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Di questa nuova serie sulla scuola, leggi la prima parte (pubblicata lo scorso 2 dicembre)
Chi negli ultimi giorni prima di Natale avesse avuto l’occasione di entrare in un Istituto di Istruzione Superiore (1) e ne avesse attraversato gli ambienti, sarebbe stato sicuro testimone di uno spettacolo sorprendente, per molti versi persino surreale: scuola aperte, nonostante la proclamata chiusura, gli ambienti illuminati, spazi regolarmente riscaldati ma edifici silenziosi, non fosse per l’eco dei passi di qualche raro addetto che attraversa i larghi corridoi.
Dappertutto, con un ossimoro (2), le tracce di un’assenza, di quello strano popolo agitato e vociante che di solito quei luoghi li alita, li sbraita, li irride, li batte come tratturi, li maltratta e in definitiva, a buon diritto, li abita: gli studenti.
Che cos’è una scuola senza gli studenti? Neanche il paragone con un Ospedale senza i malati potrebbe reggere: il termine di paragone sarebbe sempre auspicabile, segno di una sanità che funziona. Oggi invece il paragone indicherebbe un legame problematico tra la salute collettiva e l’apertura delle scuole, posto che il problema siano proprio gli ospedali troppo pieni di persone bisognose di cure.
Scenario stordente sentire l’eco dei propri passi in ambienti nei quali in tempi normali spesso è difficile sentire nitidamente la propria voce in un colloquio ravvicinato; percezione aliena, da scuola in vacanza, e lontana dalla rappresentazione che di un Istituto scolastico è impressa nel nostro personale immaginario come di scuola in attività: la scuola è chiusa ma è aperta, l’attività è sospesa ma sostenuta; di scuola ‘in vacanza’, si tratta, ma in vacanza forzata degli studenti.
Traversando solitari questi ambienti la sensazione è di leggero imbarazzo iniziale, come trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, a stento stemperata dalla presenza di qualche addetto ‘di passo’, incrociato per le scale e lungo gli androni deserti.
Nella percezione esterna agli ambienti scolastici è assegnata l’immagine di spazi sovraffollati e rumorosi, di personale affaccendato, di docenti che raggiungono, un po’ affannati e scambiandosi aule e classi, il loro posto di lavoro: dove non la scena di interi gruppi classe in allegra transumanza tra un ambiente ed un altro; così come quella, di accaldata indolenza, nel ritorno alle classi provenienti da palestre e laboratori.
Ma in questi ultimi tempi, tempi di Covid, le scuole superiori sono state chiuse alla maggior parte degli studenti e la scuola ha dovuto riorganizzarsi in fretta per potere dare continuità all’attività didattica sia in presenza che a distanza; è stata inaugurata infatti una ‘didattica integrata’ che, con una definizione sintetica, sembra voler risolvere in una semplice espressione gli enormi problemi organizzativi, di metodo, di valutazione e comunicazione che invece occorre affrontare.
In una scuola le porte delle aule, durante le ore di lezione sono opportunamente chiuse e interdette ai non addetti ai lavori e per ragioni strettamente necessarie. Lo si fa per calmierare i rumori esterni, per migliorare la percezione interna, per creare un clima di classe favorevole alla concentrazione e al lavoro collettivo.
Le porte serrate indicano però anche più che simbolicamente la ‘privatezza’ della lezione una volta che il docente abbia raggiunto la sua postazione, il diritto della classe, di cui il docente fa parte integrante, dal momento in cui essa viene serrata, a mantenere riservati i propri momenti interni, dall’appello nominale alla particolare relazione che sempre si inaugura e si alimenta nel corso dell’anno tra un docente, la sua disciplina e quel gruppo di studenti.
In questo momento invece, pur essendo evidentemente in attività, le porte delle classi sono, un po’ oscenamente, spalancate sul vuoto delle classi e dei banchi, ordinatamente disposti ad almeno un metro di distanza e, sia detto senza ironia, senza inutili ruote.
C’è qualcosa non solo di insolito ma di innaturale in queste aperture su un vuoto che in realtà è un ‘privato’, visto che l’attività è in corso: normale sarebbe come ogni giorno solo al tempo delle pulizie, a lezioni concluse o nel cambio di ora.
Per chi nella scuola vive e lavora invece, questo silenzio e queste aperture, non possono non risultare allarmanti, come di una classe a pieni ranghi e che in tempo di lezione non fiati: quel ‘tutti assenti’ che a volte si scriveva sul registro cartaceo in tempi di grandi nevicate o di agitazioni studentesche.
Se poi la cattedra si intravede attraverso il varco aperto sull’intimità dell’ambiente, il ‘passeggiere’ noterebbe però regolarmente presenti, seduti al proprio posto dietro al monitor (ormai sono pochi gli Istituti non attrezzati dopo gli ingenti finanziamenti concessi per l’introduzione del digitale nella didattica quotidiana) gli insegnanti in servizio .
