola persona se la si considera ‘uno qualunque’.

A  –  Infatti ciascuno si sente ‘unico’, e non sovrapponibile ad altri.
B  –  Anche se poi, da lontano, come dici tu, nell’espressione ‘gli italiani’ – ad esempio – si comprende idealmente la quantità totale di chi vive e opera in Italia.

A  –  C’è un intreccio concettuale per cui gli uomini sono massa e sono individui; siamo tutti uomini qualunque e nessuno è tale.
B  –  E’ un paradosso. E va studiato. Non accettato né ripudiato, va analizzato. La Storia ha acclarato che, ove l’uomo si consideri nella ‘quantità’, si operano su di lui nefandezze orrende come genocidi, purghe, epurazioni. Se, al contrario, è l’individualità ad essere sovradimensionata allora anche la sua coscienza viene stesa talmente, partecipata talmente, da perdersi. L’Io si sfalda nella società, nella cultura, nell’irresponsabilità collettiva.

A  –  Come al solito l’analisi arriva alla conclusione che nei fatti umani occorre investigare oltre l’aspetto causa-effetto, oltre il binomio bene-male, vero-falso. Tutto è molto più difficile da scoprire. Ed è un obbligo farlo, giacché le semplificazioni sono fuorvianti, e le facili conclusioni sono errate.
B  –  Al ‘limite del logico’…

A  –  Non soltanto…
B  –  Come, non soltanto…?

A  –  Non soltanto, perché accanto alla logica c’è il sentimento… e c’è l’istinto… Tu dici: quilibet  significa ‘uomo qualunque’, come a dire: un oggetto, una cosa, eppure non è così… basta capovolgere i due concetti: non ‘uomo qualunque’ bensì  ‘qualunque uomo’…
B  –  C’è differenza ?

A  –  Certo. ‘Qualunque uomo’ sottolinea la sostanza comune che accomuna tutti gli esseri umani, la base bio-psichica che rende gli uomini tutti tali, nella loro umanità. Ed è su questo che dovrebbe erigersi la ‘socialità’. Dico ‘dovrebbe’ perché il mio è un desiderio, non constatazione. Sulla socialità si costruisce l’economia, la religione, la politica, la morale. Considerare queste attività umane fondate ed erette su ‘qualunque uomo’  significa vederle come espressione di  ‘libertà’ (quella di qualunque uomo) e non campo di sopraffazione.
B  –  Quante parole… Valgono a qualcosa questi ragionamenti ?

A  –  In soldoni, valgono a far capire quale importanza dare alla propria ‘umanità’.

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