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Scuola (4). Per chi suona la campanella

di Bruno Santoro

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Mi ero proposto per questa settimana di riassumere le tappe dei progetti ministeriali e degli interventi di finanziamento che “la politica” ha destinato nel corso degli ultimi 25 anni alla digitalizzazione dei servizi e dello stesso insegnamento nella pubblica istruzione …(vaste programme!): percorso che peraltro ho vissuto, si può dire, tutto in prima fila, essendomi interessato fin dai primi anni ’90 dell’altro secolo delle potenzialità e dello studio delle prospettive del digitale nella didattica (1).

Mentre ‘chiudevo’ il pezzo, asciugandolo da incisi e fastidiose lungaggini, gli avvenimenti degli ultimi giorni mi hanno scavalcato senza alcun pudore per i miei timidi tentativi di fare il punto della situazione, proponendomi nuove sorprendenti posizioni in questo campo e quindi spunti di riflessione che sarebbe davvero imperdonabile per me trascurare e posporre.

Che cosa è successo?
Molte cose, in effetti: e tutte assieme, anche.
Si tratta di una serie di dichiarazioni, prese di posizione, chiarimenti e affermazioni di soggetti diversissimi ma che vanno straordinariamente tutte nella medesima direzione: il desiderio prepotente di tornare a scuola, di rivedere fisicamente gli studenti nelle classi, di essere rassicurati sulle modalità di svolgimento delle lezioni.
Tanto il virus non c’è sembra di capire, nel non detto di questi perentori desiderata E se c’è, tanto a scuola non entra e, soprattutto, non esce. La scuola ‘è il posto più sicuro’, quello in cui ‘si rispettano sicuramente le regole sulla sicurezza’: si pensi ai trasporti, allo scaglionamento degli ingressi, alle misure di prevenzione e di controllo ma non si tocchi più l’anno scolastico e la formazione dei nostri giovani.

Ora, a memoria d’uomo, non si era mai vista tale e tanta concordanza di opinioni sulla scuola.
Un evento pressoché unico, quasi come la congiunzione astrale di tutti i pianeti del sistema solare, che però periodicamente almeno, qualche volta accade.

Hanno cominciato gli studenti: reclamano in modo battagliero (‘faremo lo sciopero della didattica a distanza!’, ‘boicotteremo i compiti a casa!’) la vecchia buona scuola in presenza; disdegnano apertamente nelle dichiarazioni (riportate da tutti i giornali) la DaD, anche se fosse DiD (leggi qui), e non desiderano altro che tornare a vivere scuola insieme agli altri. Si annoiano, a casa, sono insofferenti, sentono che non imparano, non si trovano bene con queste lezioni sorbite davanti a un video per tante ore al giorno, vissute come una pausa tediosa tra la colazione e il pranzo.

Incredibile! Ma come? Non erano questi i famosi ‘nativi digitali’? Non sono loro quelli che, secondo gli apologeti del digitale a scuola, pensano come i computer con veloci sinapsi di nuova generazione?
Fino a ieri non si diceva che per questi giovani cibernetici è più naturale e facile vivere gli ambienti digitali piuttosto che fare una partita a scala quaranta? Che insomma preferissero di gran lunga la vita sullo schermo (2) che la stessa vita reale?
Non sono anni che ci dicono: la scuola ‘deve adeguarsi” alle loro nuovissime caratteristiche… bisogna ‘innovare’ nel senso che digitalizzare ogni passaggio della loro istruzione, per garantire loro il successo formativo?
Loro invece lamentano apertamente difficoltà esistenziali e disagi vecchi di mesi e mesi, tali che almeno 1/3 degli intervistati, se si potesse (magari adesso che ci sono i soldi dell’Europa, benedetta Europa!), gradirebbero un buon servizio di supporto psicologico contro il disagio provato in questi mesi.
È già pronto un battaglione di psicologi da distribuire appena possibile on line e nelle scuole…
Viene da pensare, ascoltando gli intervistati, che deve essere da tanto che chiedono invano, senza essere ascoltati, di andare a scuola, di ritornare fra i banchi, di tornare a leggere e a studiare.

Hanno continuato i sindacati della scuola, che reclamano al più presto la riapertura delle scuole, naturalmente in sicurezza, previa vaccinazione di tutti gli operatori con precedenza prioritaria. E che si faccia subito, eh! Un piano di raddoppio dei mezzi pubblici e di potenziamento di tutti i trasporti. Che si scaglionino gli ingressi a scuola, raddoppiando i turni di lezione anche al pomeriggio, se necessario la sera, assumendo nuovi insegnanti, nuovi operatori: che cessi questa perenne emergenza educativa… La scuola ha bisogno di ritrovarsi e rinnovarsi per il futuro del paese! (3).

Il dibattito è stato alimentato dalla stessa ministra, che ha apertamente sostenuto – come da sue indagini – che la DID (promossa pochi mesi fa, e ufficialmente, come soluzione necessaria e futuribile della scolarizzazione) non funziona e che urge al più presto il ripristino della scolarità in presenza, l’unica che garantisce formazione vera: la didattica non è solo la lezione in sé, ma è soprattutto relazione e contatto sociale; la scuola in digitale priva gli allievi del contatto umano necessario al loro sviluppo di individui e cittadini.

