Napoli

Gli Aragonesi a Napoli. La congiura dei Baroni (1)

di Paolo Mennuni

Presentazione
Il gruppo che si riunisce a casa di Paolo Mennuni e Gabriella de Angelis – gli “Atti” delle riunioni sono stati spesso ospitati sul sito: cerca “Compagnia delle cape fresche” (1) –, oltre a testimoniare una resistenza all’età, alle mode e al lasciarsi andare, tira fuori argomenti e approfondimenti di estremo interesse. Generalmente legati alla cultura e alla storia di Napoli. Qui sulla dominazione Aragonese a Napoli, con al centro la Battaglia di Ponza (2). Tra le righe numerose annotazioni di cultura e tradizione napoletana.
L’ho letto con interesse e ho pensato di parteciparlo ai lettori di Ponzaracconta.
In tre puntate.
Sandro Russo

Gli Aragonesi a Napoli. La congiura dei Baroni
di Paolo Mennuni

La congiura dei Baroni fu un complotto organizzato nel XV secolo; ebbe origine in Basilicata come reazione agli Aragonesi che si erano insediati sul trono del Regno di Napoli .

Introduzione
La Congiura dei Baroni
è un fatto storico che si concentra in un biennio (1485-1486) e si prolunga poi di qualche anno per i processi che porteranno alla condanna dei responsabili.

La denominazione deriva dal titolo di uno scritto pubblicato, nel secolo successivo, da uno storico napoletano Camillo Porzio (4) che, con la denominazione generica di “Baroni”, indica tutti i feudatari in genere indipendentemente dal loro titolo effettivo.

Siamo in epoca aragonese e, più precisamente, sotto il regno di Ferdinando I più noto come Ferrante I (figlio di Alfonso I, detto anche il Magnanimo).

È sostanzialmente una ribellione, nata in Basilicata ed in Cilento, da parte dei nobili feudatari, di tradizione angioina, contro l’opera di modernizzazione dello stato iniziata dagli Aragonesi (5).

In particolare, l’argomento del contendere è la riforma fiscale che Ferdinando intende attuare riportando sotto il controllo regio le finanze che, viceversa, erano appannaggio dei vari feudatari.       

Il re, quindi, oltre voler dissolvere quel particolarismo feudale instaurato dagli Angioini, voleva anche favorire i ceti emergenti incrementandone le attività produttive, a scapito delle rendite dei feudatari, in cui non vedeva sviluppi futuri per il regno. Questi ceti emergenti, che il re voleva incoraggiare, sono stati in seguito indicati dagli storici con l’appellativo di “borghesia loricata” (6)

Tale argomento non ha mai avuto il rilievo che gli sarebbe spettato probabilmente sia perché tutto ciò che pertineva al regno di Napoli è stato oggetto di oblio, durante il dominio sabaudo, e sia per la concomitanza di altri fatti storici accaduti tutti nella seconda metà del secolo XV come: la caduta di Costantinopoli, la scoperta dell’America (1492) e l’altra grande congiura, fomentata dal papa, Sisto IV, contro i Medici a Firenze: la congiura dei Pazzi del 1478, per la quale la documentazione storica era più abbondante e puntuale.

Ricordiamo che, nel frattempo, l’archivio storico angioino–aragonese di Napoli è andato distrutto ad opera dei tedeschi nel 1944 a seguito de Le Quattro Giornate di Napoli (leggi qui e ai link collegati).
Comunque la Congiura non ha fruito, come altri fatti storici, dell’opera divulgatrice dell’arte, ossia di quelle forme celebrative come la pittura e la letteratura che contribuiscono a divulgare i fatti storici e a tenerne vivi il ricordo nella memoria generale, cosa avvenuta, ad esempio, per i “Vespri siciliani”.

Ma come mai gli Aragonesi, nell’insediarsi a Napoli, avevano trovato una tale situazione?
A questo punto è opportuno fare qualche passo indietro e rinfrescare la nostra memoria storica circa i fatti di Napoli.

Osservando la facciata del Palazzo reale di Napoli (7) ci rendiamo conto, esattamente, dell’evoluzione storica del Regno e del succedersi delle dominazioni rappresentate dalle statue dei regnanti più rappresentativi per ogni dinastia.

