Ambiente e Natura

Lettera aperta a un ‘ponzese’ da ritrovare

di Francesco De Luca

Non è passato tanto tempo
da quando sognavamo
di vivere
nel nostro spicchio di terra salato
fra la casa, la chiesa, la strada.
I basoli della piazza con voce brillante salutavano
‘i scrocchele’,
le finestre scrutavano i litigi,
le marachelle
e, a sera, il fumo dell’incenso ci assolveva
per le molestie commesse,
ridando alla fanciullezza
la spigliatezza.

Non è passato tanto tempo !

Poi l’adolescenza
ci frastornò con i profumi degli amori
estivi,
fugaci,
privi di spessore
ma carichi d’ardore.

Lo stesso che mettemmo nell’impegno sociale.
Ciascuno a forgiare il proprio cammino
dovunque chiamasse di lavoro.

Sull’isola maturava intanto
il dissenso
al piattume dei padri
e, come un punto rosso,
prese forma la ribellione.

Si animò la nostra terra
di pensieri espressi,
di slogan,
di giovani esibizioni.

Un sorriso più schietto si irradiò
sui volti rassegnati dei Ponzesi,
pescatori sospesi fra l’arido mare e
il magro contare (politico).

Forse è passato troppo tempo
e non ricordiamo più
il profumo della socialità:
in piazza a Sant’Antuone,
a Calacaparra.

Oggi spira un’aria pigra,
spoglia,
priva di gridi di bimbi,
di ‘maniglia’,
di case accese,
di scambi
dati e resi.

Un tempo
la sarabanda estiva
veniva dimenticata a settembre
per riprendere i luoghi
del calduccio per gli anziani,
gli spiazzi per giocare a nascondino,
lo scarno vivere con gli altri
nell’altalena che nasce e muore,
che parte e resta,
ilare e funesta.

Questo è stato il nostro nutrimento, ieri,
e oggi, da uomini fatti,
abbiamo disfatto la ‘ponzesità’,
ridotta a patetici sprazzi,
svenduta sulle bancarelle in piazza.

La storia si dispiega in età.
La nostra segna la disfatta.
Stiamo dimenticandoci le origini
e per questo
ci aspetta soltanto l’oblìo.
Passeremo come la generazione
che vide il baratro
e non fece nulla per fermare la corsa.

In cosa abbiamo mancato?
Il complesso intreccio della modernità
ci ha travolto, è vero.
Non ne abbiamo saputo coniugare le novità.
Impellenti,
ineludibili.
Abbiamo individuato il compito politico
nel miglioramento dell’economia
e non nella vivibilità globale della comunità.
Si è lasciata l’evoluzione sociale
alla deriva delle forze casuali,
scomposte,
e l’ignoranza ha fatto il resto.
Non sappiamo dove andiamo
perché non abbiamo elaborato un progetto
per il futuro.

La malinconica nostalgia
suggerisce analisi impietose
ma una causa, questa soltanto,
voglio gridarla,
perché ci incolpa tutti.
Quest’isola non l’abbiamo amata
per quello che ci ha dato
e non l’amiamo
per quello che ci darà.

Lo sappiamo, noi sì,
che essa sarà sempre il luogo
del nostro rifugio,
del ritrovarsi.
Non ci deluderà,
e per questo la sceglieremo come ultima dimora.
Ma l’impegno, ora,
l’amore, ora
glielo neghiamo.
Ora,
che i rapporti
si sono ridotti a denunce penali,
a insulti,
a rapidi accenni gestuali,
ad interessate operazioni
che hanno il guadagno vivo
come obiettivo.
Ora
dovremmo partecipare di più,
associarci di più
perché nel noi
si fondi l’io e il tu.
Noi
potremmo sentirci fortunati
come lo siamo stati
nascendo
in un paese
che ha la bellezza
della nostra isola.

Che non avvenga che
si cancelli in noi
il sentimento di riconoscenza
per un luogo che ci ha dato il senso della vita,
la parola per descriverla,
che ci ha indicato alfine come acquistare meriti nella vicenda terrena:
il suo incerto futuro sarebbe stato
un sicuro investimento
per attestarsi negli eventi
che la storia conta.
Ma dovremmo metterci
di nostro
il cuore.

 

1 Comment

1 Comment

  1. Laura Viti

    20 Novembre 2022 at 11:07

    Bellissima la lettera di De Luca! Dovreste veramente ritrovarvi, figli di una stessa terra, con sentire e ricordi comuni! Se non vi ritrovate voi, chi allora?

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