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Ogni volta che trovo un articolo che riguarda Renzo Piano, il racconto o un’intervista per l’inaugurazione di una sua nuova opera – una delle tante sparse per il mondo – leggo con attenzione e metto da parte. C’è sempre da imparare dall’esperienza di questo genio italiano; ogni volta una illuminazione sul suo lavoro, sul processo creativo, sulle implicazioni della sua realizzazione nel contesto e per la funzione cui è destinata.
Così ho condiviso sul sito l’imperdibile intervista di Federico Rampini – dello scorso 20 settembre – sulla creatività, il cinema e i rapporti tra l’architettura e la settima arte per l’inaugurazione de la Casa del Cinema a Los Angeles.
Il Museo di California, Los Angeles Academy Museum of Motion Pictures (foto di Ringo Chiu)
Così, in morte di Gino Strada, rievocando con commozione l’amico, Piano ricorda la realizzazione dell’Ospedale per bambini di Emergency International in Uganda, che oltre che utile e funzionale, fosse anche “scandalosamente bello” (l’articolo è di Enzo Di Giovanni dell’agosto 2021).
Uno degli alberi di jacaranda piantati a fianco dell’ospedale
In questo articolo, da la Repubblica di ieri, si tratta della realizzazione di un Museo realizzato a Mosca, sull’area e nella struttura di una vecchia centrale elettrica. Un racconto come al solito affascinante, dove la cultura si sposa con l’umanesimo e la tecnologia con la capacità di visione.
S. R.
Il Ges-2 di Mosca (foto di Michel Denancé)
Renzo Piano: “Nel mio nuovo museo c’è tutta la luce di Mosca”
dalla inviata di Repubblica, Rosalba Castelletti – del 4 dicembre 2021
Nella capitale russa si inaugura Ges-2, il nuovo progetto firmato dal grande architetto. Che qui svela i segreti del suo ultimo capolavoro
MOSCA – Anche nella più plumbea delle giornate dicembrine, Ges-2 riesce nel miracolo di moltiplicare la luce. Quella che un tempo era una tetra centrale elettrica pre-rivoluzionaria che riforniva di energia il Cremlino e la prima rete tranviaria della capitale russa, dopo sei anni di progettazione e lavori si è trasformata nel più grande spazio in Russia per l’arte contemporanea. “Molto più di un museo. Un palazzo di cristallo quasi incantato dove si può entrare liberamente. Un mondo strano. Un piccolo miracolo. Una lanterna magica”, insiste Renzo Piano che, da grande demiurgo, è riuscito a far scaturire il bello dal grigio e a dare vita a una trasformazione colossale.
Una centrale rigenerata per fornire energia alla gente che si erge a due passi dal Cremlino sull’argine Sud dell’isola Balchug, incastonata tra due bracci della Moscova. Un progetto sostenibile con pannelli solari, un bosco di betulle e quattro imponenti ciminiere color blu che, invece di sputare fumo, catturano aria pulita e si stagliano nel cielo di Mosca come l’icona di quello che è destinato a diventare un centro di fama mondiale. “In qualche modo rammentano che questo luogo è speciale”. Un’opera resa possibile grazie al magnate del gas e collezionista d’arte Leonid Mikhelson, uno degli uomini più ricchi di Russia che, con la gallerista italiana Teresa Iarocci Mavica, ha dato vita alla V-A-C Foundation che dopo 12 anni di vita nomade ha finalmente trovato la sua casa moscovita.
Architetto Piano, com’è nato l’incontro con Leonid Mikhelson?
“È venuto a trovarmi nel mio ufficio a Parigi nel 2015. È un ingegnere che ha costruito la sua fortuna piazzando sistemi di perforazione per cercare il gas in Siberia, non è andato molto per il sottile. La sua idea era costruire un posto dove si potessero incontrare diverse discipline e soprattutto dove si potesse incontrare la gente. Una sorta di Beauborg, ma nel centro di Mosca, dove non avevo mai lavorato prima. E ho accettato.
Il primo sopralluogo a Mosca fu divertente. Guardando l’area dal vicino ponte pedonale, gli dissi che ci serviva più spazio e che doveva comprare anche i vecchi edifici dismessi tutti intorno. “Comprarli per farne cosa?”, mi chiese. “Per demolirli e per creare un bosco di betulle”, risposi. Non disse nulla, ma lo fece. Volevo costruire un quadrato di 150 metri per 150 ritagliato su quest’isola artificiale. Un’isola dove c’è di tutto, in particolare la “Casa del Lungofiume”, un enorme edificio residenziale in cemento destinato originariamente alla nomenklatura sovietica. Creare accanto un bosco di betulle e poi far nascere questa lanterna magica era un’idea vagamente assurda, ma attraente. E Mikhelson l’ha assecondata”.
