di Gianni Paglieri
Joseph Conrad, pseudonimo di Teodor Jòsef Konrad Korzeniowski, (Berdicev, Ucraina 1857 – Bishopboume Kent 1924) è considerato uno dei maestri del romanzo e scrisse in inglese, una lingua non sua che apprese quando era già uomo fatto.
Cominciò a navigare all’età di 17 anni, diventò Capitano di Lungo Corso a 29 anni, poi all’età di 37 anni lasciò il mare e si dedicò alla scrittura. Dal punto di vista storico è una delle maggiori figure della transizione dalla narrativa vittoriana alle forme della letteratura novecentesca. Una parte dei suoi scritti ha solo valore commerciale, lui stesso si vedeva come un narratore commerciale, e solo una parte limitata avrà valore di grande letteratura. Scrisse solo due romanzi di “alto mare”, Il Negro del Narciso e Tifone, e il fatto che venga considerato uno scrittore di mare testimonia quale forza di suggestione abbiano questi due romanzi.
Per capire il significato dei suoi scritti migliori è necessario rifarsi alla sua vita nel corso della quale cercò per lungo tempo una patria definitiva e fu soggetto a drastici cambiamenti di lingua e di nazionalità perché, forse proprio da tutto questo, ebbe origine un insuperabile sentimento di sconfitta.
Nei suoi romanzi il mare ha sempre una doppia valenza: da una parte, un’immensità acquosa solcata da navi d’ogni tipo circondata di porti e di terre esotiche e dall’altra, spazio isolato, all’interno del quale i conflitti spirituali raggiungono posizioni estreme.
Il tema fondamentale della scrittura di Conrad è la solitudine dell’individuo di fronte ai ciechi colpi del caso di cui il mare, con le sue tempeste, la sua forza incontrastabile, è simbolo. L’eroe di Conrad è quasi sempre un uomo solitario, un fuggiasco, un reietto, segnato dalla sventura o dal rimorso che conquista la sua identità affrontando con stoicismo le prove che il destino gli ha riservato. La tempesta è il momento della prova, del coraggio, delle decisioni, della capacità di osare, è il momento della verità dove l’uomo rivela la sua natura più profonda perché non ha modo di nascondersi o di fuggire. Conrad racconta in maniera cinematografica e nelle sue descrizioni i dettagli non sono mai inutili ma servono a far emergere i significati oscuri degli avvenimenti.
Il Negro del Narciso – “The Nigger of the Narcyssus”
Il “Negro del Narciso” è uno dei primi romanzi di Conrad, un romanzo al quale lavorò a lungo e del quale si contano fino a sette versioni. E’ la terza delle sue opere in ordine di tempo che nasce da una sua esperienza autobiografica e uscì a puntate sulla “New Review” di Henley, nel 1897.
E’ una storia di mare ma è anche uno studio di psicologia collettiva, un’indagine sulla natura dell’uomo, un’ipotesi sul suo destino. Conrad ha saputo trasformare una semplice vicenda di bordo in una vera e propria epopea dove non si riesce a capire dove finisca l’elemento naturale e cominci l’arcano, e ogni personaggio porta con sé un alone di mistero.
Sul piano narrativo il racconto è semplice e la trama esile, la voce narrante è una voce senza nome, forse uno dei membri dell’equipaggio che alterna l’io al noi, senza alcuna regola apparente. Il luogo dove si svolgono le vicende è la nave Narciso, il tempo è la durata di una navigazione da Bombay a Londra. La descrizione della tempesta raggiunge la grandiosità della poesia omerica, ma la tempesta non è soltanto sul mare ma è anche nel cuore degli uomini che sono a bordo
Sul Narciso, un veliero in partenza da Bombay con destinazione Londra, imbarca un nero di nome Jimmy Wait che subito dopo la partenza cade ammalato e nessuno a bordo sa né riesce a capire se era già ammalato all’imbarco è perché si è imbarcato e a chi o a che cosa sta sfuggendo. La malattia di Jimmy peggiora giorno dopo giorno così come il tempo e il mare peggiorano con l’approssimarsi della nave al Capo di Buona Speranza. Quando la tempesta si scatena in tutta la sua violenza le condizioni di Jimmy si aggravano e la sua sorte sembra segnata ma nessuno capisce se la tempesta sta inseguendo proprio il povero Jimmy oppure la nave.
I marinai pensano che la causa del male di Jimmy sia la causa del loro stesso male e poco alla volta comincia ad insinuarsi nel loro cuore il pensiero di curarlo o di gettarlo addirittura in mare. Con sempre maggior insistenza si domandano qual’è la causa del male che affligge Jimmy che, col proseguire del viaggio, assume sempre di più la veste del capro espiatorio. I marinai sono confusi tra pietà e disprezzo, tra la necessità morale di assistere il malato e la paura di contagiarsi avvicinandolo, la paura irrazionale di avere un morto a bordo della nave e l’innominabile desiderio, sempre meno nascosto, di liberarsene.
