Esteri

L’Afghanistan dimenticato

segnalato da Biagio Vitiello, da la Repubblica

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Due anni dalla caduta di Kabul
di Alberto Cairo (*) – Da la Repubblica di ieri, 15 agosto

La teocrazia talebana ha cancellato le donne Mai in Afghanistan un regime così cupo
I mullah non tollerano dissensi, la povertà dilaga, le ragazze non possono più studiare. Chi può tenta la fuga anche rischiando la morte
Famiglie che prima vivevano dignitosamente ora si arrabattano

Kabul. Ricevere richieste di aiuto fa parte del mio lavoro di operatore umanitario. Le ragioni sono all’incirca sempre le stesse, problemi di salute e disabilità, disoccupazione, soldi che mancano, problemi con la casa, spese per mandare i figli a scuola o per sposarli, denaro per cominciare piccole attività commerciali o per evitarne il fallimento. Recentemente mi ha sorpreso un nuovo tipo di richiesta: prestiti per brevi viaggi-vacanza. Si tratta di afghani che in vacanza non sono andati mai, al massimo qualche pic-nic o visite a parenti al villaggio. L’ultimo è stato Abdul Qasim una settimana fa. Era imbarazzato. «Ho tre figlie adolescenti», ha spiegato. «Da due anni escono poco, niente scuola, neppure a camminare nel parco sono autorizzate, piangono per un nulla, dicono che non è vita. Vorrebbero le portassi via dall’Afghanistan, qualunque posto andrebbe bene pur di poter continuare a studiare. Mia moglie fino a qualche tempo fa le riusciva a rincuorare, ora piange anche lei. Secondo il medico devono cambiare aria». Andranno per cinque giorni a Bamiyan, la città dei Budda distrutti e la regione dei laghi. «Dici che servirà?» chiede.

Due anni esatti sono passati dal ritorno dei Talebani. Ancora molti afghani non riescono a credere che l’Occidente li abbia combattuti, speso vent’anni e triliardi e infine rimpiazzati con altri talebani. «Siamo punto e daccapo», sento dire, con l’aggravante che l’Afghanistan all’Occidente non interessa più. Dimenticato.

Spesso mi si chiede se i talebani abbiano portato qualcosa di buono. La sicurezza è migliorata, non più guerra con scontri continui, si viaggia senza rischi, la corruzione è diminuita, gli attacchi suicidi ridotti. Si parla di contratti economici con la Cina, di buone relazioni con in Paesi arabi, di crescita delle esportazioni e di riduzione dei campi di oppio. Ma la gente vive male.
L’Afghanistan è una dittatura teocratica che si considera benedetta dal cielo. Mullah e maulawì sono liberi di interpretare le scritture islamiche, nessuna discussione è possibile, sciiti e ismaeliti sono definiti eretici e appena tollerati.
L’etnia pashtun domina, tajiki, hazara e uzbeki sono esclusi. I talebani non fanno misteri, il mondo deve abituarsi a loro, non mostrano di voler cambiare. Sostengono di avere il supporto dell’intera popolazione (cosa non vera), di essere gli unici capaci di garantire stabilità al Paese (vero al momento).
I rapporti della Banca Mondiale dicono che l’inflazione è diminuita, la valuta stabile, i salari degli impiegati statali pagati, la raccolta tasse in crescita. Sarà. Però non si sono mai visti tanti poveri. Famiglie che vivevano dignitosamente ora si arrabattano, più della metà della popolazione ha bisogno di assistenza umanitaria, oltre tre milioni di bambini e quasi un milione di donne incinte o con figli piccoli sono malnutrite. Tante le vedove senza sostegno, tanti i bambini costretti a lavorare o a mendicare.
Ieri l’altro il Ministro dei Martiri e dei Disabili (mai capito perché mettere insieme i morti e i vivi) ha annunciato che gli afghani con disabilità registrati dal ministero sono 180mila, dimenticando che le stime più ottimistiche parlano di oltre un milione e mezzo. Il sistema sanitario non offre loro nulla, sono le organizzazioni straniere a provvedere riabilitazione e protesi.
Dei diritti delle donne si è parlato tanto. Sono state spazzate dalla vita pubblica attraverso una lunga serie di editti e divieti (da ieri nella provincia di Helmand ogni voce femminile è bandita dalle radio locali). Niente scuola oltre le elementari (ma già in alcune scuole per le bambine il limite massimo è la terza), lavoro ostacolato, niente sport, proibito viaggiare senza un parente maschio. Una rete di scuole clandestine è nata, ma i rischi sono enormi. I corsi on line sono accessibili a poche. Come stupirsi se migliaia di donne cadono in depressione, si suicidano? Le organizzazioni afghane e internazionali con programmi a loro favore hanno dovuto cambiare i progetti. Il governo cerca di esercitare uno stretto controllo, introducendo complicati regolamenti, rendendo il lavoro difficile e lento.
NOVE Onlus, la mia organizzazione, sospesi i programmi di istruzione e formazione femminile, si occupa di donne capofamiglia in difficoltà, di donne disabili e orfanotrofi. Da anni organizza tornei di basket in carrozzina tra le squadre di varie province. L’ultimo ieri l’altro. Non ho perso una gara, grande successo, ottimo spettacolo. Ma ricordando i tornei passati, quando anche le donne gareggiavano e il settore femminile era gremito di tifose urlanti, a me è venuta una grande tristezza. Non una ragazza, non una presente.
Come stupirsi se sono tante e tante a voler lasciare il Paese, a esporsi a viaggi costosi e pericolosissimi, a morire sulle spiagge del Mediterraneo.
Gli afghani sono gente forte, resiliente, capaci di mostrare un volto sereno di fronte a gravi difficoltà, ma esistono limiti per tutti. Vivo da oltre trent’anni in Afghanistan, ho visto cinque regimi, questo è il periodo più cupo. Per quanto durerà, chiede la gente. Non è mai stato così soffocante e senza prospettive di futuro.

