Ambiente e Natura

’A blacca  

di Francesco De Luca

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Un reale assillo dei bagni fatti da ragazzo era la presenza sporca nei piedi, sulle gambe, sul costume, del catrame. Lo si prendeva nei momenti di pausa sulla sabbia della Caletta, o sopra la marina di Calzone Muto, e dovunque, anche sugli scogli c’era l’infida presenza del catrame. Che si attaccava al corpo e ai vestiti. Una vera ossessione. Perché ? Perché quel nero, specie sui vestiti, era difficile eliminarlo. Bisognava buttare l’indumento. O tenerselo così, con una vistosa patacca.

Per decenni abbiamo lottato con la blacca, come veniva chiamata in dialetto, storpiando il nome inglese di black, ossia  ‘nero’.
La presenza nefasta del catrame sulla battigia era causata dall’abitudine colpevole delle navi di pulire le sentine in alto mare, evacuando gli oli e la nafta. In seguito si sono emanate leggi e penalità onerose per chi pratica quella nefandezza. Tanto è vero che oggi non se ne trova più.

Blacca. Ed è da qui, come spesso fa il dialetto, che si sono prodotti nomignoli identificativi come blacchitte: era così chiamato un ragazzo dalla carnagione più scura.
Si trovò anche un facile rimedio: ci si portava dietro, nella borsa da mare, una boccetta di olio e un panno. Con l’olio il catrame veniva via interamente dalla pelle… mentre sui vestiti no, veniva meno soltanto il grosso, lasciando una macchia nerastra.
’A blacca macchia, come a dire che il nero è difficile da cancellare, e perciò non è da tollerare. Un colore che, nella storia degli uomini, ha superato il mero aspetto cromatico ed è diventato ‘pietra di confine’. O di qua o di là.

Ricordo che da studente a Roma comprai un maglione col collo alto. Mi stava bene e lo indossavo sopra un pantalone altrettanto nero. Come un becchino. Fu questa l’espressione con cui mi accolsero i compagni di classe. La cosa non mi sconvolse, anzi, nell’adolescenza è tipico l’atteggiamento di sfida. Ma mi accadde altro. Mi accorsi che taluni compagni mi tenevano lontano proprio a causa di quell’abbigliamento. Dal dopoguerra, in Italia, il colore nero ha condizionato anche l’ appartenenza politica. E spesso la contrapposizione era evidente: chi alzava il pugno e chi vestiva di nero.

Gli anni ’60 rimarranno nella storia anche per le divisioni fra ‘quelli dell’area costituzionale’ e quelli ‘dell’area extra costituzionale’. Che spesso si contrapponevano in lotta nelle strade della capitale.
Contemporaneamente però avveniva che a Sanremo furono ospitati Louis Armstrong e Stevie Wonder, cantanti di colore, e nello sport gli atleti neri furoreggiavano. Ma a me colpivano più le genialità musicali dei cantanti di blues e del soul.
L’atmosfera sociale che veniva espressa in Italia si esaltava nel romanticismo schietto dei cantautori, ma sentire James Brown e Ray Charles o Marvin Gaye proiettava in scenari di consonanza sociale che non poteva non condividersi da me.

Non ho avuto amici di colore e, quando i miei ‘compaesani americani’ mi dicevano d’essersi allontanati dai loro primi appartamenti nel Bronx perché questi erano stati inficiati dai neri… chille puzzano, e storcevano il naso, da lì ho capito che il colore della pelle è soltanto un pretesto per dare consistenza alla maldicenza.
E così i neri sono diventati quelli in cui specchiarmi per trovare la mia umanità più autentica.

Ricordo, a scuola, due coniugi decisero di adottare Layla, una bimbetta nera, di un nero tizzone, capelli crespi e fittissimi, occhi splendidi. Ed è stata l’unica pelle nera che ho avuto modo di toccare. Le sue manine.
L’ho incontrata ieri, signorina ormai, fiera e delicata. Mi ha riconosciuto, mi ha sorriso, e ho ringraziato la sorte che mi ha fatto il dono di capire perché ’a blacca macchia.


Immagine di copertina (a cura della redazione). Macchia Nera (ingl. Phantom Blot, lett. ital.: macchia fantasma) è un personaggio dei fumetti della Disney. Fu creato nel 1939

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