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Pisaca’ 1938 (1)di Marcella Sansoni
Pubblichiamo con piacere un racconto (in due puntate) di Marcella Sansoni, habituée di Ponza, che torna a mandarci suoi scritti dopo una lunga pausa; si possono cercare sul sito attraverso l’indice per Autori – Sansoni Marcella. Una giornata tiepida, insolita per un aprile di Chisinau, capitale della piccola repubblica di Moldavia. Un sole arrogante, da far abbassare gli occhi, invitava Kavita Ulianova a togliersi il giaccone e il fazzoletto di lana che portava sempre intorno al collo per proteggere le corde vocali. Anche quel pomeriggio il violino era con Kevì, adagiato con attenzione, sul largo tavolo del bar autoproclamatosi, pomposamente bistrot qualche anno addietro, per festeggiare l’indipendenza. La madre di Kevì era morta un anno prima, portandosi all’altro mondo quello che tutti, compresa la figlia, avevano imparato a rispettare come “il segreto”. C’era voluto molto tempo perché il segreto si trasformasse in ricordo e poi in favola fra le tante che i giorni impastano, ma la trasformazione era comunque definitivamente avvenuta e il segreto, da che era amaro, aveva assunto un gusto più dolce. Per Kavita che portava il patronimico del marito della madre, quel segreto non era mai stato un gran problema. C’era tanta confusione dopo la guerra, la fame aveva spazzato via le chiacchiere e la curiosità era ben appuntata sul modo di sopravvivere fino al prossimo pasto. Con gli anni della scuola – la ragazza all’epoca aveva frequentato le scuole russe – era arrivato, grazie anche alla posizione del patrigno, goccia a goccia, un po’ di benessere. Sua madre si era infatti sposata con un funzionario locale del partito, tal Ulianov e per quanto Kavita ne sapesse, erano stati una famiglia felice. Il segreto si era inabissato, dopo aver lasciato una traccia nella sua carnagione un po’ troppo scura, in un mondo di carni pallide. Inabissandosi, era finito nel cuore della ragazzina diventando – a sua insaputa – prima una goccia d’acqua, poi una pozzangheretta e poi un lago e infine un corso d’acqua sotterraneo, capace di arrivare al mare ma di quest’ultima possibilità la maestra non era ancora a conoscenza. Fu una compagna di scuola, Arina a svelarle, insieme ai pericolosi segreti nascosti nelle braghe dei maschi, che nessuno sapeva chi fosse il suo vero padre. Si diceva potesse trattarsi di un italiano, di quelli che si nascondevano per le campagne nel tentativo di tornare a casa dopo la disfatta nazifascista, ma nessuno aveva idea se ci fosse riuscito né dove fosse quella famosa casa, proprio così avevano sempre sentito chiamarla, casa, in italiano. Quello fu l’inizio di Kavita poi insegnante di musica, bella come sua madre, colei che accolse e restituì l’abbraccio. Quell’uomo sapeva cantare e, si fantasticava, anche suonare, benché all’epoca, strumenti per metterlo alla prova non ne esistessero poiché erano tutti finiti nelle stufe a produrre calore invece che musica. Poi era scomparso. Un brivido comunicò a Kavita che quel raro sole al sapore d’estate era andato giù. Poteva tornarsene a casa. Chiuse il quaderno, su cui aveva appuntato le prossime lezioni, a cominciare da quella di domani con un piccolo allievo che maltrattava le corde del violino, ritenendole le prime responsabili dei suoi errori. Quando un piccolo lago resta in fondo al cuore e lento si inabissa, ancora più a fondo, può trovare una uscita in modo imprevisto e improvviso. Era di buon umore la donna mentre assaporava la splendida minestra di carne con i tagliolini preparata il giorno prima. La casa era tiepida e lei l’aveva resa più accogliente grazie al tocco di colore di certe stoffe, acquistate al grande mercato cinese della domenica. Ridacchiò pensando alla via della seta del terzo millennio su cui viaggiavano su grandi camion, fra mille oggetti di uso quotidiano, balle di nylon, rayon, poliestere o non si sa cosa. Fu così che con il tovagliolo e il cucchiaio ancora in una mano entrò nella stanza di sua madre. Non l’apriva da tempo ma era profumata. Decise di esplorarla. Non l’aveva mai fatto, neppure da bambina e una bambina si