Ambiente e Natura

L’angolo di Lianella/13. La campagna

di Amelia Ciarnella

Le ottobrate romane, come si sa, sono famose. E una splendida mattina di fine ottobre, mio figlio è passato a prendermi con l’intenzione di farmi visitare qualche bel posto di Roma e fare un giro “turistico” attraverso la città, per farmi distrarre. Però le strade di Roma sono un vero caos, ben diverse ormai da quelle del lontano 1960, quando in giro si vedevano ancora le carrozzelle tirate dai cavalli con i soliti turisti a bordo, che potevano visitare qualunque monumento, scendere o sostare in ogni dove, senza problemi di parcheggio né di altro, poiché le macchine erano davvero poche.

Oggi non è più così, specialmente dopo questa pandemia che pare abbia deciso di mettere le radici nel nostro paese, ognuno evita di prendere l’autobus per non rischiare di ammalarsi, preferendo la propria auto. E le strade risultano sempre intasate.

Per questo, noi, dopo aver superato vari intoppi a causa del traffico, abbiamo deciso di rinunciare alla nostra passeggiata e un po’ nauseati, sia dall’aria inquinata, che dal fumo delle macchine, siamo tornati a casa scontenti e insoddisfatti. Questa è la Roma dei nostri giorni.

Un filosofo di cui non ricordo il nome ma di cui ricordo questa frase, affermò; “L’uomo per essere felice deve tornare alla natura!”. Parole sacrosante. Infatti soltanto in campagna si può vivere rilassati e sereni.

Io ricordo con molta nostalgia i primi anni della mia vita trascorsi in paese quando al mattino si svuotava completamente e tutti gli abitanti si trasferivano in campagna dove trascorrevano l’intera giornata. Si mangiava in mezzo al verde. Mia nonna stendeva sull’erba una tovaglia bianca di bucato e sopra metteva le immancabili olive del suo oliveto, messe in salamoia da lei stessa, che era molto esperta e brava in ogni cosa. Le uova fritte, le marzoline: un formaggio di zona molto appetitoso e le salsicce di maiale, che ogni famiglia faceva da sé in casa, poiché era abitudine allevare annualmente un maiale, per poter avere salsicce, prosciutti e lardo per l’intero anno. Ovviamente accompagnava il tutto quel pane fantastico e buonissimo fatto in casa da mia nonna, niente a che vedere e da paragonare al pane che si mangia oggi, che è un vero sconforto! – Il vino era sempre presente. Mio nonno non lo faceva mai mancare, né a sé, né agli altri, e veniva fuori un pranzo luculliano, dai quali si alzavano tutti sazi e soddisfatti.

La campagna è sempre stata meravigliosa con le sue albe, i suoi tramonti, i suoi colori infiniti e in primavera le piantine che crescevano, le contadine che cantavano, i fiori degli alberi che si preparavano a dare i primi frutti, la vigna che cominciava a germogliare e il contadino passando fra i filari controllava bene se tutto era a posto e toglieva le foglie superflue per favorire la formazione perfetta del grappolo dell’uva quando cominciava a spuntare. E già pensava alla raccolta dell’uva e a quanto vino poteva ricavare se tutto procedeva bene senza eccessivo freddo. Poiché l’annata è sempre stata imprevedibile. 

Intanto il contadino continuava la sua passeggiata fra i filari della vigna ammirando compiaciuto la sua bella campagna curata e ordinata, soddisfatto per tutto il lavoro svolto.

Ricordo che sul finire della primavera e inizio estate, moltissime campagne erano impegnate con le piantagioni di lino, poiché a quei tempi il corredo alle figlie, in particolare per lenzuola, federe e tovaglie varie, si faceva esclusivamente con il lino e ovunque si guardasse, si vedevano queste distese di terreno colorate di azzurro, che parevano tratti di mare quando mossi dal vento, producono quelle onde larghe e morbide, che appaiono a volte celeste chiaro e a volte azzurrissime, secondo l’illuminazione del sole. Ed era davvero uno spettacolo che incantava. Questo perché sulla sommità della piantina del lino, alta forse mezzo metro e più, spuntava un fiorellino di colore celeste. Quando poi, tutto il lino era fiorito, guardando da lontano nei giorni ventosi, sembrava un dolce mare in tempesta.

La campagna è sempre stata meravigliosa, ma nei tempi passati aveva un valore di capitale importanza perché si viveva esclusivamente con il ricavato dei suoi prodotti e si consideravano ricchi soltanto i proprietari terrieri.

D’estate c’era la raccolta dei tanti prodotti piantati per le solite necessità familiari. Ed era questo il lavoro più faticoso e impegnativo dell’anno, perché si dovevano raccogliere i vari frutti, molti dei quali si dovevano anche seccare al sole prima di trasportarli in paese e conservarli per l’inverno. Cosa che richiedeva più attenzione, tempo e pazienza, oltre che fatica, di molti altri lavori. Però se l’annata era stata ottima e i prodotti abbondanti, nessuno si lamentava mai, perché non avevano lavorato invano. Si sentivano felici e gratificati. Ecco perché nei tempi passati i contadini cantavano sempre durante il lavoro e nessuno soffriva di depressione come nei tempi moderni.

Ricordo che in piena estate avveniva anche la raccolta del granoturco, che si doveva fare col fresco. Le contadine partivano da casa di notte, per poter raggiungere i terreni che a volte erano molto lontani dal paese e arrivate sul posto, raccoglievano le pannocchie col chiarore della luna e verso le dieci del mattino quando il sole era già alto, ma ancora sopportabile, le contadine sedevano al fresco sotto gli alberi e iniziavano a spogliare, una alla volta, le pannocchie di granoturco. Per loro era anche un lavoro semplice e piacevole da fare, perché si poteva svolgere rimanendo sedute e potevano chiacchierare o cantare, mentre il tempo passava senza che se ne accorgessero.

Poi, in autunno avveniva la vendemmia, un altro lavoro molto simpatico, sebbene abbastanza faticoso, per chi doveva trasportare i canestri pieni d’uva dove era ad attendere l’operaio che guidava il somaro in paese. Per coloro invece che dovevano soltanto tagliare i grappoli e staccarli dalla vite, era proprio un vero svago. Il tempo passava fra una chiacchiera e l’altra e nemmeno si accorgevano di essere arrivati a fine giornata.

Il lavoro veramente faticoso era quello della raccolta delle olive che si faceva soltanto a mano. In genere iniziava a novembre e durava qualche mese. Però dopo questo ultimo lavoro dell’anno e dopo aver riempito le cantine di vino, olio, frutta di ogni tipo e aver appeso sui muri, diversi grossi grappoli di uva, per averla almeno fino a Natale, erano tranquilli. Potevano finalmente riposare e festeggiare felici il Santo Natale.

Questi erano i lavori di campagna che ricordo e certamente anche faticosi, però non si lamentava mai nessuno per il troppo lavoro, ma soltanto quando l’annata era stata scarsa.

Inoltre ricordo benissimo il sapore e l’odore dell’olio di oliva di quei tempi, molto più buono e diverso da quello di oggi. Come pure il sapore delle mele annurche e delle albicocche di allora, che era più intenso dolce e buono di quello di oggi. Forse gli anticrittogamici oltre ad uccidere tanti batteri e animali vari, hanno reso insipidi molti sapori e tolto di mezzo quasi completamente il profumo a molti tipi di frutta: ma soprattutto alle olive e di conseguenza all’olio. Per questo la campagna mi è rimasta nel cuore.

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