La prima statua rappresenta Ruggiero il Normanno, appartenente a quella dinastia, gli Altavilla, che fondarono il Regno di Sicilia, che comprendeva l’isola e poi tutto il Sud del continente fino ai confini con lo Stato Pontificio. A questi seguirono gli Svevi, che dettero al regno stesso un assetto “moderno” e poi gli Angioini chiamati dai papi Innocenzo IV Alessandro IV che si volevano liberare dell’incomoda presenza dei ghibellini.

Ora il regno di Sicilia degli Svevi, abbiamo detto, era un regno “moderno” per l’epoca in quanto, superando l’ordinamento feudale, caratteristico degli stati medievali, era essenzialmente strutturato ed incentrato sulla figura del sovrano che, attraverso i “giustizieri” che lo rappresentavano nelle diverse province come i “prefetti”, governava uno stato fortemente coeso ed unitario e tutte le Università (comuni) facevano capo al Demanio regio e pagavano le tasse al sovrano.

Viceversa Carlo I d’Angiò, (qui sopra in effigie, la terza statua da sinistra), dovendo ricompensare i numerosi capitani che lo avevano sostenuto nella conquista, aveva poi “spezzettato” quel regno in ben cento sessanta feudi fortemente autonomi rispetto all’autorità del sovrano e questa situazione, protrattasi per ben cento settantasei anni è quella che dovettero fronteggiare gli Aragonesi quando, a loro volta, si insediarono sul trono napoletano.

Oltre a ciò, nel Regno c’era una presenza ingombrantissima del Papato che aveva riottenuto tutta una serie di privilegi antichi su parecchie terre e città meridionali, come L’Aquila, Tagliacozzo, Benevento, Terracina e poi Altamura e che, inoltre, governava direttamente, attraverso vescovi ed abati, la Chiesa del Regno, che era fornita di propria ed autonoma giurisdizione, di propri tribunali, distinti da quelli regi e da quelli feudali, e di proprie finanze provenienti dalla fittissima rete di proprietà ecclesiastiche. Baroni e Chiesa, quindi, si coalizzarono contro il re aragonese ostacolando in ogni modo lo sviluppo della società meridionale verso forme più moderne di organizzazione politica e di dinamismo economico ed imprenditoriale.

Un primo accenno di ribellione avvenne proprio in occasione dell’ascesa al trono di Ferdinando.Vediamo, innanzitutto, chi erano gli Aragonesi e come pervennero alla conquista del trono di Napoli.

Come gli aragonesi giungono a Napoli
Con Carlo II d’Angiò, che sposa Maria d’Ungheria, la dinastia prende la denominazione di Angiò Durazzo, in antitesi con il ramo Valois. Assicura, e fonda una nutrita discendenza fino a Carlo III i cui figli, Ladislao e Giovanna II, non hanno eredi.

Giovanna II (1371-1435) è una regina che, a torto o a ragione, passerà alla storia più per le vicende sentimentali che per le virtù politico-amministrative. Rimasta vedova di Guglielmo d’Asburgo sposa, in seconde nozze, Giacomo II di Borbone che rivela subito le sue mire sul trono di Napoli ma una congiura lo costringe a tornare frettolosamente in Francia. Rimasta sola, Giovanna intreccia una relazione con un oscuro notaio di famiglia illustre: Giovanni Caracciolo, più noto come Sergianni, o Serjanni, che avrà presto il titolo di Siniscalco e le funzioni inerenti.
Anche Sergianni incorrerà nelle ire dei nobili napoletani che offriranno la corona a Luigi II di Valois. Giovanna, che era in trattative per un ulteriore matrimonio con Giovanni II d’Aragona, re di Sicilia, ne adotta il fratello minore Alfonso. Il matrimonio non andrà in porto ma Alfonso, alla morte di Giovanna, diventa automaticamente suo erede e successore anche se la stessa regina, su pressione dei nobili napoletani, aveva passato la mano a Luigi II d’Angiò Valois.

In forza di questi precedenti, nel 1421, Alfonso giunge a Napoli e tenta di farsi riconoscere i suoi diritti da papa Martino V sperando anche che, nel frattempo, Giovanna abdichi un suo favore.
Viceversa Giovanna, sempre pressata dai nobili napoletani, torna sui suoi passi e nomina successore al trono Renato figlio di Luigi II deceduto. Si giunge così al 1423 quando Alfonso assedia Napoli con l’intenzione di catturare la regina che riesce a fuggire mentre; l’anno successivo, Luigi d’Angiò si riprende la città.
Nel 1432 Sergianni muore vittima di una congiura e Giovanna, rimasta sola e senza appoggi, riadotta Alfonso ma, cedendo ancora una volta alle pressioni della nobiltà, nomina successore l’altro Renato, fratello di Luigi II.

