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L’attualità delle politiche keynesiane (2). La funzione dei grandi centri studi

di Giuseppe Mazzella di Rurillo

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E’ uscito sul supplemento Economia del Corriere della Sera di lunedì 26 aprile 2021 un lungo articolo del prof. Giuseppe De Rita (nella foto), 88 anni, il più grande sociologo italiano, fondatore del CENSIS, già ricercatore della SVIMEZ e già presidente del CNEL, dal titolo significativo: “Ci siamo persi la classe dirigente (e la colpa è solo nostra)”.

De Rita ricorda le pianificazioni degli anni ‘50 e ‘60 con il Piano Vanoni, il Rapporto Saraceno, il Piano Giolitti, il Rapporto Ruffolo con il fondamentale lavoro di alcuni grandi Centri Studi che furono veri e propri cantieri del lavoro tecnico-politico del pianificare: l’ufficio studi dell’IRI; l’ufficio studi dell’ENI; l’ufficio studi della Banca d’Italia nonché quell’atipico ufficio studi che la fu la SVIMEZ. De Rita sostiene che quegli Uffici Studi, diretti da uomini di valore, per passione e competenza seppero unire la dimensione tecnica con la  dimensione politica.

Aggiungo – condividendo il pensiero di De Rita – che quella passione civile del secondo dopoguerra, tesa alla ricostruzione del paese ed ad affrontare coraggiosamente la questione meridionale, si estese anche a Napoli con il glorioso Centro Studi del Banco di Napoli e la sua prestigiosa pubblicazione Rassegna Economica che vide la direzione di economisti di valore con importanti convegni internazionali che si tenevano nella maestosa sala delle assemblee del Banco nella sede di Via Toledo. Il Banco Di Napoli fu decisivo per l’attuazione delle politiche di sostegno al Mezzogiorno per circa 40 anni, anche con il controllato ISVEIMER.


Sede del Banco di Napoli

Ho avuto l’opportunità negli anni ’90 di frequentare lUfficio Studi del Banco di Napoli diretto da Francesco Saverio Coppola. Indimenticabile e formativa. Fu l’ultima stagione del meridionalismo del più grande istituto finanziario del Mezzogiorno prima dell’accorpamento con Banca Intesa che ne ha lasciato solo il nome senza sostanza.

Anche l’isola d’Ischia ebbe il suo  Centro Studi per iniziativa di 8 studiosi locali nel 1944, e la pubblicazione dei due volumi degli  Atti, Contributi e Memorie dal 1944 al 1984 testimoniano un lungo impegno di partecipazione e valorizzazione dell’isola. Anche il quarto volume degli Atti dal 1999 al 2010 testimonia questo impegno sui problemi e sulla ricerca di soluzione.

Perché  ci siamo persi la classe dirigente e perché  la colpa è solo nostra?

Secondo il prof. De Rita è perché abbiamo smantellato quei Centri Studi che univano la passione alla competenza, la dimensione tecnica con quella politica e si è fatto ricorso alle società di consulenza volutamente e istituzionalmente anonime (non si capisce mai chi vi sia dietro ad ogni documento… con folti plotoni di giovani ben preparati ma che non ci mettono la faccia e quindi silenziosamente irresponsabili).
De Rita avverte un’assenza della politica e il vuoto del tessuto intermedio e suggerisce di “rinsanguare il dibattito politico sul significato profondo dell’attuale Piano di Recovery” riportando quel clima degli anni 50 e 60 dove era chiaro il conflitto tra la scelta occidentale sostanzialmente neocapitalista e quella statalistica sostanzialmente keynesiana. De Rita auspica una ripresa di quel clima di tensione culturale e politica per affrontare l’ emergenza sanitaria e la ripresa economica con nuovi Centri Studi ma pure con “partiti ritornati ad essere soggetti di cultura politica e tecnica”.

L’articolo-saggio del prof. De Rita sembra scritto sul caso dell’isola d’Ischia. Infatti noi siamo un esempio nazionale di buon riuscita dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno. Fino ad un certo punto qui “l’albero che dava pochi frutti” è stato ben curato e non si è commesso l’errore di “appendere dei frutti  sui suoi rami” per dirla con Giorgio Ceriani Sebregondi ( 1916-1958). E fino a quando l’intervento è stato centralizzato, ha messo in luce e in atto le potenzialità dell’isola sia con la costruzione delle grandi infrastrutture sia con le agevolazioni alle imprese.
Negli anni ‘50 e ’60, ed anche ‘80, il nostro Centro Studi seppe coniugare  tecnica e politica. Eppure quegli studiosi non prendevano una lira.

Il  primo volume degli atti del Centro Studi contiene quarantasei comunicazioni, veri e propri saggi, di cui ben dodici di Cristofaro Mennella ( 1907-1976). Mennella da studioso propone: il ripristino dell’Osservatorio Geofisico come Centro di Idro-climatologia; una “economia polivalente” per l’ isola con la floricultura; un secondo anello stradale per l’ isola; un termalismo invernale perché Ischia è “gemma climatica d’Italia”. Proposte ancora attuali o da attuare.
Il secondo volume contiene venticinque comunicazioni e, soprattutto, lo studio urbanistico di Sebastiano Conte e Francesco Rispoli (1984), ancora fondamentale per il sogno della Pianificazione Territoriale dell’isola. Il quarto volume (1999-2010) contiene diciannove comunicazioni, ma anche un’appendice documentaria attualissima: le proposte di un Museo di Storia Moderna ed un ruolo per l’Osservatorio Geofisico.