Muniti di cuffiette d’ordinanza o di invisibili auricolari si alternano secondo la normale consuetudine del loro orario cattedra mentre la campanella automatica scandisce l’inizio e la fine di ogni periodo di lezione.
Molti parlano, con tono di affettata naturalezza e con quella certa meccanicità di chi riceve un fastidioso ritorno in cuffia, scandendo bene le parole e lasciando qualche pausa tra una parola e l’altra per l’eco. Più rare e affidate ad una reticenza tutta digitale, pause e rumori vari in sottofondo, le risposte degli studenti.
Qualche riquadro appare vuoto e scuro, i microfoni degli ascoltatori accesi solo alla bisogna, per comune accordo e per evitare fastidiose sovrapposizioni.
È dura parlare ad uno schermo, però, anche per chi è abituato a parlare ad una piccola platea: in genere è proprio dietro ad uno schermo, lo dice la parola, che noi più che rivelarci, più istintivamente, ci nascondiamo.
Per i corridoi si spande la leggera eco di queste voci che si incrocia negli spazi mediani come un unisono indistinto: difficile sfuggire al pensiero un po’ ironico di salmi recitati a mezza voce nelle navate deserte di una basilica ancora in costruzione.
Pochissimi gli studenti fisicamente presenti, tutti quelli che in virtù di particolari deroghe in base a e certificate condizioni di disagio cognitivo hanno ottenuto il permesso di frequentare; altri ci sono per intelligenti concessioni in considerazione di casi di digital devide (3). tutti gli altri sono presenti in effige, cioè in connessione multipla da casa, ridotti a piccoli riquadrini affastellati sulla scrivania virtuale della piattaforma di video-meeting.
Persino l’insegnante stesso si rivede in replica diretta in basso a destra con un monitor-spia con quella inquadratura sempre inquietante (e sempre da evitare, dicono i sacri testi della video-comunicazione!) dal basso in su: ci ricorda con timore, dicono, il tempo in cui da bambini vivevamo in un mondo di giganti onnipotenti e ghignanti.
La scuola vive dunque, anche in modi e mondi così alieni. Si ritrova anche in condizioni così estreme, sopravvive persino …a se stessa, tutto cambiando perché nulla intanto cambi: lezioni, programmi, materiali, esperienze, verifiche. Persino voti.
Così continuando il suo giro potrebbe capitare al nostro testimone involontario della scuola al tempo del Covid, di imbattersi in qualche aula attrezzata come laboratorio, nella quale un insegnante in piedi scrive, ripreso dalla piccola web-cam collegata al PC personale, sulla lavagna: da cui poi schemi, mappe, algoritmi fluiranno nel repository (4) di classe, messi a disposizione permanente degli studenti per studio e applicazioni successive.
La rete interna e le grandi piattaforme esterne, compreso il registro elettronico che funziona come ambiente di produzione e controllo delle attività, garantiscono anche a distanza l’accesso riservato a tutti i materiali di lavoro.
Potrebbe capitare di intravedere in Laboratori attrezzati docente e tecnici al lavoro in esperienze guidate di reverse engeneering di una scheda, di un algoritmo informatico, una soluzione modulare di programmazione, di un composto chimico, di un modello sartoriale, di un meccanismo diottrico, di un differenziale autobloccante…
Didattica a distanza. Lavagna interattiva multimediale L.I.M. o lavagna elettronica
È la scuola, bellezza! Verrebbe da esclamare al nostro sorpreso visitatore. Anche se ufficialmente serrata per l’emergenza continua la sua attività come sempre, ostinatamente operativa anche se invisibile ai più come in un rifugio antiaereo durante un’incursione, in attesa.
Al di là di tutte le dichiarazioni ufficiali, delle tante, troppe, parole spese ogni giorno per contribuire al da farsi, per recriminare su ciò che si poteva fare e non si è fatto, sul ciò che si potrebbe fare e non si decide ancora di fare, la scuola intanto, al meglio delle sue possibilità di organismo complesso e articolatissimo, si è organizzata, sopravvive tra le pieghe del dibattito proponendosi come può alle esigenze curricolari degli studenti.
Non tutte e non tutte con efficacia ma tutte senza eccezioni esercitano la consueta abilità nel trovare soluzioni a problemi apparentemente insolubili.
– È ancora ‘fare scuola’ questo? – ci si domanda nel frattempo. Meglio la vecchia buona scuola in presenza – che poi tanto buona forse non era, a riguardare i giudizi e le immancabili critiche dei tempi ‘normali’ – o questo simulacro digitalizzato, anche se con vantaggi innegabili di esercizio, comodità, convenienza?
