Ambiente e Natura

inNatura, in edicola il numero di settembre

segnalato dalla Redazione

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È appena uscito l’ultimo numero della rivista inNatura – anno IX, n° 3, settembre 2023 –  che seguiamo (e segnaliamo) fin dal suo esordio. Ne proponiamo il Sommario e (in chiaro e in ritaglio-immagine) l’editoriale della direttora Fausta Cotone.

La nostra mano è pesante
di Fausta Cotone

Una vertigine, uno sbalzo di pressione, uno sgradito mal di mare: ognuna di queste cose può provocare una temporanea perdita di equilibrio e orientamento. Alzi la mano chi non ha mai avuto un tuffo al cuore per uno di questi eventi. Vai in confusione per una manciata di secondi e già ti senti sbalzato in un’altra dimensione, dove annaspi fra paura e ansia. Immaginate di essere una Balena, di pesare non dai 50 ai 90 chili, bensì 80 tonnellate e di trovarvi in un mare sconfinato dove i punti di riferimento non esistono, se non nel vostro cervello e nella vostra capacità di interagire con l’ambiente circostante unicamente grazie ad un piccolo sonar biologico senza il quale non sapreste più come muovervi: ma… quel piccolo dispositivo naturale all’improvviso non funziona più. Perché le balene si spiaggiano? Perché sempre più spesso leggiamo di enormi cetacei che, sdraiati all’asciutto sulla sabbia, non riescono più a riprendere il mare e tornare a vivere? Le ragioni di uno spiaggia-.mento possono essere tante. Certo l’animale può essere vecchio e stanco, ferito, malato e incapace di nutrirsi, quindi trasportato passivamente a riva dalle correnti. Ma più spesso ha subito danni al sistema di eco-localizzazione, causati dal crescente inquinamento acustico dei nostri oceani. Infatti gli impulsi provocati dall’utilizzo del sonar delle tante navi in giro per il mondo, specialmente quelle che compiono indagini sismiche, possono spaventarlo, disorientarlo e danneggiarlo seriamente.

E può anche essere spinto ad avventurarsi a caccia di cibo in vicinanza della costa in acque troppo basse e pericolose, perché l’eccessiva attività di pesca l’ha defraudato delle sue abituali riserve di cibo. Per non parlare delle gravi ferite da collisione, provocate dalle grandi navi che troppo spesso navigano su rotte che con prepotenza non tengono conto degli abituali itinerari delle balene. Così questi magnifici, preziosi giganti del mare, feriti, malati e completamente disorientati, si lasciano morire sulla sabbia, spesso per disidratazione, collassando sotto il loro stesso peso o annegando quando l’alta marea copre lo sfiatatoio. E anche stavolta siamo costretti a un doloroso mea culpa.

Come per tanti altri aspetti del degrado ambientale, dobbiamo puntare il dito contro i nostri comportamenti sbagliati e dannosi. Se è vero infatti che per lo spiaggiamento delle balene si può elencare un lungo elenco di cause naturali, è pur vero che gli esseri umani ci mettono il carico da novanta. Siamo diventati la specie più pericolosa, seppur nani rispetto all’immensità del Pianeta. La pesante mano dell’uomo non fa che accelerare o ingigantire processi naturali che vanno avanti da secoli e secoli con un ritmo sempre uguale. E questa accelerazione crea conseguenze disastrose che sembra proprio non riusciamo o non vogliamo affrontare. Da sempre le balene muoiono, ma noi facciamo si che ne muoiano ancora di più e sempre più in fretta. Da sempre il clima cambia periodicamente, ma noi facciamo in modo che la velocità di questo cambiamento sia vertiginosa e letale per la nostra razza. Senza una frenata brusca, la Terra sopravviverà ma la razza umana si estinguerà molto prima del previsto. Perché non riusciamo a fermarci?

Fausta Cotone

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