Abdul Qasim è tornato da Bamiyan. Mi mostra le foto scattate. Il posto è meraviglioso. Le figlie sorridono, la moglie non so, ha tenuto il velo sul viso. «Ci ha fatto bene», dice, spera che i benefici durino. Glielo auguro. Forse dovrei pensare a costituire un fondo prestiti per viaggi-vacanze.

Credo che questo sia il Diario più triste che abbia mai scritto. Chiedo scusa ai lettori.

(*) – Alberto Cairo, fisioterapista, lavora in Afghanistan per NOVE Onlus Ha scritto “Mosaico afghano” e “Storie da Kabul”
Immagine di copertina. Screenshot dalla prima pagina de la Repubblica di ieri, 15 agosto.

[Di Alberto Cairo – Da la Repubblica del 15 agosto 2023]

 

 

 

2 Comments

2 Comments

  1. Biagio Vitiello

    16 Agosto 2023 at 06:36

    Sono passati due anni che gli occidentali (americani, ma anche europei) hanno abbandonato frettolosamente l’Afghanistan, lasciando il paese “in pasto” ai Talebani. Oggi ci siamo ricordati di quel regime barbaro che abolisce la libertà e segrega le donne riducendole a schiave senza diritto alcuno.
    Abbiamo applicato a quel paese delle restrizioni, il cui effetto danneggia solo la popolazione riducendo il paese al 97% sotto la soglia di povertà.
    Nessuno parla mai di questo scempio, forse perché abbiamo tante colpe o forse perché l’Afghanistan si trova molto lontano.
    Tutti parlano della barbara guerra in Europa, tutti parlano delle stragi che avvengono nel mare dinanzi le coste siciliane, ma raramente ci si ricorda della sofferenza del popolo afgano, nemmeno il Papa.
    Sono passati due anni, seguo quel che succede, ma non ho sentito di donne (soprattutto di sinistra, più sensibili al tema), manifestare per la segregazione e le vessazione delle donne afgane.
    L’unica cosa positiva è l’opera molto lodevole che svolgono qualche Onlus di medici e Emergency, le quali non fanno politica ma aiutano quella popolazione bisognosa di tutto, anche di medici.

  2. La Redazione

    18 Agosto 2023 at 07:00

    Proponiamo un articolo sulla condizione della donna in Afghanistan, da la Repubblica di ieri, 17 agosto.

