Canzoni

Una canzone per la domenica (286). Laleña, di Donovan

di Sandro Russo

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Delle molte mattate che ricordo dalla mia adolescenza-prima giovinezza a Ponza, la maggior parte erano “di gruppo”, con gli amici poi diventati “storici”: Franco Zecca (anche mio cugino, di due anni più grande di me, Luisa Guarino (mia coetanea, ora ‘direttora’ del sito) e Silverio (suo fratello, di due anni più giovane); con aggiunte occasionali, Fausto Capozzi da Roma e Mimmo di Napoli; successivamente Dante Taddia (ora marito di Luisa).
Facevamo l’inverno ognuno nella sua città e vivevamo per l’estate a Ponza, che era il coronamento di tutti i desideri e della libertà sognata tutto l’anno.
Uno degli eventi che ancora amiamo ricordare quando, seppur raramente, ci si incontra di persona (ma il contatto non l’abbiamo mai perso) è “il giorno delle sarde”La Sardeide o La Sardellanza – che ebbe luogo nella casa dove stavano l’estate a Ponza Silverio e Luisa, sulla Dragonara, per la salita poco più avanti dell’attuale Piccolo Hotel Luisa: un grande cortile e la casa dietro, poco più in basso della strada che continuava a salire verso ’u ciardine del nonno di Ponza, Ciccillo Zecca.

Furono sarde, dall’inizio alla fine, cassette ordinate fresche alla pescheria ’i Mari’ ’i Sciammereca, pulite e poi arrostite con rara disponibilità e abnegazione da nonna Fortunatina (nonna di tutti, non solo di Luisa e Silverio).

Lo ricordiamo tutti come un pomeriggio demenziale, con le sarde che ci uscivano dagli occhi e finì, come spesso ci succedeva, a tirarcele addosso, prima le teste e le lische, poi le sarde intere, cotte o crude che fossero, poi l’intera griglia. Pensarci adesso fa rabbrividire per la scemenza che ci pervadeva, tanto che ancora lo ricordiamo, specie per le battute, i giochi di parole, omettendo per carità di patria il turpiloquio… il tutto incentrato sulle povere sarde.
Anni dopo quasi divenne una moda, il tocco comico-demenziale dei Blues Brothers, ma a quel tempo non pensammo a depositarlo o a brevettarlo: la scemenza ci veniva naturale, anche senza alcun additivo alcolico: niente vino, ma neanche birra.
La sardellanza sai, è come il vento…
Sapore di mare, sapore di sarda… che hai sulla pelle, che hai sulle labbra…
Ti voglio tenere, tenere…legata ad una lisca di sarda, di sarda…
Una mattina, mi son svegliato… o sarda ciao, sarda ciao, sarda ciao, ciao ciao…

Passano gli anni, tanti… vari decenni… e mi ritrovo a ripensare a quel giorno, dopo tanto di quel tempo che ne avevo quasi rimosso il ricordo. In effetti sarebbe stato un peccato dimenticare.
E l’occasione è stata il taglio dello storico campo di kiwi a fianco del casale, dopo circa trent’anni; per vari e giustificati motivi: anche le piante diventano vecchie e l’impianto di irrigazione ancora di più, oltre alla nostra impossibilità a tenerlo ancora in produzione.
Comincia Leonardo, l’amico rumeno che dopo il lavoro con la motosega prosegue col trattore, a raccogliere e accatastare i tronchi tagliati. E a casa, in questo compito, siamo coinvolti tutti. Solo che è una quantità enorme, la legna che si ottiene da un campo di quasi un ettaro; così da ogni direzione, prima lui poi tutti gli altri, cominciamo a lanciarci la parola d’ordine… la legna, la legna!
– Oh quanta legna! …Che ne faremo?
– La legna di qua.. la legna di là. Dove la metteremo? La legna?
– Tié… la legna

E mentre lavoriamo a formare le varie cataste, in ogni recesso possibile, mi torna alla memoria come un’eco la canzone di Donovan, su cui pure a suo tempo scherzammo non poco, intitolata proprio così: Laleña, che è un nome di donna, ma a pronunciarlo suona proprio come l’incubo contro cui abbiamo combattuto per giorni.

