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Ncopp’ a sta terra, di Eduardo De FilippoProposta da Enzo Di Fazio
. Un anno che passa è come il frastuono di una banda musicale, come il motivo che ti entra nella testa quando ti passa per vicino e che non senti più quando la banda si allontana… Un anno che passa, pur con tutti i buoni auspici per affrontare quello nuovo, inesorabilmente spinge a voltarsi e guardare indietro. Inevitabile imbattersi in bilanci, errori commessi e opportunità non colte, ma anche cose buone fatte.
Ncopp’ a sta terra Te pare luongo n’anno
Di seguito la versione recitata con la voce di Gianni Caputo: 1 commento per Ncopp’ a sta terra, di Eduardo De FilippoDevi essere collegato per poter inserire un commento. |
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Chiamalo col suo nome
dalla sua rubrica giornaliera: “La prima cosa bella“, su la Repubblica di oggi, 20 gennaio
La prima cosa bella di mercoledì 20 gennaio 2021 è un dialogo fra Eduardo De Filippo e Antonio de Curtis in arte Totò. Non al cinema, ma nella situazione peggiore: a un funerale.
Lo racconta l’aiuto regista di De Filippo nel documentario “Il nostro Eduardo” (visibile su Sky Go/Sky Arte).
Era morta la figlia bambina di Eduardo, cadendo sulla neve mentre stava sciando. La notizia gli era stata data in teatro. Alle esequie erano tutti senza parole, solo lacrime. A un certo punto arriva un’auto, enorme. Si ferma davanti alla chiesa, ne scende un uomo elegante, piccolo di statura: è Totò. Si avvicina a Eduardo, si ferma, i due si guardano. Totò dice: “Edua’!”. L’altro replica: “Antonio!”. Nient’altro. È tutto.
Il nome come dichiarazione. Io riconosco te. Il tuo dolore è il mio, lo sento e lo rispetto. Io riconosco te. La tua presenza è il significato. Qua siamo. Dovunque andremo. Già ho sprecato due righe per dire quel che espressero in due parole. “Edua’!”, “Antonio”. A scuola ci insegnavano la poesia poi ci chiedevano la parafrasi, l’elaborata spiegazione di quel che l’autore aveva condensato in una forma perfetta. Invece di studiare il percorso di quella sintesi abbiamo imparato così l’opposto: fuggire dalla profondità del senso per affogare in un mare di parole. Anche la perdita è diventata un lungo, superfluo romanzo. Ai grandi uomini basta il frontespizio: “Edua’!”, “Antonio!”.