Manifestazioni

Una canzone per la domenica 284. Arriva il festival di Sanremo, mi faccio in tre

di Luisa Guarino

In occasione di questa canzone per la domenica di inizio febbraio ho deciso due cose: abbassare il livello di cultura e impegno che ultimamente ha quasi sempre caratterizzato la nostra rubrica settimanale, puntando su uno dei massimi eventi nazional-popolari italiani, il Festival di Sanremo che inizierà martedì 6; farmi in tre e focalizzare altrettanti brani, tutti rigorosamente made in Sanremo e tutti vincitori, sebbene in anni lontani tra di loro. Seguo la manifestazione canora della città dei fiori che quest’anno arriva alla 74a edizione da quando ero piccolissima: la trasmettevano per radio e l’ascoltavo con la mia famiglia.

La mia prima hit risale a quell’epoca ed è “Aprite le finestre” cantata da Franca Raimondi, che ha vinto nel 1956: la ricordo come un brano molto allegro, ottimista, che inneggiava alla primavera, e che ancora oggi mi invita a sorridere.

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Dobbiamo fare un salto molto lungo per arrivare alla seconda hit, che arriva con “Canzone per te” di Sergio Endrigo e Roberto Carlos, che ha vinto Sanremo nel 1968, l’anno successivo alla morte di Luigi Tenco: l’avevano scritta Luis Bacalov, Sergio Bardotti e lo stesso Endrigo. Endrigo aveva 35 anni ed era alla sua terza partecipazione alla kermesse sanremese, dopo “Adesso sì” e “Dove credi di andare”: un cantautore affermato, di grande sensibilità e bravura, come avrebbe dimostrato anche in seguito.

Roberto Carlo Braga, conosciuto come Roberto Carlos, brasiliano, aveva 27 anni, bruno, occhi scuri, belloccio (ha fatto anche l’attore), mi piaceva molto. Arrivava al festival dopo aver reso popolare la versione italiana di “La donna di un amico mio”: rimarrà legato alla produzione musicale italiana fino agli anni ’80 scrivendo tra l’altro per Ornella Vanoni (L’appuntamento, Dettagli), per Iva Zanicchi (Testarda) e Raffaella Carrà (Innamorata): le ultime due su testi di Cristiano Malgioglio.

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Ed eccomi alla terza e ultima hit, “Per tutte le volte che… ” di Valerio Scanu, che a vent’anni ha vinto il festival nel 2010: è la più recente, ma sono passate già 14 edizioni. Sono certa che il titolo non dice niente quasi a nessuno, ma se citiamo una certa frase la riconoscono tutti: “… a far l’amore in tutti i modi, in tutti i luoghi, in tutti i laghi… “. Ecco, soprattutto quei laghi non se li è più scordati nessuno. A questo festival tra l’altro è legato un ricordo particolarmente piacevole, perché l’ho seguito a Padova, dov’ero andata per una ricorrenza molto importante, ospite delle mie adorate cugine Maria e Rosanna. Loro avevano, e hanno, altri gusti e anche altri ritmi. Così a una certa ora, dopo cena, un po’ di chiacchiere e una breve visione, se ne andavano a dormire, e io rimanevo in poltrona, con una bella coperta sulle gambe (nonostante i caloriferi, a Padova in febbraio la temperatura è un po’ più bassa rispetto a Latina dove vivo) a gustarmi cantanti e concorrenti in gara, fino a tarda ora.

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Da martedì 6 febbraio ricomincia la kermesse, condotta per la quinta volta consecutiva da Amadeus: credete che me la perderò!? Certo che no. Ma non andrò oltre la mezzanotte: questione… di sopravvivenza. Buona domenica pre-festival.

5 Comments

5 Comments

  1. Guido Del Gizzo

    4 Febbraio 2024 at 17:36

    Le canzoni per la domenica proposte da Luisa Guarino sono molto suggestive, soprattutto per le considerazioni che sviluppa su Sanremo e, indirettamente sul taglio culturale della rubrica domenicale.
    A cominciare dalle sciocchezze che scrive il sottoscritto, l’umanità potrebbe fare a meno di molte cose: ma tra queste c’è anche quello che Sanremo è diventato.