Leonardo col fedele trattorino di famiglia, al “movimento legna”

Torna Ponza, nella disposizione dei tronchi per formare la catasta, i più grossi fuori e i più piccoli all’interno, come si facevano una volta le parracine

Ancora presa a Ponza, sulla Panoramica, dove era una volta il deposito d’a ‘mmunnezza, la tamerice non ancora fiorita in primo piano, ad uno degli angoli della catasta

I tronchi secchi sono stati separati dagli altri messi a seccare: saranno bruciati per primi

Donovan, il cui vero nome è Donovan Philip Leitch, è nato nel 1946 vicino Glasgow, in Scozia. Aveva uno stile molto personale, oggi diremmo “intimista”, lanciato sul mercato, a quel tempo, come la risposta britannica a Bob Dylan.

Un vero “figlio del fiori” – ideologia da cui Dylan è stato sempre alieno- , completo di parentesi indiana  [nel 1968 l’artista, deciso anch’egli a seguire la dottrina dello yogi Maharishi Mahesh, raggiunge i Beatles in India; della comitiva in pellegrinaggio fanno parte anche il cantante dei Beach Boys, Mike Love e l’attrice Mia Farrow (fonte Wikipedia).

La canzone “Laleña” è una dolce ballata che sembra racconti di una prostituta; un titolo di grande successo uscito come 45 giri appunto nel 1968.

Donovan è stata una mia passione giovanile e sul sito ci sono diversi brani suoi e citazioni che lo riguardano

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YouTube player

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Testi, inglese e italiano (cliccare per ingrandire)

Per raccontarla tutta – io stesso non lo sapevo -, Donovan ha spiegato da dove gli è venuta l’ispirazione della sua vecchia canzone, nel 2004, all’evento per la promozione del suo album Beat Café (1). Il tema e il titolo gli è stato ispirato dall’attrice tedesca Lotte Lenya, moglie di Bertolt Brecht, che insieme a Kurt Weill ha composto la commedia L’opera da tre soldiThe Threepenny Opera, in cui Lenya interpreta il ruolo della prostituta Jenny Diver. Donovan era affascinato da quest’opera teatrale e quando la vide al cinema, sempre con Lenya, appunto, gli venne la scintilla creativa.

Tornando alla legna – Laleña… Insomma, sono passati gli anni, ma l’impriting ponzese è rimasto, inestinguibile (3).
E non fa niente – come “gli amici” mi hanno fatto notare – se quello che è rimasto non è tanto l’imprinting, ma ’a mattizia. Quella che a Ponza con un certo understatement chiamano ’a botta.
Che è una specie pazzia soave, lieve, che non fa male a nessuno… Chille tène ’a botta!

 

Note

(1) – Un’intervista a Donovan:  https://www.songfacts.com/blog/interviews/donovan
Dopo l’uscita della canzone in America divenne piuttosto frequente chiamare le proprie figlie  Laleña. Fu una moda di breve durata e il nome cadde in disuso. Ma se si incontra una Laleña americana è probabile che sia nata tra  il 1969 e il 1975.
I Deep Purple incisero una loro versione della canzone di Donovan, inclusa in un loro album del 1969

(2) –  L’opera da tre soldi (Die Dreigroschenoper – The Threepenny Opera) è l’opera teatrale più famosa e rappresentata di Bertolt Brecht. Adattando la traduzione di Elisabeth Hauptmann della Beggar’s Opera, una ballad opera dell’inglese John Gay del 1728, con le musiche di Kurt Weill e le inserzioni di ballate di François Villon e Rudyard Kipling, ambienta la storia nel contesto della malavita londinese. Mette in scena un violento attacco di stampo socialista alla società capitalista, ritratta come una banda di delinquenti, ruffiani e meretrici. Il lavoro, che offre una feroce critica del mondo borghese, parodiato e condito da un umorismo cinico dei rapporti umani, fu accolto entusiasticamente fin dalla prima apparizione sulle scene nel 1928 (fonte Wikipedia).

