Zoologia

Tornerà a cantare il dodo

segnalato da Sandro Russo

 

Ricordate l’ipotesi alla base di Jurassic Park, romanzo di Michael Crichton, di cui Spielberg acquistò i diritti prima ancora che fosse pubblicato nel 1990?  Il film è del 1993 e per l’adattamento cinematografico venne assunto lo stesso Crichton senza badare a spese. Il film è considerato una pietra miliare nello sviluppo della tecnica della computer-generated imagery e nella creazione dei soggetti animatronici (futura Industrial Light & Magic). Le sequenze animate digitalmente furono una novità, per l’epoca.
Nel romanzo (e nel film) la clonazione era realizzata estraendo il DNA di dinosauro dalle zanzare preistoriche conservate nell’ambra fossile. Pare che quasi ci siamo.
Di Serenella Iovino abbiamo pubblicato l’antefatto di questo articolo (e praticamente tutto quello di suo che esce su la Repubblica, tanto ci interessa quello che scrive [per cercare altri suoi articoli, in “Cerca nel sito”, colonna di sinistra, digitare Serenella Iovino]:
Sul sito: Il canto del dodo e degli estinti di Serenella Iovino del 19 agosto 2022

Dodo, Raphus cucullatus. Ricostruzione del Dodo presso il Museo nazionale di storia naturale di Francia

 

Il caso
Qualcuno tornerà a volare sul nido del dodo
di Serenella Iovino

Una società americana ha appena annunciato l’intenzione di “riportare in vita” l’uccello estinto attraverso il Dna manipolato di una specie correlata 

Didus ineptus. Inizialmente si chiamava così. Ovvero: così lo aveva chiamato Linneo, dopo che i colonizzatori portoghesi lo avevano trovato a razzolare sulle isole Mauritius, nel 1507. A razzolare, sì. Perché il Didus ineptus, poi ribattezzato Raphus cucullatus, non volava. Balzellonava, più o meno come fanno le galline, solo che lui era più simile a un colombo, o forse a un cigno.
Le dimensioni però erano ragguardevoli: era alto, pare, circa un metro, pesava una ventina di chili, e aveva una grande testa, ali corte e zampe robuste. La coda era un ciuffo di penne ricurve e ricurvo era anche il becco, utilissimo per la sua dieta: frutta caduta che trovava in giro. Non proprio una bellezza, dunque, ma una presenza molto esotica e buffa, tanto da attirarsi quel nome, “doudo” che in portoghese significa “semplicione”. Non sapeva volare, non sapeva nuotare, non poteva scappare. Le sue carni non erano particolarmente gradite agli europei, e questo avrebbe potuto essere la sua salvezza. Ma nella spedizione c’erano anche maiali, e a loro il dodo non dispiaceva affatto. Dopo, forse a bordo di altre navi, vennero le scimmie, e per lui fu fatale.

Sventurato uccello, il dodo. Estinto, pare, prima della metà del 1600, sicuramente lo era nel 1690.
Tutto quello che sappiamo di lui, lo dobbiamo a cronache di viaggiatori. Non se ne sono conservati esemplari in tassidermia: solo tre o quattro scheletri assemblati più o meno fantasiosamente e qualche frammento d’osso e una zampa. Le altre sono ricostruzioni.
Ma la sua azione sull’immaginario è stata potente. Dietro alla figura del Dodo di Alice nel Paese delle Meraviglie, quello che organizza la “Corsa Elettorale” alla fine della quale vincono tutti, per esempio, c’è lo stesso Lewis Carroll (pseudonimo di Charles Dogson – ndr).
Timidamente balbuziente, Carroll pronunciava il suo nome “Do-Do- Dodgson” ed è divertente notare che quando la sua biografia fu inserita nella Encyclopaedia Britannica, subito sopra comparve anche la voce Dodo.

Adesso, sembra, lo faranno rinascere. L’annuncio viene dalla Colossal Biosciences, società americana esperta in progetti di de-estinzione: nella sua lista anche mammut e tigre della Tasmania. Vedremo. I
l dodo lo resusciterebbero non tanto clonando il suo Dna (impresa tecnicamente possibile, ma ancora molto difficile), bensì manipolando il genoma di una specie “strettamente correlata”. Per esempio, il piccione, le cui “cellule germinali primordiali” si impianterebbero in una cellula uovo ospite. L’eventuale risultato sarebbe “un uccello simile a un dodo”.