La contesa si fa sempre più aspra e si prolunga per ben sette anni finché, nel 1442, Alfonso assedia di nuovo Napoli e, con le sue artiglierie ritenute tra le più potenti d’Europa, riduce in un mucchio di macerie il Maschio Angioino e, il 12 giugno dello stesso anno, attraverso il pozzo di Santa Sofia (8), come seicento anni prima avevano fatto i bizantini, entra in Napoli e la mette a ferreo e fuoco.

Ciononostante si guadagnerà l’appellativo di Magnanimo!

Per inciso va detto che, con la distruzione del Maschio Angioino, andò irrimediabilmente distrutto e perduto un ciclo di affreschi giotteschi che adornavano le stanze interne del castello. Alfonso d’Aragona fa ricostruire dall’architetto spagnolo Guillermo Segrera il castello sullo stesso sito col nome di Castelnuovo e fra le due torri centrali fa inserire l’arco di trionfo che celebra il suo ingresso in Napoli.

Chi sono gli Aragonesi
Alfonso I

Le figure di maggior spicco della dinastia Aragonese furono i primi due sovrani anche perché, ai fini di questa trattazione, sono i più importanti: Alfonso I e Ferdinando I.

Alfonso V d’Aragona Trastàmara, re di Aragona, di Sardegna, di Sicilia e di Napoli era figlio di Ferdinando. Nato intono al 1396. Viene educato alla corte di Enrico III di Castiglia di cui sposa la figlia Maria. Prende quindi il nome di Alfonso I di Napoli (qui sotto, tra le statue del Palazzo reale di Napoli, la quarta da sinistra).

Le trattative per un eventuale matrimonio del fratello maggiore Giovanni II con la regina Giovanna II d’Angiò, di cui abbiamo già parlato, lo convincono che il possesso di Napoli sarebbe stato di gran giovamento per i domini aragonesi nel bacino mediterraneo. Il matrimonio non va in porto, ma Giovanna chiede il suo intervento contro Luigi II d’Angiò che le insidiava il trono. In quell’occasione Giovanna dichiarò la sua disposizione ad adottare Alfonso come figlio e quindi come erede al trono di Napoli. Eredità che si realizzerà dopo alterne vicende soltanto nel 1442 dopo un paio di ripensamenti da parte di Giovanna II, come già visto.

La svolta nella vicenda di Alfonso avviene proprio nel 1435, anno della morte di Giovanna, quando nella Battaglia di Ponza (2), contro i genovesi, alleati degli Angioini, Alfonso con i fratelli Enrico e Giovanni vengono fatti prigionieri e consegnati nelle mani del duca di Milano, Filippo M. Visconti di cui Genova era, in quel lasso di tempo, tributaria. Alfonso, dietro pagamento di un forte riscatto (30.000 ducati), si fa rilasciare e stipula un’alleanza con lo stesso Duca di Milano che d’allora diventerà uno degli alleati più fidati di Alfonso e poi del figlio Ferrante.

Battaglia navale; scontro al largo di Ponza

Come sovrano di Napoli incontrò difficoltà a gestire le finanze per le resistenze dei Baroni che detenevano feudi molto vasti. Questo contenzioso si prolungherà nel tempo e sarà il motivo della “congiura” contro il figlio Ferdinando. Cercò, allora, di valorizzare al massimo la parte di demanio libera dando un forte impulso all’attività armentizia. Destinò il tavoliere di Puglia a pascolo invernale (dal 23 novembre all’8 maggio) e esentò i pastori dal pagamento dei diritti di passo, regio o baronale che fosse, lungo le vie della transumanza, ossia i tratturi che, in seguito diventeranno regi; istituì anche la dogana delle pecore a Foggia, dove tuttora si trovano gli uffici che sovrintendono al demanio tratturale e dimezzò anche il prezzo del sale pastorizio; il tutto in cambio in cambio del pagamento di un diritto fisso.

Istituì anche la Regia Camera della Sommarìa, un colosso amministrativo-finanziario-giudiziario rimasto operativo fino all’avvento del periodo napoleonico. Era una sorta di Corte dei Conti con compiti anche amministrativi in quanto, all’epoca i poteri giudiziario ed amministrativo convergevano nelle stesse figure.

