Storia

La guerra del Kippur

di Pasquale Scarpati

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Esattamente 50 anni or sono, inizio ottobre 1973, scoppiava l’ennesima guerra tra arabi (Egitto e Siria in primis) ed israeliani: detta Guerra del Kippur (dal nome di una festività ebraica). Fu l’ultima della tante guerre combattute in campo aperto tra i due schieramenti. Fu un evento molto importante per tutte le conseguenze che ne derivarono.

In precedenza, nel 1967, vi era stato un altro conflitto detto “dei 6 giorni” perché in quel breve lasso di tempo l’esercito di Israele eliminò l’aviazione della Siria, della Giordania e dell’Egitto, occupò le alture del Golan, parte della Cisgiordania ed il Sinai spingendosi fino al canale di Suez. Interruppe così il transito delle navi con grave danno per i nostri porti: Genova e Trieste. Nel contempo per diminuire i costi del trasporto (si era costretti a doppiare il Capo di Buona Speranza) si misero in mare, per la prima volta, super-petroliere di 100.000 tonnellate con le terribili conseguenze quando si spaccavano in due e affondavano. Ed il porto di Rotterdam divenne uno dei primi del mondo.

Quella volta – il 6 ottobre del 1973 – furono gli egiziani a sorprendere gli israeliani intenti a festeggiare ed avanzarono in poco nel Sinai. Ma poi la controffensiva israeliana non si fece attendere e ribaltò la situazione. Ad un certo punto l’esercito della stella di Davide oltrepassò il canale di Suez marciando verso il Cairo. Fu fermato dalla diplomazia Occidentale soprattutto quella statunitense. Ci fu una fase di stallo fino a che non si giunse alla pace di Camp David, quando Begin, primo ministro israeliano e Sadat, presidente egiziano, si strinsero la mano alla presenza del presidente americano Jimmy Carter.

Negli accordi, Israele, tra l’altro, si ritirava dal Sinai; il canale di Suez veniva liberato dalla navi che stavano lì, affondate, e dragato con l’aiuto degli U.S.A.
Ai Palestinesi veniva concessa la “Striscia di Gaza” e avrebbero dovuto coesistere, in pace ( sic!), con Israele. Insomma l’accordo segnava lo spostamento dell’Egitto e di quasi tutti gli altri Paesi arabi nel campo Occidentale.

Non solo, ma quella guerra fu l’inizio della fine dell’Unione Sovietica. Molti Paesi africani e non (che allora si definivano in via di sviluppo) che ruotavano nel sistema sovietico, visto che le armi e la tecnologia sovietica era obsoleta rispetto a quella occidentale – un esempio tra i tanti: i mirage francesi erano di gran lunga superiori ai mig sovietici -, passarono nel campo Occidentale dove l’economia e la tecnologia erano in crescita. Anche per questo, sia pur a distanza di poco più di un decennio, l’Unione Sovietica si dissolse: i suoi prodotti non erano più concorrenziali.
Ciò fu intuito anche dalla Chiesa che elevò, in quegli anni, al soglio pontificio un figlio di una nazione facente parte del Patto di Varsavia, quale ponte tra le due parti e per la fine della guerra fredda. Probabilmente la guerra attuale tra Ucraina e Russia nasce proprio da lì, per effetto della debolezza prima e del “rafforzamento” poi di quest’ultima nazione.
Ma sarebbe troppo lungo e tedioso sviscerare questo aspetto. Preferisco guardare le conseguenze più “terra, terra” ed anche di casa nostra.

Molti Paesi arabi produttori di petrolio che mordevano il freno, presero la palla al balzo e, qualche anno dopo, adducendo come pretesto che noi, occidentali, spalleggiavamo Israele, chiusero i rubinetti del petrolio.
Così come oggi c’è una forte inflazione soprattutto a causa della carenza di gas e del suo costo molto lievitato, poi per il grano e poi per ogni altro “accidenti”, così in quel tempo ci fu una forte impennata di prezzi.
Il latte, ad esempio, schizzò dalle 80/90 lire al litro a 120/130 lire ed aumentava di continuo, da un giorno all’altro (sembra poco ma gli stipendi medi di quel tempo erano sensibili a minime variazioni).
Ricordo che c’era un mugugno generale. C’era chi, addirittura diceva di contraccambiare con la “stessa moneta”: non esportare più in quei Paesi i nostri prodotti. Ma io a costoro rispondevo che non solo era politicamente controproducente, ma che ciò non avrebbe intaccato il tenore di vita di quelle popolazioni perché esse non fruivano dei nostri stessi beni; ciò penso si ripeta nei riguardi di tutte quelle nazioni dove la popolazione, soprattutto quella rurale, non ha il nostro stesso tenore di vita. Così, ancora una volta, le sanzioni economiche sono inefficaci laddove la popolazione si accontenta (o meglio è costretta ad accontentarsi) di poco.
Oltre a ciò ci furono anche altre conseguenze: ci proibirono di usare la macchina la domenica. Era bello e curioso avvertire i passi sul selciato. Fino a che il governo ordinò la circolazione con le “targhe alterne”: una volta potevano transitare le auto che avevano le targhe che terminavano con numero pari e la domenica successiva   era consentito a quelle terminanti con il numero dispari. Poi tornò tutto come prima. O meglio, non proprio.
Nel 1976, mamma Rai, unica emittente del momento, per invogliare gli italiani a stare a casa, fu costretta ad aprire i battenti anche la domenica pomeriggio (prima gli orari delle trasmissioni erano ridotti al lumicino) con il programma “Domenica in” che resiste tutt’ora.
Con l’inflazione, salirono anche i tassi d’interessi sia debitori che creditori, e lentamente anche gli stipendi, e si mise in moto un altro tipo di economia coadiuvata anche da una tecnologia sempre più avanzata.
Questi alcuni effetti di una piccola guerra locale!
Ma, come disse Giovanbattista Vico: la storia si ripete anche se, ovviamente, non esattamente come prima.

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