Ed ecco che sul Sole 24 Ore compare un articolo del dott. Andrea Gavosto, Direttore della Fondazione Agnelli [in file .pdf nella nota (4) – il quale lamenta a gran voce la situazione e auspica (anche lui!) il ritorno immediato in classe perché, sostiene, almeno il 30% della preparazione degli allievi prevista per quest’anno è andata perduta irrimediabilmente. Che si continui dunque, e si recuperi scuola durante l’estate, è la richiesta perentoria finale, con la scuola in presenza, l’unica in grado di garantire il vero percorso cognitivo e addestrativo degli allievi a fini di sbocco professionale. Non sia mai – ho pensato io – che le aziende debbano provvedere ad un supplemento di formazione a loro cura.
Sui social è tutto un fiorire di commenti parzialmente irriferibili a danno dei docenti, che secondo alcuni molto disinformati, ‘stanno a casa a non fare nulla e si lamentano pure’(5).

Ora non vorrei infierire, e mi si perdoni qualche sarcasmo di passaggio: so bene che tutti gli attori di questo nuovo atto della discussione sono in buona fede, ma, perdonatemi, non sono gli stessi che per anni ed anni hanno glorificato la cibernetica, l’istruzione robotizzata, i ‘podcast’ e i ‘webcast’ come nuovi ambienti di apprendimento?
Molti di loro, direttamente o meno, sostenevano “il digitale” come la dimensione più autentica della modernità, dell’istruzione del ventunesimo secolo, l’unica forma possibile con cui la scuola poteva essere adeguata alla natura dei ragazzi nati dopo l’anno 2000, cresciuti a pieno contatto con gli ambienti internettiani (6).

Per anni è stato sostenuto da autorevoli accademici che i giovani d’oggi sono portatori di una trasformazione ‘epigenetica’, una sorta di evoluzione antropologica praticamente irreversibile, tanto da avere caratteristiche assai particolari, come il multi tasking ed una superiore capacità di letto-scrittura e sintesi veloce. Sono proprio queste loro caratteristiche strutturali che sono anche la fonte del loro disagio formativo e degli insuccessi scolastici: è la scuola che deve adeguarsi alle loro caratteristiche, cambiando metodi, approcci, contenuti e scopi. Una scuola moderna e adeguata ai tempi e ai soggetti dell’istruzione come quella disegnata dalla controversa riforma della ‘Buona Scuola’.
Alcuni fra i sostenitori del “digitale ultima ratio” hanno sostenuto fino a ieri che si dovessero addirittura abbandonare il corsivo e la scrittura manuale [Cfr. l’articolo precedente sulla scuola, in Nota (5)] che si dovessero adottare e produrre solo libri digitali, che si dovesse studiare su ‘ipertesti multimediali’ e produrre storytelling come esercizio di creatività connettiva.

E adesso? Tutti a dire che , vabbè, ma la didattica a distanza non è vera scuola, c’è bisogno di tornare in classe, che non c’è alternativa credibile alle classi, alle interrogazioni, ai voti, agli scrutini.
Di voti e di valutazioni si discute peraltro e persino nella primaria (le vecchie ‘elementari’), come se il voto fosse il problema della scuola, ad oggi, anche a 6 anni.
Come se il fallimento – adesso certificato praticamente da tutti -, di questa didattica a distanza accrediti automaticamente la didattica in presenza come vera didattica e credibile formazione degli studenti.
Ho detto “questa” didattica a distanza perché sono convinto invece che ce ne siano di molto migliori, solo a voler studiare le potenzialità reali e le risorse della nostra scuola pubblica.
Tutti comunque sembrano aver compreso, adesso, che non basta fare trasferire la didattica comune in presenza passando in digitale per fare lezione. Il protocollo di lavoro consueto, pur con tutte le sue varianti, risulta poco efficace, faticoso, difficile da tradurre in percorso di apprendimento reale.
Ammesso che quello stesso, con tutte le sue varianti, efficace lo fosse anche in aula e in presenza, naturalmente.

Quello che non è stato ancora seriamente preso in considerazione, a mio parere, è che il problema potrebbe essere rappresentato dalla didattica stessa, non dal digitale in quanto tale: puntare tutto sulle tecnologie di comunicazione e informazione, come da anni è stato fatto, senza voler riconoscere la natura del problema, nella speranza che la questione didattica scomparisse magicamente, è stata solo una pia illusione che espone a inevitabili delusioni e fallimenti.
Come vedremo meglio in seguito, molti anni di studi, ricerche e pubblicazioni (7), come anche esperienze pratiche e continuative hanno mostrato che nessun mezzo (8) è neutro, e tanto meno neutrale, ma ciascuno con-forma i contenuti al proprio ‘linguaggio’ interno di ambiente di in-formazione.
Ogni ambiente di apprendimento, sia esso fisico, integrato, virtuale o emotivo, sociale, relazionale si fa esso stesso ‘contenuto’ e ‘messaggio’ in virtù della sua struttura di comunicazione e in-formazione.

Se non si conosce – e bene! – il mezzo né l’identità reale dei ‘soggetti’ cui l’istruzione è rivolta, il successo formativo non può che essere poi casuale (anche se ci si intesta il merito) e si finisce sempre per addebitare fallimenti e difficoltà a intralci ‘esterni’ e ad imponderabili variabili accidentali.

Note

[La scuola (4) – Continua]

La nuova serie di articoli di Bruno Santoro sulla scuola:
Di cosa parliamo quando parliamo di scuola. (1)
E’ la scuola, bellezza! (2)
Scuola (3). DID, DAD, DDE o del nostro “digitale” quotidiano

 

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