Tutti i posti chiave, però, erano saldamente in mano a personalità di provenienza ispanica, in gran parte catalana, perché più fidata. Infatti il primo responsabile della Sommarìa fu un d’Avalos. Ciò provocò malumori nell’aristocrazia napoletana, ma l’autorità e l’autorevolezza di Alfonso erano fuori discussione soprattutto in virtù dei titoli di cui era in possesso diversamente, come vedremo, dal suo successore Ferdinando o Ferrante.

Alfonso lasciò il regno di Aragona nelle mani fidate della moglie Maria di Castiglia (vedi sopra) mentre ebbe, a Napoli, un’amante: Lucrezia d’Alagno che fu quasi una regina ombra cui dette in dono l’isola d’Ischia. Si invocò anche l’intervento di papa Callisto III, spagnolo (Borja) eletto con l’appoggio di Alfonso, per chiedere l’annullamento del matrimonio con Maria, cosa che il papa negò. Lucrezia ebbe molti vantaggi economici da questa relazione con il re ma, alla morte di Alfonso, non fu nominata nel testamento. Morì a Roma dove nel frattempo si era trasferita e fu sepolta nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva ma della sua sepoltura non v’è traccia.
Alfonso muore a Napoli nel 1458 dopo aver introdotto il “rinascimento” e fatto della città un centro culturale di ordine primario.

Ferdinando I
Ferdinando I (o Ferrante) è figlio naturale di Alfonso I, il Magnanimo. Legittimato da papa Eugenio IV, sale al trono nel 1458. Continuò, ma con maggior decisione, a mettere ordine nelle finanze del regno sbarazzandosi delle baronie che tentarono strenuamente di contrastare la politica di un sovrano, oltretutto, spagnolo. Questi contrasti furono acuiti dall’intervento di Pio II Piccolomini che successore di Callisto III, che muore qualche mese dopo Alfonso, e che revoca sia il testamento del Magnanimo che la legittimazione di Ferrante. A questo punto i nobili napoletani si ritengono superiori per lignaggio: mentre loro vantavano origini remote, risalenti ai longobardi o, addirittura, all’impero romano, Ferdinando, per loro, non è altro che un bastardo non più “legittimato”, al contrario del padre che aveva diversi regni sotto di sé. Insomma diventa anche una questione di rango.

Pur avendo sposato Isabella di Chiaromonte, per stringere legami con i feudatari napoletani, la sua ascesa al trono fu osteggiata sia da questi che da papa Callisto III, in combutta con Giovanni d’Angiò, figlio di Renato. Fu costretto, quindi, ad affrontare i baroni sui campi di battaglia. Sconfitto a Sarno (1460) si riprese a Troia (1462). Dopodiché, prese a sbarazzarsi degli avversari.

Con matrimoni mirati dei numerosi figli e figlie (9), tessé una tela di relazioni molto importanti che gli tornarono poi utili. Partecipò anche a guerre costose, che lo costrinsero ad operare una politica fiscale dura; questa finì con l’essere la scaturigine delle controversie che portarono alla “congiura”.

Questo contrasto con i feudatari durerà a lungo e si concluderà, dopo una serie di inganni e tradimenti da ambo le parti, con un’ecatombe.
L’inganno più eclatante, nonché conclusivo, fu l’invito a corte, col pretesto delle nozze di Maria Piccolomini, nipote del re, con il figlio del duca di Sarno Francesco Coppola ci fu un invito a corte.
Poiché era in corso un accordo con il patrocinio del Papa, la ribellione dei “baroni” non era in discussione ma, con il pretesto di aver arrecato danno all’erario, i nobili in odore di congiura furono arrestati nella sala che tutt’ora è conosciuta come “la Sala dei Baroni”, sede del Consiglio Comunale di Napoli
Ufficialmente molti dei congiurati non furono condannati a morte ma morirono di morte naturale… in prigione!