Com’è riuscito a rendere un edificio quasi nero di caligine qual era Ges-2 un luogo così luminoso?
“Il segreto di quest’edificio è la luce. La luce che esce fuori dall’interno quando si sta fuori e la luce che entra dall’esterno quando si sta dentro. Il tetto è di vetro e sorregge delle cellule fotovoltaiche per catturare l’energia solare leggermente distanziate l’una dall’altra che creano una luce frammentata e vibrante. Soprattutto nel pomeriggio tardo, quell’ora magica che è l’ora di Magritte quando dipingeva i suoi quadri, quando comincia ad apparire la luce artificiale, ma c’è ancora un residuo di luce solare. Se si guarda dall’esterno in quell’ora lì, l’edificio è una presenza leggermente assurda in questa città. Una grande cattedrale di luce, una fabbrica bianca e luminosa che mi auguro nel futuro di Mosca continui a produrre una sorta di energia, quella dello stare insieme”.
Presentando Ges-2, Teresa Mavica ha ricordato l’idea delle Case della cultura e delle Narodnyj dom, le Case del popolo di sovietica memoria.
“La Casa della cultura è un’idea storica. In Francia fu André Malraux, ministro della Cultura fino al Sessantotto, a proporre che tutte le città ne avessero una. Beauborg era figlio di quell’idea di mescolare più arti tenendole insieme all’arte sociale dello stare insieme. Anche dentro Ges-2 c’è quell’idea di casa di tutti e trovo che nel contenuto ci sia del coraggio che va al di là di tutto”.
Cinquant’anni dopo il Beauborg, continua a lavorare intorno a questa visione…
“È la mia visione della cultura. Cultura con la “c” minuscola, non riservata a pochi eletti, ma che appartiene a tutti. Costruire questi edifici significa creare luoghi dove la gente attinge alla stessa fonte, che sia un concerto, una mostra, un film, una biblioteca, condivide dei valori e scopre la bellezza dello stare insieme e del fare cose insieme. La forza dello stare insieme è straordinaria e mi sono ritrovato a celebrarla prima con il Beauborg, poi con il Whitney di New York e più recentemente con l’Academy Museum of Motion Pictures di Los Angeles. Come Ges-2, sono tutti edifici che in qualche maniera danno forma all’idea che la città è civiltà e deve avere luoghi di incontro dove si costruisce la bellissima cosa che è l’abitudine dello stare assieme. L’architetto da una parte dev’essere un costruttore nel senso più nobile della parola, ma al tempo stesso deve inevitabilmente avere un’ansia per il sociale. Ma oltre a quest’aspetto umanistico e a quello tecnico del costruttore, c’è un terzo che mi sembra qui sia stato centrato”.
Quale?
“È l’idea di costruire un luogo di magia. Ed è l’aspetto più poetico e imprendibile. L’architettura a modo suo deve commuovere, creare emozione, altrimenti non funziona. Non basta una forma ben costruita, ci vuole anche qualcosa che tocchi le corde profonde, qualcosa che vada un po’ più in giù, quella cosa che il principe Mishkin nell’Idiota di Dostoevskij chiamava “bellezza”. La bellezza di Ges-2 è dovuta alle trasparenze, ai piani multipli, alla leggerezza, alla luce che viene dall’alto, alla magia delle betulle, belle d’inverno perché sono spoglie, ma con la neve diventano dei merletti, e belle d’estate perché la vibrazione delle loro foglie leggere e sottili assomiglia alla vibrazione della luce dentro. Un miracolo. E i miracoli non accadono mai da soli. Avvengono perché i pianeti si allineano. C’è un momento in cui succede. Mi è successo altrove e ho avuto la fortuna che sia successo anche qui…”.
Il bosco delle betulle, a fianco al Museo
Come ha affrontato la sfida di rinnovare la vecchia centrale rispettandone la storia?
