di Francesco De Luca
Sei figlio di un luogo non perché ci sei nato bensì perché ci intrattieni un dialogo perenne. Porto un esempio, e lo riferisco a me.
‘Aret’ u Cummannanno’ (dietro al Comandante) era la via da me preferita che mi conduceva da casa (‘ncopp’ u Giudicato) in Chiesa. Breve e sicura. Con qualche incognita. Rappresentata talvolta dall’incontro con la ‘muta’. ‘A muta era parente di Luciana, la moglie di Ernesto. Abitava nell’appartamento con l’ingresso in via del Comandante, sovrastante ai locali che si aprivano in Piazza Pisacane, occupati dal bar Welcome’s.
‘A muta, figura paurosa sia perché i capelli bianchi e spettinati acuivano la sua età (sembrava una befana), sia perché compariva di scatto dall’ingresso di casa ed emetteva suoni gutturali che per me, bambino, rappresentavano una minaccia. Non lo erano, ma lo sembravano. Anche perché le paure della mia infanzia erano suscitate da ‘i munacielle, dai ‘morti’ che ci venivano a trovare di notte (il 2 novembre), dalla ‘controra’, da ‘u lupo mannaro, insieme ad altre figure dai modi sgarbati, dai volti turbati. Figure nere.
Aret’ u Cummannanno : così chiamata la via perché il Comandante Civile della Colonia ponzese aveva dimora nei locali dell’attuale Comune, e la porta d’ingresso al suo appartamento privato dava su quella parte del caseggiato, mentre sul davanti si accedeva agli Uffici.
In questa strada in un vano ricavato dall’hotel Feola visita il dottore Isidoro Feola. Nell’anticamera si attende con altri paesani. Stamane, dopo di me, è entrato Silverio Zerbini. L’ozio dell’attesa e la mia propensione alla fascinazione orale mi hanno mosso a chiedergli: “perchè ti chiamano ‘u cursechese? Cosa ti lega alla Corsica?”
Questo è stato l’incipit. Ma io contavo sul fattore ‘relazioni umane’ e… infatti. In certi luoghi e in certe circostanze avviene un’eruzione di… relazioni umane. Incontenibile. Metti la mia propensione, metti il fattore evocativo, metti il luogo che spinge a dimenticare la malattia e a rammentare i benefici dello star bene e… la conversazione si allarga a dismisura.
Lui con la Corsica non ha niente a che fare. Il soprannome se lo guadagnò il nonno che scelse quell’isola come luogo di domicilio prima per sé e poi per la famiglia. Dal nonno al padre e quindi a lui.
“Ma tu che mestiere hai fatto?”
“Sempre il pescatore… o meglio… prima ho fatto il marinaio sui motoscafi di lusso“.
Lo instradò suo fratello, il mitico Jepson. Mitico perché come timoniere del panfilo dei Falk circumnavigò più volte il globo, e anche perché, da ragazzo, giocava da attaccante, con aria decisa, come Jepson.
Dai motoscafi però scappò non appena si profilò l’occasione di lavorare su una barca da pesca. A Ponza tirava aria proficua e infatti si creò, contro tutti i pronostici, una Cooperativa Pescatori. Le alici si tiravano dal mare a quintali, il mercato rispondeva bene. I capibarca si associarono per vendere in autonomia ad Anzio il pescato. L’impresa valeva la pena. Le competenze erano poche ma ci si volle provare.
Lui lavorava con Sciammereca.
L’esperienza fu drastica. Il mercato del pesce sottostà a regole ben diverse dalla perizia in mare.
Sciammereca fu chiamato a impegni a terra e lui prese il comando della cianciola.
Ci furono ancora problemi di gestione. Sciammereca lasciò del tutto ma non lui che si fece coraggio e acquistò una cianciola a Livorno. Se la pagò con un anno di pesca. Ci ha lavorato per oltre un decennio poi il medico gli disse: “se continui con questa vita morirai presto“.
Vendette la barca e si dedicò alla propria salute. Dal dottore Isidoro mica ci va per passare il tempo. Stamattina… c’è la novità che ha trovato me, che lo sprono a esternare il proprio vissuto. Le ‘relazioni umane’ non sono soltanto sfogo ma anche ‘terapia’. Isidoro, il medico, conosce questa strategia perché gli incontri con lui sono infarciti di aneddoti, di fatti strani – che tanto strani non sono – e di umanità.
Saluto ‘u cursechese, che mi sorride contento con la moglie accanto. Mi accommiato dal dottor Isidoro. Mi rincorre con un blocchetto in mano “… non hai bisogno di prendere appunti …?“- mi incalza. “No – gli rispondo – ho tutto con me… ho tutto con me“.