La Sala dei Baroni, è la sala principale di Castel Nuovo (già Maschio Angioino), attualmente sede del consiglio Comunale di Napoli


Note

(1) – Digitare – Cape fresche – nel riquadro Cerca nel Sito in Fronstespizio, per altri lavori presentati dal Gruppo

(2) – Nota di disambiguazione su “Battaglia di Ponza” (fonte Wikipedia)
L’assedio di Gaeta e la conseguente Battaglia di Ponza sono due eventi storici accaduti nel 1435. In quell’anno Alfonso il Magnanimo (Alfonso d’Aragona), nella lotta per impossessarsi del trono napoletano di Renato D’Angiò  si rivolgeva contro la roccaforte di Gaeta che ancora gli resisteva. Nel corso degli eventi veniva sconfitto e catturato dal genovese Biagio Assereto, e poi liberato dal Duca di Milano Filippo Maria Visconti.
La Battaglia di Ponza (1552) è stata una battaglia navale che si svolse nelle vicinanze dell’isola di Ponza e venne combattuta tra la flotta franco-ottomana di Turgut Reis e la flotta della Repubblica di Genova guidata da Andrea Doria. I genovesi vennero sconfitti e persero sette galee che vennero catturate. Come esito della battaglia, gli ottomani ebbero la vita facilitata nelle loro razzie lungo le coste della Sicilia e della Sardegna nei successivi tre anni.
La Battaglia di Ponza del 1435 è stata ampiamente trattata sul sito, da Francesco De Luca e Silverio Lamonica: almeno sette articoli che di possono visionare digitando – battaglia di Ponza – nel riquadro Cerca nel sito, in Frontespizio

(3) – Il ramo napoletano dei Trastámara d’Aragona fu una nobile dinastia europea derivata per via illegittima dall’omonima famiglia regnante nella Corona d’Aragona nel XV secolo. I suoi membri furono Sovrani di Napoli dal 1442 al 1501; con un’appendice Trastámara (Unione personale con la Spagna; 1504–1516). Si estinsero nella seconda metà del XVI secolo (fonte Wikipedia: Sovrani di Napoli].

(4) – Camillo Porzio, La congiura de’ baroni del Regno di Napoli contra il re Ferdinando primo e gli altri scritti, a cura di Ernesto Pontieri, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1964.

(5) – Ernesto Pontieri: “Per la Storia di Ferrante I d’Aragona re di Napoli”. Morano editore Napoli 1947

(6) – Il termine “loricato” si riferisce ad una corazza costituita da piastre di cuoio, corno o materiale metallico che fu già dei legionari romani, ritornata in auge nel Medioevo. Nel caso in specie le pseudo-armature di cui questi borghesi si paludavano nelle occasioni pubbliche. Analogamente “loricata” è la corazza a scaglie del coccodrillo e il rivestimento esterno di alcuni alberi, tipicamente il pino loricato (Pinus heldreichii)

(7) – La trattazione analitica dei personaggi storici presenti in effigie sul frontespizio della Reggia di Napoli è stata fatta da Paolo Mennuni in questo articolo, pubblicato sul sito il 28 ottobre 2019.

(8) – La città di Napoli non possiede la ricchezza di acquedotti di Roma. All’epoca cui si riferiscono i fatti narrati, intorno alla metà del 1400 le più importanti opere idriche di Napoli erano costituite dall’Acquedotto del Serino, di epoca augustea – all’epoca caduto in disuso per omessa manutenzione -, nato per alimentare la cisterna Mirabilis (leggi qui) a capo Miseno (Comune di Bacoli), per i rifornimenti della potente flotta romana, ma che alimentava nel suo decorso dall’altopiano carsico irpino, dopo 96 chilometri, ben otto città; inoltre l’acquedotto della Bolla, più modesto, ma meglio mantenuto dell’altro e all’epoca attivo. Una serie di cisterne, collegate tra loro, la maggiore della quale è appunto quella di Santa Sofia, costituivano un intrico sotterraneo rispetto alla città in superficie. Giuseppe Maria Montuono: L’approvvigionamento idrico della città di Napoli. L’acquedotto del Serino e il Formale Reale in un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Madrid

(9) –  I matrimoni della Casata. Alfonso sposa Ippolita Sforza, figlia di Francesco duca di Milano e di Biancamaria Visconti; Giovanni abbraccia la carriera ecclesiastica (Abate di Montecassino e poi Cardinale); Eleonora sposa il duca Ercole d’Este; Beatrice sposa Mattia Corvino, re d’Ungheria.

Immagine di copertina. Raffigurazione del Castel Nuovo (Maschio Angioino) intorno al 1470 al massimo del suo splendore. Particolare della Tavola Strozzi, che raffigura Napoli nel XV secolo.

 

[La congiura dei Baroni (1) – Continua]

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