Ma il tempo nuovo del liberismo e la partitocrazia, fanno perdere voce al Centro Studi che non ha sufficiente ricambio generazionale. Oggi anche da noi emergono le  consulenze ed i  tecnici pronti all’occorrenza, come li definì  nel 1999 l’arch. prof. Ilia Delizia, cioè coloro che fanno progetti finanziati superflui per la collettività.
Nel 2019 ho dedicato quattro numeri de Il Continente alla proposta di una Ricostruzione Programmata, leggendo le Leggi e la Dottrina,  quasi per ritornare a quella passione civile degli anni giovanili del ‘ 68 quando si voleva cambiare il mondo e la vita.

Giuseppe Mazzella, direttore de Il Continente

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3 Comments

3 Comments

  1. vincenzo

    12 Maggio 2021 at 07:57

    Sembra che i conti per il Sud non tornino. Al Sud d’Italia dovevano essere stanziati circa il 70% dei fondi comunitari invece ne arriveranno solo il 40%.

    Se questo è vero, la politica nostrana sta compiendo un ennesimo furto ai danni del meridione d’Italia.

    https://www.lacnews24.it/cronaca/recovery-fund-al-sud-60-miliardi-in-meno-e-ci-dicono-accontentatevi-siete-terroni_136348/
    “Al Mezzogiorno doveva andare circa il 70 per cento dei 209 miliardi di euro destinati all’Italia. Invece ne arriverà solo il 40 per cento. Per giustificare questo scippo salta fuori tutto l’armamentario anti-meridionale, dall’incapacità di spesa alle suggestioni lombrosiane”

  2. Giuseppe Mazzella di Rurillo

    13 Maggio 2021 at 07:56

    La partecipazione al dibattito sui miei pezzi deve essere contenutistica e non essere occasione di elucubrazioni di cui è stato alluvionato il mezzogiorno. Queste possono essere temi per interventi ripetitivi e banali comunque firmati. Il sud ha bisogno di una classe dirigente. Questo il punto.

  3. vincenzo

    13 Maggio 2021 at 10:20

    Ha ragione signor Mazzella: “Il Sud ha bisogno di una classe dirigente” dobbiamo aggiungere “per fare quello che lei propone”.

    La cosa mi sta benissimo. Condivido tutto quello che dice, ma ci sono tanti problemi a questa affermazione: “Il sud ha bisogno di una classe dirigente”.

    Questa classe dirigente non c’è e non potrà esserci.

    Le politiche keynesiane, di conseguenza, non ci sono e non potranno più esserci in questo contesto europeo.
    L’articolo che proponevo parlava di un furto che ancora una volta il Sud sta subendo. Nel Recovery fund, mancano 60 miliardi che dovevano essere destinati al Sud.
    La classe dirigente di cui disponiamo ha pensato di fare questo torto al Sud e noi li dobbiamo anche ringraziare, come abbiamo sempre fatto.
    Comunque, niente da eccepire sui suoi ragionamenti.
    C’era una volta da ricostruire l’Europa dai disastri della guerra e quindi gli aiuti americani per la ricostruzione furono pesanti. Ma ricordiamo che quegli aiuti non erano disinteressati. C’era in piedi dall’altra parte la concorrenza dell’Unione Sovietica che rimaneva un punto di riferimento per le classi lavoratrici mondiali.
    C’era una volta l’Italia che aveva una classe dirigente, che aveva fondato l’Italia come Repubblica Democratica le cui regole sociali, politiche, economiche e spirituali erano state scritte in una Costituzione.
    La visione economica – come lei dice – era keynesiana: lo Stato si prende cura del suo popolo, lo fa crescere in giustizia, libertà e benessere.
    Quanto è durato questo idillio tra popolo e la sua classe dirigente? Venti anni, trenta anni?
    Nel 1981 ci fu il primo tradimento: “Divorzio del tesoro dalla Banca d’Italia”.
    Ma l’Italia aveva una struttura industriale e sociale che funzionava, quella classe dirigente riusciva a manovrare “la barca anche nelle tempeste”.
    Nel 1991 l’Italia era la quinta potenza economica mondiale.
    Ma dopo il 1992 sono successe tante cose e l’Italia, da allora, ancora oggi non si “desta”:
    – Accordi di Maastricht;
    – 2 giugno il panfilo Britannia: la festa del tradimento della Repubblica;
    – L’inchiesta “mani pulite”.
    – Fino ad arrivare ai Governi Monti, Letta e compagnia bella. Governi tecnici imposti dalla Troika.

    Signor Mazzella, detto questo, leggerò con piacere i suoi articoli molto argomentati e cercherò di non disturbarla più. Cordiali saluti.

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