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La malèrba dell’insulto sui media

Segnalato da Sandro Russo

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In relazione larga con l’articolo precedente sul ddl Zan (leggi qui), ma valido anche come discorso autonomo, questo intervento di Massimo Recalcati sul dilagare dell’odio sui media (massimamente sui social, per esperienza personale).

Le idee
La gramigna dell’insulto
di Massimo Recalcati – Da la Repubblica del 17 luglio 2021

La politica non esclude affatto il conflitto acceso. Anzi la sua pratica è un modo per canalizzare il carattere acefalo della violenza in quello culturalmente simbolizzato del conflitto tra le idee.
Nel nostro Paese il linguaggio della politica ha conosciuto negli ultimi decenni, in corrispondenza con l’affermazione del populismo prima leghista e poi grillino, una regressione preoccupante alla dimensione dell’insulto, del dileggio, della diffamazione. Una delle più gravi responsabilità politiche del grillismo, prima dello sforzo della sua urbanizzazione provocato dalle esperienze di governo e, più recentemente, dall’azione politica di Conte, è stata quella di aver impregnato il linguaggio della politica di odio rivolto non solo verso le persone ma, ancora più gravemente, verso le istituzioni democratiche.
La stampa e i media che hanno cavalcato questa onda populista si sono fatti interpreti a loro volta di questa alterazione profonda del dibattito politico: il dileggio, l’aggressione verbale, la satira carica di veleno, la dietrologia paranoide, la storpiatura stile fascista dei nomi. L’insulto ha preso il posto del ragionamento, la squalifica morale dell’avversario del confronto laico tra idee divergenti.

Questo clima barbaro che il grillismo ha contribuito in modo decisivo a generare e che i suoi sostenitori mediatici hanno amplificato trasformandolo in prassi ordinaria, è divenuto una tremenda gramigna che infesta ogni confronto politico. Ne è, ai miei occhi, un esempio clamoroso il dibattito sul decreto Zan.
Personalmente non avrei esitazioni a votarlo così com’è, senza emendamenti di sorta. Si tratta di una acquisizione non solo giuridica, ma antropologica necessaria che allinea la nostra legislazione a quelle più mature già esistenti in tutto l’occidente.

D’altra parte non posso, come riformista e uomo di sinistra, non essere colpito dai toni che soprattutto a sinistra questo dibattito assume. Ne sono un esempio sintomatico estremo le dichiarazioni di una iscritta al Pd – prontamente e giustamente allontanata dal segretario Letta – che nel mentre sostiene le ragioni di un decreto che si connota come un fondamentale avanzamento di civiltà, insulta con toni chiaramente omofobi e violenti un rappresentante di Italia Viva come Ivan Scalfarotto che all’affermazione di queste ragioni ha dedicato una intera vita. Sarebbe un episodio in sé insignificante se non riflettesse il clima generale che sta inquinando questo dibattito dove il pregiudizio reciproco impera.

Ne è un esempio l’articolo 7 del decreto divenuto materia di dibattito acceso tra i sostenitori della mediazione politica necessaria per fare approvare il decreto e i fautori dell’approvazione del decreto così com’è.
Nelle intenzioni dei firmatari l’articolo vorrebbe giustamente porre in risalto l’importanza di una prevenzione culturale ampia contro le idee e i comportamenti omotransfobici, tale da coinvolgere le nostre scuole così che la parte del decreto che rafforza le misure penali contro tali reati sia giustamente integrata in una prospettiva educativa più ampia.

Attorno a questo articolo si sta scatenando una contesa che pare non lasciare spazio a mediazioni. Ma davvero pensiamo che per estirpare la gramigna della violenza e del pregiudizio che albergano anche tra noi, sia determinante istituire una giornata nazionale contro la omotransfobia? Non è questa una scorciatoia, una mera illusione? L’azione di prevenzione della scuola contro il pregiudizio o ispira la scuola in quanto tale, nel suo essere luogo di trasmissione di una apertura culturale davvero laica, inclusiva, oppure risulta vana.
Ne è un esempio tragico l’insulto rivolto a Scalfarotto.

Non lo ignorino i sostenitori — tra i quali mi annovero — del decreto Zan, non lo si consideri solo l’acting di una persona sopra le righe.
L’insulto e il disprezzo morale nei confronti di chi matura visioni e prospettive diverse dalle nostre è proprio ciò che il decreto Zan vuole scoraggiare nel nome della libertà di autodeterminazione. Ma il rischio sempre presente quando si operano cambi radicali di discorso è che il nuovo discorso consideri chi resta ad esso divergente come un nemico da annientare senza prestare ascolto alle sue ragioni.

Ci vuole uno sforzo costante, anzitutto personale, per essere davvero democratici. Essere democratici non è una condizione d’essere che si raggiunge una volta per tutte, ma uno sforzo che trova spesso nelle parti più ideologiche di noi stessi il suo ostacolo maggiore. È uno sforzo che dovrebbe trovare nella laicità della scuola la sua incarnazione istituzionalmente più alta, la quale dovrebbe sempre scoraggiare la tentazione fondamentalista di possedere la verità, di essere sempre nel giusto.

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A corollario propongo, scelto tra i tanti, un episodio di NAPALM 51, di Maurizio Crozza, tanto più significativo in quanto trasmesso quasi cinque anni fa: un documento antropologico!

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