A bordo del Narciso – scrive Conrad – “«La falsità trionfava. Trionfava grazie al dubbio, la dabbenaggine, la pietà, il sentimentalismo… La pervicacia con la quale Jimmy si ostinava nel suo atteggiamento insincero di fronte alla verità inevitabile, aveva le proporzioni di un enigma mostruoso, di una manifestazione iperbolica che a volte suscitava un meravigliato, timoroso stupore… L’egoismo latente che si annida in tutti noi di fronte alla sofferenza si rivelava nella crescente preoccupazione che ci rodeva nel non volerlo veder morire… Era assurdo al punto da sembrare ispirato. Era unico e affascinante… Stava diventando irreale come un’apparizione… La sua presenza ci avviliva, ci scoraggiava…».
Jimmy non morirà nel corso della tempesta ma la sua morte sarà così banale da sembrare impossibile. La furia del mare non prevarrà sulla nave che si salverà per l’ardimento del Capitano Allistoun che, non cedendo alla tempesta nemmeno nelle condizioni più critiche, con la sua presenza, con i suoi ordini, il suo coraggio, spinge ogni uomo a compiere il proprio dovere, a impegnarsi per la salvezza di tutti e nello stesso tempo a riconsiderare la banalità della propria esistenza.
Con il suo romanzo Conrad sembra dirci che la tempesta è necessaria per rivelare ad ognuno la sua parte più profonda, per ricordare ad ogni uomo la piccolezza della natura umana.
«Agli uomini ai quali, nella sua sdegnosa misericordia, esso concede un istante di tregua, il mare immortale offre nella propria giustizia, e pienamente, il privilegio, ambito del resto, di non riposare mai. Nell’infinita saggezza della sua grazia non consente loro di poter meditare con calma sull’acre e complesso sapore dell’esistenza, per tema che abbiano a ricordare e forse a rimpiangere la ricompensa di una tazza d’ispiratrice amarezza, tanto spesso assaggiata e altrettanto spesso sottratta alle loro labbra già irrigidite, ma pur sempre riluttanti. Questi uomini devono senza un istante di requie giustificare la propria vita all’eterna pietà…».
Il viaggiare della nave è minacciato da forze interne alla nave mischiate tra gli uomini di bordo, e dai pericoli esterni ovvero le tempeste che il mare, nella sua grandiosità e mutevolezza, scatena .
Alla fine del viaggio Conrad cercherà inutilmente una risposta alle sue domande, e non la troverà perché la risposta resterà “…in balia del grande mare …del mare che tutto sapeva, e che avrebbe col tempo infallibilmente svelato a ciascuno la saggezza nascosta in ogni errore, la certezza latente del dubbio, il regno della salvezza, e della pace al di là delle frontiere del dolore e della paura”
L’esaltazione della nave e del suo equipaggio stanno a significare i valori di una comunità che sa esprimersi in maniera corale e al riguardo è significativa la descrizione della nave in navigazione:
“(…) la nave, frammento staccato dalla terra, correva solitaria e rapida come un piccolo pianeta. Intorno ad essa gli abissi del cielo e del mare si univano in una irraggiungibile frontiera. (…) Essa aveva il suo futuro; viveva della vita di quegli esseri che si muovevano sopra i suoi ponti; come la terra che l’aveva confidata al mare, essa trasportava un intollerabile carico di speranze e di rimpianti … Essa correva schiumeggiando verso il Sud, come guidata dal coraggio di un’altra impresa. La ridente immensità del mare rimpiccioliva la misura del tempo. I giorni volavano uno dietro l’altro, rapidi e luminosi come il guizzare di un faro, e le notti, movimentate e brevi, parevano fuggevoli sogni…”
La nave è dunque una comunità nella quale ogni persona svolge un ruolo preciso, importante per la riuscita del viaggio, per la sicurezza della nave e per quella degli altri. A bordo ognuno ha la possibilità di realizzare se stesso e di trovare coesione con gli altri per cui il lavoro, pur duro, non è più alienazione ma è la realizzazione di ognuno nel proprio ruolo. Il Comandante, gli Ufficiali, i marinai sono uomini di mare …. uomini che avevano conosciuto la fatica, le privazioni, la violenza, la dissolutezza – non però la paura – e non avevano coltivato nei cuori desideri di vendetta. Uomini difficili da guidare, ma facili da esaltare… la loro generazione era vissuta in silenzio… ed era morta libera dalla tetra malinconia di una tomba angusta. Essi erano i figli imperituri del mare misterioso…
Gianni Paglieri
[Il Negro del Narciso, di Joseph Conrad (1) – Continua]