Racconti

Considerazioni, metafore e similitudini

di Pasquale Scarpati

Ogni isola, quando più è lontana dalla terraferma, tanto più è stata e continua ad essere, nonostante tutto, un mondo a sé stante. E non parlo soltanto delle piccole isole ma anche di quelle molto più grandi ma lontane dalla terraferma, soprattutto nel loro entroterra.
I giovani dovrebbero e devono essere il propellente del cambiamento sostanziale affinché anche gli altri, come ad esempio le compagnie che effettuano i collegamenti con la terraferma, ne prendano atto e si adeguino di conseguenza.

Ma i giovani hanno bisogno di chi crede in loro e dia una mano valida e, se possibile, disinteressata. Qualcuno timidamente ci tenta o ci ha tentato. Ma essi, se sbattono contro ostacoli di varia natura, sfiduciati, possono abbandonare il campo perché facilmente si scoraggiano, oppure sono costretti ad entrare nel “sistema”.
La baldanza giovanile, infatti, è come ’u fucarazz’ che una sola volta, durante la processione del venerdì santo, innalzai davanti al forno giù alla banchina nuova: tavolette e cartoni con qualche pennecìll’. Una bella, violenta e focosissima fiamma che salì alta verso il cielo ma che durò lo spazio di pochi minuti. La processione, infatti, era appena uscita dal tunnel di Sant’Antonio che quello era già spento! Per cui mi precipitai là dove c’era quello preparato sulla spiaggia.

Una volta l’economia isolana, sia pur magra, era spalmata tutto l’anno.
Come oggi si avverte poco il passaggio tra il giorno e la notte per effetto dell’illuminazione artificiale, così, allora, non c’era quasi nessuna differenza tra estate ed inverno se non per il maltempo che proibiva alle barche di uscire oppure la troppa bonaccia che ugualmente era dannosa per la pesca. In alternativa c’era la campagna. Pescatori diventavano contadini e viceversa. E se il freddo levante o l’impetuoso ponente proibiva loro di trarre guadagno, li avresti visto limare le zappe nella cantina o intrecciare cesti di vimini pensando già ad una copiosa vendemmia oppure li vedevi sistemare e ricucire le reti oppure armeggiare dentro o intorno alla barca, sdraiata su un fianco, tirata in secco, pensando ad una pesca abbondante e fruttuosa.

Era un mondo in cui, giocoforza, ti doveva bastare ciò che avevi. Un mondo in cui la paura del domani e dell’incognito era un fattore insito nell’esistenza umana ma soprattutto in un’Isola, abbandonata da Dio e dagli uomini. Unico rifugio e speranza: il Cielo. Ma Quello, si sa, spesso è lontano e non dà garanzie se non quando ci sali, per cui, quaggiù non rimane che la paura. Questa spinge l’uomo a trincerarsi con i mezzi a sua disposizione. Poiché, però, l’uomo ama la curiosità, crea nel vallo vari buchi per poter guardare se ci sono novità, senza esporsi e senza avere coraggio di osare. La paura, che molti chiamano prudenza, aspetta sempre che giunga qualcosa dall’esterno. Non prende mai l’iniziativa oppure lo fa timidamente, pronta a ritirarsi non appena vede qualche nube affacciarsi all’orizzonte. Singolarmente ognuno “attrezza” il proprio “orticello”: fa una buca, pianta l’albero che più gli piace dove vuole anche vicino al confine, infischiandosene se le sue radici possono far danno al muro del vicino o creare altri problemi. Questo atteggiamento, però, non è una peculiarità solo isolana.