    Diritti
    L’apartheid contro le afghane
    di Daniela Hamaui

    Provate ad immaginare di arrivare in un Paese dove la metà delle persone vive al buio sia di giorno che di notte. In quelle case le finestre sono oscurate da drappi pesanti e all’interno si aggirano dei fantasmi a cui non è consentito fare quasi nulla. Sono perennemente avvolti nelle tenebre, senza sogni e senza futuro se non quello di essere rinchiusi nell’oscurità. Non si tratta però di un film di fantascienza o di una pellicola horror ma della quotidianità delle donne afghane a cui è vietato praticamente tutto. Amnesty International ha stilato un elenco delle cose che le ragazze e le donne afghane non possono fare: andare a scuola dopo gli 11 anni (ma in molte province l’età è scesa a 8), frequentare l’università, passeggiare nei parchi pubblici, fare sport, apparire nei programmi tv, viaggiare oltre 72 km senza il permesso di un tutore.
    Ma quest’elenco, già di per sé simile a una vera e propria apartheid, si allunga di giorno in giorno. Alle donne non è più consentito di lavorare per le Ong straniere e l’effetto di questa decisione si riflette sulle ragazze sole e le vedove a cui nessuno consegna gli aiuti umanitari perché solo gli uomini hanno diritto di ritirarli. Le donne non hanno più accesso ai contraccettivi, non possono comprare una sim né andare in un salone di bellezza perché ormai sono chiusi. E l’ultimo divieto, forse il più assurdo e crudele, è che non è consentito loro di farsi curare da un dottore di sesso maschile, e dato che le donne non possono più accedere all’università e diventare dottoresse, il risultato è che è ormai impossibile per le afghane avere un’assistenza sanitaria.
    Il problema è che la luce l’hanno spenta non solo gli americani, che due anni fa hanno abbandonato l’Afghanistan in mano ai talebani, l’abbiamo spenta anche noi, dimenticandoci di loro, pensando che la cosa non ci riguardi, che sono questioni interne senza riflessi sul resto del mondo. Errore gravissimo perché le ideologie sono come il vento che quando inizia a soffiare non sai mai in che direzione andrà, quali incendi propagherà e cosa si porterà dietro. L’integralismo dei talebani però oramai lo conosciamo bene e sappiamo quanto la loro misoginia e l’accanimento contro la vita delle donne possano essere un modello pericoloso e una tentazione per molti regimi autoritari. Le donne afghane sono state spesso definite eroine per la loro forza e resilienza ma alcune cominciano purtroppo a crollare. Le bambine non capiscono perché a loro sono precluse alcune attività che ai fratelli maschi sono consentite. Alberto Cairo che lavora lì per Nove Onlus, sulle pagine di questo giornale, ha raccontato di un padre disperato che per consolare le figlie così depresse da piangere tutto il giorno si è visto costretto ad indebitarsi per portarle qualche giorno in vacanza e regalare loro un minimo di speranza.
    Shabnam Nasimi, attivista afghana ed ex consulente del ministero inglese per il Reinsediamento e per quello dei Rifugiati, in un articolo per ilGuardian mette in guardia dalla “sconcertante narrativa che suggerisce che i talebani siano forieri di sicurezza e stabilità”. E racconta come il 31 luglio il Dipartimento di Stato americano ha rilasciato una dichiarazione su un incontro tra funzionari Usa e alti esponenti talebani riconoscendo che c’è stata una diminuzione degli attacchi terroristici su larga scala contro i civili afghani. Ma se gli attentati nei mercati o nei centri delle città sono diminuiti, sono invece aumentate le gravi violazioni dei diritti umani contro le donne, le minoranze e chi si oppone al regime.
    E tutto sotto il nostro silenzio e la nostra indifferenza.
    Nei mesi scorsi le ragazze iraniane che, dopo l’uccisione di Mahsa Amini, sfilavano nelle piazze sfidando il regime autoritario degli ayatollah, erano sulle prime pagine di tutti i giornali internazionali. Ora non ne parla più nessuno, nel frattempo anche se il numero delle ragazze uccise è aumentato, sono tornate ad essere invisibili. Ma fino a quando ci sarà anche solo un Paese del mondo dove le donne vengono discriminate, osteggiate e represse, il problema non può essere solo loro, è anche nostro!

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