Niente di imminente, dunque, e forse neanche un “vero” dodo. Eppure, quante domande provoca in noi questo annuncio(o, se si preferisce, questo sogno) della Colossal Biosciences. La prima è: come vivrebbe qui il dodo?
Dove– o da chi – imparerebbe a essere dodo? Quale sarebbe il suo mondo? A queste domande, ne seguono altre, più generali: quand’è che una specie può dirsi ancora vivente? Basta il Dna a fare la biodiversità? Circa novant’anni fa Jakob von Uexküll, zoologo estone-tedesco, pubblicava Streifzüge durch die Umwelten von Tieren und Menschen (in italiano è Ambienti animali e ambienti umani, Ed. Quodlibet). La sua tesi era questa: ogni animale ha un mondo che comprende. Questo mondo è fatto di segni specifici, con parametri determinati. Insomma, è impossibile separare l’animale dal mondo, perché l’animale è quel mondo. Ma se quel mondo non c’è, possiamo dire che c’è l’animale?

In mancanza del suo mondo (l’ecosistema, senza scimmie e maiali, delle isole Mauritius prima che le foreste fossero soppiantate dalla canna da zucchero) il dodo-piccione è un esercizio di ars combinatoria , una glossa, una curiosità. E allora forse l’impresa più colossale non è ingegnerizzare geneticamente un dodo, ma salvare gli altri, i dodi di oggi: aiutarli, quelli sì, a casa loro.
Però questa storia ci dice anche altro: ossia che, quanto più il mondo di questi animali scompare, tanto più noi continuiamo a immaginarceli, a sognarli, a evocarli. Forse è perché fanno parte di noi, vogliamo vederceli intorno – come se li vedevano intorno gli artisti preistorici, che popolavano caverne oscure di bisonti, cervi, gazzelle, tigri, cavalli.
Decine di migliaia d’anni prima dell’agricoltura, quella fu la nostra prima arte: l’ingegneria genetica è una brillante variazione sul tema.
James Hillman dice che ci portiamo dentro la malinconia delle morti del mondo.
«Quando l’ultima giraffa, l’ultimo orso bianco muore, muore anche la prima giraffa alla quale Adamo ha dato il nome, quella imbarcata sull’arca», scrive in Presenze animali (Ed. Adelphi). La nostra psiche, le nostre immagini, i nostri sogni non sono solo nostri: sono del mondo. Anima del mondo, la chiamavano. Quel mondo che è ogni animale, anche quelli estinti, anche noi.

Un esemplare di dodo in una mostra al Museo di Storia Naturale di Londra e (sotto) in un’illustrazione (dall’articolo di Repubblica)

***

Integrazione del 5 febbr. 2023 (Cfr. aggiunta al commento di Sandro Russo)

Il ritorno del dodo. Di Enrico Franceschini.pdf

 

1 Comment

1 Comment

  1. Sandro Russo

    3 Febbraio 2023 at 06:06

    Visto il grande successo del dodo tra i nostri lettori, proponiamo al riguardo un secondo articolo, sempre da la Repubblica (on-line) di Enrico Franceschini, il corrispondente da Londra del giornale.
    In formato .pdf allegato all’articolo di base. Altre notizie ‘strane e curiose’ su come lo sgraziato/disgraziato uccello ha colpito la nostra fantasia.

    A proposito, chissà qual era il verso del dodo? Un’altra delle cose perdute per sempre!
    Se il cane abbaia bau bau, il gatto miagola miao miao, il tacchino gloglotta glu glu, il pavone paupula, l’anatra starnazza…
    Irene Grandi faceva du du du… du du du… du du
    E Gianni Morandi? Capelli lunghi non porta più, non suona la chitarra ma uno strumento che sempre dà la stessa nota: Ra-ta-ta-ta.
    Il dodo è quell’animale che fa: da do do… do do do… do do!

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