Quali e quante saranno le conseguenze, a breve e a medio termine, per le capacità e le competenze degli studenti? E per i più giovani? Si può davvero far vivere la scuola tenendo le scuole chiuse e gli studenti lontani dagli ambienti comuni di formazione sociale e relazionale? (5)
Non importa – sembra rispondere la scuola con uno sberleffo amaro – questo è il tempo e questo ci è dato: primum vivere, deinde… al resto penseremo quando la tempesta sarà passata.
Note
(1) – Istituti di Istruzione Superiore (IIS). Sono stati così rinominati tutti gli Istituti della Secondaria di II Grado raggruppati in Poli territoriali di istruzione e che propongono, sotto la stessa Dirigenza più percorsi formativi.
(2) – Figura retorica che consiste nell’associazione di due termini di paragone antitetici nel significato ad esse: ghiaccio bollente, una fredda furia, una profonda altezza…
(3) – Si definisce così comunemente il differenziale di opportunità determinato dalla differente dotazione di attrezzature digitali di informazione e comunicazione.
(4) – Spazi telematici riservati per la condivisione di materiali didattici
(5) – Le scuole Primarie sono state esentate e restano regolarmente aperte
[È la scuola, bellezza! (2) – Continua]
Una delle battute cinematografiche più note di tutti i tempi. La dice uno straordinario Ed Hutcheson-Humphrey Bogart alla fine del film di Richard Brooks Deadline – U.S.A. (in italiano: L’ultima minaccia, 1952)
Gianni Sarro
30 Dicembre 2020 at 20:38
Ho letto con piacere la seconda parte dell’articolo sulla scuola. Premesso che non condivido la retorica sulla scuola in presenza, ho trovato lo scritto evocatore di suggestive immagini.
silverio lamonica1
30 Dicembre 2020 at 23:26
Sulla “scuola in presenza” non bisogna fare retorica e sono d’accordo. Però, a mio avviso, la scuola in presenza è fondamentale e imprescindibile nel processo educativo. Non dimentichiamo che l’uomo è un “animale sociale”; così Aristotele nella sua “Politica”. Infatti da sempre l’uomo cerca di convivere con altri individui e in tal modo, alcuni millenni fa, nacque la società. E’ chiaro che l’uomo ha la possibilità di comunicare a distanza coi suoi simili; è una “risorsa” antica, basta pensare ai segnali di fumo degli indiani d’America. Ma dopo quei “segnali” le varie tribù indiane si riunivano per i riti religiosi o per la caccia al bisonte, o altre esigenze.
Così avviene oggi con gli sms, le telefonate e le videochiamate per fissare incontri, appuntamenti, per scambiarsi notizie e via di seguito.
Ma una cosa è la comunicazione a distanza, che è finalizzata a quelle esigenze che ho appena cercato di illustrare, altra cosa è il rapporto educativo, sia familiare che scolastico, il quale può avvenire solo ed esclusivamente “in presenza” tra educatori ed educandi, tra insegnanti e allievi. Più che di “scuola a distanza”, oggi gli istituti scolastici praticano la didattica a distanza che serve unicamente per trasmettere nozioni. Basta pensare alla “Scuola Radio Elettra per corrispondenza” degli anni ’50, grazie alla quale – stando a casa – si apprendevano le modalità per realizzare una “radio a galena” o una radio con valvole (prima che fossero introdotti i transistor). Ma incidere efficacemente sui comportamenti e quindi sull’educazione, occorre la presenza di entrambi i soggetti e inoltre la nostra è ancora una società in cui gli individui vivono, lavorano e si divertono assieme, stando a stretto contatto. I giovanissimi devono essere “allenati” a vivere ed operare insieme, in modo civile e corretto, attraverso un processo particolare che si chiama “educazione” il quale non può avvenire “a distanza”; è come se un “mister” pretendesse di allenare la propria squadra di calcio in videoconferenza con i giocatori collegati dalle più svariate località italiane e magari mondiali, senza farli esercitare sul campo di gioco tutti assieme: le tecniche e le regole del “bel gioco” si apprendono unicamente lavorando sul campo, tutti assieme. Lo stesso discorso vale per la società in senso lato. “La scuola a distanza” oggi si limita alla sola didattica che è la tecnica per trasmettere le nozioni dall’insegnante all’alunno e dev’essere considerata solo una parentesi, speriamo breve.
La scuola in presenza di certo ha difetti e limiti (“che poi tanto buona non era” leggo nell’articolo). Però come ogni cosa di questo mondo non è perfetta, ma perfettibile e necessaria, se non indispensabile, per “allenare” le nuove generazioni a vivere assieme in modo corretto, senza prevaricazioni , proprio perché le “quattro mura della scuola”, nonostante tutto, sono ancora il luogo ideale per tenere assieme le nuove generazioni educandole alla sana convivenza civile, oltre che a trasmettere loro “i contenuti delle varie materie di studio”.