(3) – Imprinting – «impronta impressione, stampa», derivato da (to) imprint «stampare, imprimere»]. In etologia, particolare forma di apprendimento precoce, irreversibile o comunque durevole, di alcune specie animali

3 Comments

3 Comments

  1. Dante Taddia

    19 Febbraio 2024 at 19:33

    Fratello di polpo, grazie!

    La tua Canzone della domenica m’ha rinnovellato tanto calor che ancor m’avvampa e non m’abbandona (i riferimenti di aulica poesia sono puramente casuali) ma a parte le ciance, la Sardellanza è rimasta talmente scolpita nella mente da farci quasi una statua. Scolpire…statua… eh… eh… battuta scema, anzi da ‘mattizia’ come quella che giustamente ricordi per come ci ha coinvolto tutti quanti, noi vero gruppo coeso, all’epoca più giovani ma ancora più matti del solito e certamente non privi di ingegno innovativo.

    E un’occasione del genere non la potevo lasciare senza il giusto riconoscimento: Il 28 agosto 2023 a Ponza, causa condizioni meteo-marine avverse, è stata la sala polifunzionale, ma dicimme ‘i cose ccu’ nomme propitamente atequate, ‘a scola di Via Roma, invece della giusta location adderete ‘a Caletta, che ha riecheggiato della presentazione del mio libro “Andavamo tutti alla Caletta”, dove a pagina 81 fa bella mostra di sé in italico idioma “La grigliata di pesce”, che nello svolgimento reale si legge essere… ‘La sardellanza sai è come il vento’…

    Per fortuna quel vento non ce l’ha portata via, ma l’ha riportata con tutti i dettagli del caso, tanto che la potremmo leggere anche doppe tant’anne comme ‘na botta… ‘i fratellanza!

    Dante
    Frater, octopus pontiensis

    Grazie Dante, ti leggo e ti sento parlare, come se tutto questo tempo non fosse passato!
    Solo una cose devo aggiungere, che i lettori non possono sapere… Che Dante e io siamo diventati “fratelli di polpo” una mattina alla Caletta, dietro la scogliera (verso fuori) quando insieme abbiamo portato un remo sott’acqua a far leva su una roccia per stanare un polpo che vi si era intanato (povera bestia!). Sali e scendi sui quattro-cinque metri… e quando siamo usciti fuori dall’acqua sanguinavamo tutti e due dalle orecchie. Questa un’altra delle ‘mattizie’ di quel tempo felice!

  2. Franco Zecca

    19 Febbraio 2024 at 23:32

    Ah! le sarde, le sarde… Che ossessione! E pensare che una sarda l’ho perfino sposata.
    Ottimo il pezzo, bella la canzone; diventerà un segnalibro della nostra esistenza.
    Grazie, Sandro. Con riconoscenza ed affetto, un abbraccio
    Franco.

  3. La Redazione

    28 Febbraio 2024 at 16:54

    Sui sardi, invece che sulle sarde, da “Posta e Risposta”, la rubrica giornaliera di Francesco Merlo su la Repubblica odierna, a proposito dei risultati elettorali in Sardegna.
    Chissà perché la parola “sarda” fa questo effetto!?

    Gli scrive un lettore
    Caro Merlo, meglio sardi che mai.
    Gabriele Poggiali — Napoli.

    Risponde Merlo
    Io ghigliottinerei tutti i giochi di parole che stanno imperversando: non c’è peggior sardo di chi non vuol sentire, la sarda salata, i sardomasochisti e, appunto, meglio sardi che mai.

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