    Sanremo, a mio modo di vedere, è sostanzialmente un indice: di ciò che sono diventate la musica, la cultura e la televisione di questo paese.
    La televisione, per cominciare.

    Orgoglio e prima – assai qualificata – azienda culturale del paese, in un tempo in cui non ci si poneva il problema dell’egemonia culturale, la televisione ha unito il Paese, ha contribuito al suo sviluppo culturale, a cominciare dall’alfabetizzazione: oltre a Sanremo, c’erano lo sceneggiato dei Promessi Sposi e Alberto Manzi, che ha insegnato a leggere e scrivere a migliaia di anziani, e non solo.

    La televisione e Sanremo hanno unito il Paese, creato una cultura e una “grammatica di convivenza” comuni, perfino quando Vasco Rossi, nel 1982, andò via dal palco mentre il playback continuava: a raccontare la rottura degli schemi in atto.

    Cosa ricordiamo dell’ultimo Sanremo?
    Un deficiente che prende a calci la scenografia, senza che nessuno prendesse a calci in culo lui, e l’ostentazione dell’influencer più sputtanata della storia: scusate i francesismi, ma di questo si tratta.
    Se la televisione è diventata, al 70%, una piattaforma di presentazione di prodotti commerciali, Sanremo lo è al 110%: merceologie varie e prodotti musicali costruiti, con largo anticipo, in altri contesti privati.
    E la cultura?
    I democristiani più rigorosi ed ortodossi, come Bernabei, non avrebbero mai consentito il livello di rozzezza, partigianeria e povertà culturale che caratterizza l’attuale offerta televisiva: uno come Amadeus, al massimo, si sarebbe occupato della consegna dei pasti al sacco per i figuranti.

    La televisione oggi, sta svolgendo un ruolo opposto a quello delle sue origini: organizza la continua presenza di personaggi, spesso politici, che dimostrano di non aver presenti i nostri principi fondamentali e, soprattutto, di non capire a che servono, contribuendo a demolirli.

    Le scelte musicali non possono essere oggetto di critica o discussione.
    Però, il livello culturale del nostro innocuo divertissement domenicale, io proporrei di mantenerlo.

  2. Tano Pirrone

    5 Febbraio 2024 at 12:44

    Centratissimo e opportuno commento a quello che è oggi lo specchio della strega in qualche benemerita favola dei tempi andati. Sanremo è un orrore culturale, specchio dei tempi: non critico il prodotto intrinseco, che a me abituato al Jazz, alla Musica Classica e ai Cantautori, fa semplicemente rimettere (meglio, più delicato di vomitare), critico tutto il resto: l’apparire, il famolo strano, l’incisione dei corpi, la meraviglia barocca, l’Inutile e il Superfluo eletti a Categorie di pensiero. Uno scenario prenazista, che mi fa orrore. Volevo bene ad Amadeus perché somiglia a mio figlio Francesco, ma ora è svenduto al “faso tuto mi”, prostituzione in chiave euro; eppure abbiamo ottimi esempi di intellettuali e uomini di spettacolo dignitosi che hanno preferito cambiare aria che soggiacere al clima da “Salò e le 120 giornate di Sodoma”. PPP se ci sei batti un colpo. Puah!

  3. Luisa Guarino

    5 Febbraio 2024 at 20:11

    Commento… ai commenti alla mia canzone per la domenica.

    Volevo dare come titoletto al mio commento “La rivolta degli over”, ma sono over anche io, quindi mi limiterò a rispondere brevemente a entrambi i commentatori.