“Fa parte della grande tradizione umanista costruire sul costruito, trasformare senza distruggere. Si è trattato di un’opera di rammendo straordinaria. La struttura è rimasta la stessa, l’abbiamo solo rafforzata. Invece di cementificare, abbiamo alleggerito. Abbiamo anche inglobato le prime distillerie della vodka Smirnoff dalle bellissime volte. E abbiamo rivisitato le quattro grandi ciminiere. Non buttano più fuori fumo, ma catturano aria pulita a 70 metri di altezza che usiamo per ventilare l’edificio. Le abbiamo demolite, ridisegnate e dipinte di un bellissimo “blu Matisse” che si staglia nel cielo di Mosca come un simbolo di una cosa che c’è sempre stata ma che ora vive una nuova vita”.
È di fatto il culmine di un rinnovamento urbano che nell’arco di pochi anni ha cambiato volto alla megalopoli post-sovietica. Qualcuno sostiene che l’abbia omologata ad altre capitali europee distruggendone il miscellaneo carattere originale. Lei che cosa ne pensa?
“È difficile giudicare. L’architettura vive di tempi lunghi come i boschi di betulle, come i fiumi, come le foreste. Mosca questa trasformazione la sta vivendo solo da pochi anni. Ed è meno visibile di quelle avvenute in altre città. Ges-2 è uno dei momenti di questa trasformazione. È una trasformazione di opposti. Da un lato c’è il palazzone dei burocrati del Cremlino, dall’altro questa cosa fragilissima che ritaglia un quadrato di Malevič. in mezzo alla città, un quadrato intoccabile che diventa un quadrato di scambi sociali e di apertura. In qualche maniera questo palazzo di luce è un palazzo di trasparenza”.
Ges-2, la centrale elettrica trasformata in centro d’arte a Mosca su progetto di Renzo Piano. Foto di Michel Denancé
C’è un riferimento alla “glasnost”? Vuole anche mandare un segnale nella Russia odierna?
“C’è, ma non è vissuto in maniera ideologica, semmai in maniera più poetica, quindi più penetrante. Non faccio politica, ma è indubbio che l’architettura sia l’arte della polis, della trasformazione della città. Ges-2 va ben al di là della costruzione di un centro culturale, è un gesto importante dal punto di vista politico nel senso nobile della parola polis“.
C’è chi si chiede se abbia senso creare un centro di cultura in un Paese dove la repressione si fa sempre più pesante.
“Sì, si fa perché è giusto farlo. Ho appena finito di costruire un ospedale d’eccellenza voluto da un caro amico che purtroppo non c’è più, Gino Strada, nel posto più improbabile al mondo, sul Lago Vittoria, in Uganda, in mezzo al nulla. E stiamo completando un museo nel centro di Istanbul. Si fanno queste cose perché è giusto farle ed è più giusto farle a Mosca, a Entebbe o a Istanbul che altrove, perché è un segnale di grandissima importanza. Quando presentammo il progetto di Ges-2, la gente non ci credeva. Ma il lavoro dell’architetto è quello di progettare, ossia portare avanti una funzione e se non c’è questa forza utopistica non si va da nessuna parte. Un architetto getta ponti, non solo reali, ma anche metaforici. E quando getta un ponte fa un gesto coraggioso che richiede ottimismo. Costruire è un grandioso gesto di pace”.
L’intervista a Renzo Piano. Da la Repubblica del 4.12.2021.pdf
Moscow Municipal Album. GES-2 in 1913
Patrizia Maccotta
6 Dicembre 2021 at 09:57
Mi rattrista così tanto che Renzo Piano lavori molto all’estero e poco a Roma. L’Auditorium è uno dei posti più vivi della nostra città, ma la strada davanti è poco curata e sempre invasa da baracche da fiera, invece di essere un giardino o un’agorà.
Uno di questi giorni andrò a vedere l’Auditorium dell’Aquila che Piano ha realizzato.
Anche noi abbiamo una centrale che è diventata un museo che ci regala tra turbine e altre macchine opere meravigliose. Eppure non è grandiosa come la Tate Modern Gallery di Londra, anch’essa in origine una centrale elettrica o la centrale di Mosca.
Forse il passato della Roma imperiale fa sì che ogni nuovo progetto sia in tono minore. Anche il Maxxi sembra poco monumentale rispetto ad altre creazioni di Zaha Adid. Di monumentale è stato fatto solo il Vittoriano (che mi piace molto).
Penso spesso a Gino Strada. Sostengo Emergency. Ci sono uomini straordinari che riscattano la nostra specie.