Le novità si presentarono sotto forma di turismo.
Prima molto lentamente, alla spicciolata, gocce di pioggia incipiente poi, scroscio abbondante, flusso copioso. Ma come la pioggia estiva la quale, dopo un po’, si dilegua, lasciando di nuovo vedere il chiaro cielo, così quel flusso abbracciava e abbraccia, però, soltanto una piccola parte dell’anno. Essa però, locomotiva economica, sbuffante, ritornando nella sua sede sulla terraferma ha trainato dietro di sé vagoni zeppi di persone. Alcune di esse sono “forestiere”; le quali, per ragioni, soprattutto economiche, calcavano e calcano il suolo dell’Isola ma soltanto nel breve lasso di tempo. Altre, invece, pur essendo del luogo, per vari e validissimi motivi l’abbandonavano. Avveniva così lo spopolamento dell’Isola. I primi però, non essendo del luogo, tendono a frequentarlo fino a che hanno una loro convenienza, i secondi dovrebbero e devono essere quelli più preoccupati per la sua Salute/Salvezza. Invece tra loro si è creata una sorta di maligna, santa alleanza per il fatto che, come una volta ebbe a dirmi una persona: “Tanto… i turisti vengono lo stesso”.

Così, in definitiva, se ben si riflette un po’, non si fa altro che restare, ancora una volta, in… attesa. Infatti: cui prodest? ( a chi conviene?) smuovere le “ acque ” (tra l’altro anche primaverili e/o autunnali)? O pensare ad altre iniziative al di fuori e nel contesto d’a staggione? A nessuno. Forse, ma per altri motivi, non conviene smuovere nulla neppure a quelli che in un modo o in altro restano sull’Isola tutto l’anno.

Si aspetta…. Come, fino agli anni ’50 del secolo scorso, i cacciatori aspettavano il passo degli uccelli di ogni dimensione, che erano tantissimi (mia madre raccontava che, negli anni’30 o giù di lì del secolo scorso, a i Petruni (1), poco prima della alba il frullo degli uccelli sembrava folata di vento) e anch’io ricordo centinaia di trappole e pesarole sparse in moltissime catene (2) di terra, così si aspettava l’arrivo dei turisti.
Ma come i primi, per vari motivi (cambiamenti climatici, pesticidi, lotta agli insetti di cui si nutrono ecc), oggi scarseggiano,  così questi ultimi, per le ragioni che non sto qui a dire, pare che non siano più così numerosi né danno più certezza. E allora? Come il cacciatore è costretto, oggi, a percorrere (ma con fatica) vecchi sentieri scarrupati e strade antiche, abbandonate, così, penso, bisognerebbe imboccare altre strade anche se… vecchie e disagevoli e quindi più faticose – rispetto ad una bella strada asfaltata.
Ma, quando si percorre quella vecchia strada, essa lascia vedere e soprattutto ammirare ed osservare scenari inconsueti, scorci fantastici che una strada sia pur bella e veloce, giocoforza, non può offrire anzi li nega.
Per questo oggi si parla di turismo lento. Le persone amano lasciare per un po’ la frenesia quotidiana e godersi la Natura. L’Isola, pur nel suo piccolo, potrebbe offrire, tra l’altro, anche questo!

Il pulcino per venire alla vita deve fare lo sforzo di rompere, ma da dentro, col piccolo becco il guscio dell’uovo, così l’antico cerchio arrugginito che cinge l’isolano, fatto esclusivamente di attesa, può e deve essere spezzato solo dall’interno. Ma chi può farlo se non i giovani?
Chi sta più avanti in età, può indicare – se vuole e se c’è qualcuno che ascolti -, vie vecchie e non più o scarsamente frequentate. I giovani, che vorranno, potranno percorrerle usando anche metodi moderni.
A me, a cui i medici hanno cominciato a dire: “Vista l’età…” non resta che vagheggiare una bella passeggiata, tranquilla, per ogni dove e soprattutto là dove l’ambiente, per mia fortuna, è rimasto pressoché ancora uguale a quello della fanciullezza – perché, altrove, molti ambienti non si riconoscono più, stravolti come sono, soprattutto a causa della cementificazione selvaggia – o andare in mare per una bella pescata…

 

Note (a cura della Redazione)

(1) – Era la vecchia strada che portava alle Forna, prima che si costruisse, negli anni ’20, la via Nuova, provinciale, quella asfaltata dove oggi transitano tutti (leggi, sempre nella spiegazione dell’Autore: Il mondo di Pasquale (2). La via vecchia

Immagine di copertina: Panorama dei Conti con lo sfondo del porto. In primo piano, i tetti a cupola della casa della nonna di Pasquale

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