    A Guido Del Gizzo, in un commento lungo da fare invidia al V.A. (Vincenzo Ambrosino) dei tempi migliori: cerchiamo di prendere le cose con ironia. Sanremo 2024 sarà come sempre una delle cose peggiori di quest’anno, e supererà forse nel grottesco e nel cattivo gusto anche la scorsa edizione. Ma è un tale carrozzone che non si può ignorare: fenomeno di costume (seppure spesso scostumato!?), che mette in moto milioni di euro in pubblicità, e spettacolo dal vivo che riserva imprevisti e novità. Poi c’è la musica. E rimane anche qualche titolo: dello scorso anno ricordo soprattutto “Supereroi” di Mr Rain, e Marco Mengoni che ha vinto con “Due vite”.

    A Tano Pirrone dico che anche io amo cantautori, musica da camera e classica, un po’ meno il jazz (ma vado a tanti concerti… proprio per migliorare la mia conoscenza), però riesco ad apprezzare le poche cose belle che anche un festival di Sanremo sa dare. E ricordo ancora con emozione Tananai e il suo “Tango” del 2023, che parla (udite udite) di una giovane coppia ucraina separata dalla guerra. Viviamo in un mondo mediocre, lo scrive anche Michele Serra: quindi possiamo tenerci pure Sanremo. Poi… c’è sempre il telecomando.

  4. Sandro Russo

    5 Febbraio 2024 at 22:21

    Conosco Luisa Guarino da più tempo “di quanto voi umani potreste immaginare” e i suoi gusti musicali li ho visti nascere ed evolversi. Inoltre ha un marito e un fratello musicisti; il che anche aiuta. Quindi non sono qui a difendere la sua competenza o a discutere sulla varietà dei suoi gusti.
    Ma mi ha fatto sussultare la sua frase iniziale, quasi l’obiettivo che si prefigge, quando scrive: “In occasione di questa canzone per la domenica di inizio febbraio ho deciso di abbassare il livello di cultura e impegno che ultimamente ha quasi sempre caratterizzato la nostra rubrica settimanale, puntando su uno dei massimi eventi nazional-popolari italiani, il Festival di Sanremo (…)”.
    Già dicendo che con Sanremo abbassa qualcosa, è segno che è cosciente che rappresenti un disvalore. Ma quel che le contesto è voler giustificare una sua caduta nel trash (vulgo “pecoreccio”), con il compito di “ridimensionare” la nostra innocente rubrica.
    Cara Luisa, goditi pure il tuo Festival di Sanremo; personalmente non te ne farò una colpa – ognuno ha le sue debolezze! -, ma non impegnarti ad “abbassare” niente e nessuno. Siamo abbastanza “in basso” in tutti i campi e in tutti i sensi, e avremmo bisogno di elevazione, piuttosto, altroché!

  5. Gianni Sarro

    6 Febbraio 2024 at 17:11

    Breve nota sui Musicarelli
    Oggi s’inaugura la 74a edizione del Festival della canzone italiana, che nel corso degli anni ha avuto un rapporto anche col cinema.
    È il 1960 quando Piero Vivarelli diresse “Sanremo, la grande sfida”, vi dice niente questo titolo? Risveglia qualche vago ricordo? Buio pesto? E allora rinfreschiamo un po’ la memoria. È una pellicola che va a curiosare nel dietro le quinte del festival. Sono gli anni dell’esplosione di Celentano, Mina, Modugno, definiti gli urlatori, che si contrappongono ai più tradizionali Nilla Pizzi e Sergio Bruno. Il film rientra nel più vasto genere dei cosiddetti “musicarelli”, in voga fino alla fine degli anni 60.
    Altri titoli ispirati a successi sanremesi sono “Nessuno mi può giudicare” del 1965, che vede tra gli interpreti oltre a Caterina Caselli, Gino Bramieri e Laura Efrikian. Oppure nel 1967 “Riderà (Cuore matto)” con Little Tony, Ferruccio Amendola e Marisa Solinas. Film senza pretese, con l’unico obiettivo di lanciare la canzone del momento.
    Anche Arbore nel suo “FF.SS- Cioè che mi hai portato a fare a Posillipo e non mi vuoi più bene” (1983) ha ambientato una scena del film a Sanremo, dove Benigni si esibisce nei panni di Sceicco Beige che canta “Pillolo”

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