sentiva mentre posava c cucchiaio e tovagliolo sul cassettone scuro. Il piano del mobile era coperto, oltre che da un sottilissimo strato di polvere, da moltissime fotografie incorniciate alla bell’e meglio. Molte fotografie che non avevano trovato né spazio, né cornici disponibili, erano state infilate nel profilo dello specchio, incongruamente moderno, che lei stessa aveva acquistato per la madre in un altro mercato, prima che arrivassero i venditori cinesi. Poi loro, ancora nella casa di città. Poi i gruppi politici giovanili e ancora e ancora. Mezza Unione Sovietica e poi l’intera piccola Repubblica di Moldavia avevano trovato posto fra specchio e cassettone. La maestra si sedette sul letto di sua madre per godersi la vista d’insieme e poi scrutando fra il bianco, il grigio e il nero delle vecchie foto, si cimentò nella ricerca delle somiglianze. Aprì il primo pesante cassetto del comò e subito saltò fuori una piccola foto per niente sbiadita. C’era su un bel ragazzo scuro di pelle, come lei, con la camicia bianca. Non si capiva dove fosse ma certo, dietro di lui, c’era solo mare anzi sembrava che il mare fosse ovunque, che lui stesso fosse uscito dal mare. Il richiamo discreto di Skype la fece sobbalzare come il rullo di un tamburo. Erano le nove di sera, in fin dei conti, si disse a titolo di rassicurazione. Comparve la sua amica Arina, quella che sapeva tutto di sesso e segreti. Non si erano mai perse di vista; insieme a Yelena erano rimaste un terzetto sopravvissuto a guerre, mariti, figli e migrazioni. Era un po’ che non parlava con Arina, impegnata nel settore import-export dall’Asia, sicché quest’ultima rimase giustamente interdetta quando Kavita le chiese se ritenesse possibile che qualcuno che aveva conosciuto il “segreto” potesse essere ancora vivo. Kavita scoppiò a ridere garantendo all’amica di non essere davvero ubriaca. Le raccontò che così, non sapeva per quale motivo, le era venuta la voglia di svelare solo per se stessa – a chi altri poteva interessare del resto – il “segreto”. Chi era e da dove veniva suo padre? Arina, donna pratica, si fece descrivere la foto e la sintetica indicazione scritta. Il ritratto di Pisacà 1938 migrò dal buio e rassicurante cassettone al poggia spartito per violino, sistemato proprio accanto alla finestra che sorreggeva un libriccino, con esercizi su scale e arpeggi, destinato agli allievi di Kavita. Un posto gradevole per uno che amava la musica pensò. Dal poggia-spartito, dopo essere stato scannerizzato da Arina, tornata dall’Ungheria, Pisacà 1938 trovò alloggio in un libro ma dopo un po’ né Arina né Kevì ricordavano quale. Il Tempo aveva tentato di riprendersi “il segreto” ma non aveva tenuto nel debito conto i social. Fu Yelena, la terza del trio, a farsi viva dall’Italia dove era emigrata, attraversando la Romania per approdare a Gaeta. Là viveva, si era sposata e aveva due figli. Segnalava alle amiche a proposito del “segreto” una brutta poesia a cui gli italiani dovevano aver creduto molto. L’aveva scritta un tale Luigi Mercantini, sta su Internet, andatevela a leggere. Ebbene in quella poesia si parla a un certo punto di un’isola, dove Carlo Pisacane si sarebbe fermato qualche giorno svuotando le galere per rafforzare la sua piccola truppa di rivoluzionari. Arina e Kevì trovarono l’indizio deboluccio, non volevano rinunciare alla propria razionalità matura ma, guardandosi negli occhi si accorsero che il segreto li faceva brillare di meraviglia. Ne parlarono a lungo, quella sera, dopo aver cercato e letto la poesia, guardando e riguardando la fotografia di Pisaca’ 1938.
Di nuovo Yelena, italiana di Moldavia, da Gaeta via Skype: Le due amiche decisero di recarsi a Ponza. Era di maggio quando due donne, due valigioni e la custodia di un violino si ritrovarono a navigare, nella luce del tramonto, verso un’isola sconosciuta. Immagine di copertina: Marc Chagall. Le coq rouge dans la nuit. 1944. Quella e le altre immagini a corredo dello scritto (tutte da Chagall) sono state scelte dalla redazione [Pisaca’ 1938 (1) – Continua] Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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