Ambiente e Natura

Vento d’estate (1)

di Silveria Aroma

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Quando l’estate non è ancora nel suo pieno delirio o quando sta per chiudersi, mi capita di riuscire a rubare il tempo (poco) per un tuffo in mare. Il racconto che segue nasce da un bagno a Frontone e dalla vicinanza a una famigliola un po’ rumorosa. Data più di un decennio ormai. Lo scritto prende spunto da un momento e si compone in un’ottica di pura fantasia.

Giugno assolato aveva spinto molti a recarsi al mare. La spiaggia era affollata e rumorosa. La vivace musica proveniente dal piccolo bar accompagnava le discese verso l’acqua e le relative risalite di ventri fresi e gelatinose cosce. Quei pochi istanti di percorso fra il lettino e i flutti erano vissuti come piccoli scorci di passerella. Quanta tranquillità e disinvoltura nel portare in giro riserve di grasso pazientemente accumulato durante l’inverno, nutrendosi come se ci fosse da far fronte a una carestia. E che orgoglio mettere in mostra il lavoro di esperte estetiste, attente a togliere anche il pelo più insidioso e nascosto. Ore di palestra e dolorose rinunce controbilanciate da ore di televisione e dolciumi. E cosa dire dell’abile lavoro del chirurgo; settantenni cadenti con seni da adolescenti. Evoluzione della specie o involuzione mentale?
Un ragazzino con una maschera rossa e blu e i braccioli verde pistacchio seguiva passo passo la sorella maggiore, Chiara.
“Aspettami Chiara!” era il suo grido di battaglia nell’assolvere il compito affidatogli dal padre; controllare la pulzella. Intanto lei si era immersa tenendosi ben stretta al suo conquistatore isolano. Sentendosi perso il ragazzino aveva invocato l’aiuto del padre.
Il genitore si sforzava di mostrarsi moderno e di vedute aperte ma l’ombra di un lenzuolo bianco con una macchia rossa ancora aleggiava, come retaggio ancestrale, nella sua mente.
Dirigente del nord, si sentiva fiero di aver portato la famiglia al mare per le ferie ma quel latin lover in calzoncini gli stava rovinando la festa. Le mire del giovane agitavano i suoi pensieri; la virtù di Chiara, sua figlia, era in pericolo. Tentava di distrarsi parlando con sua moglie mentre il piccolo della famiglia insisteva nel chiamarlo. I suoi braccioli verdi si agitavano fra i bagnanti accompagnando la voce che tentava di spiegare uno sconosciuto peccato commesso. Non sapendo più come attirare l’attenzione disse che avevano fatto tutto. Tutto? Cinque lettere ed il padre balzò in piedi. I due giovani erano in acqua, occhi negli occhi. Sulla loro pelle si potevano scorgere brividi che non erano certo generati dalla temperatura dell’acqua. Una fresca curiosità agitava i loro gesti vincolati dall’impossibilità di cogliere il frutto proibito.
Quando le nostre carni sono turgide e le nostre menti scevre dalla routine siamo troppo giovani per goderne. Quando acquistiamo maturità e indipendenza perdiamo la nostra florida spensieratezza. Triste sorte degli esseri umani. Un po’ come succede a certi vecchi che s’incontrano. Da giovani erano sani ma avevano poco o niente da mangiare, ora che conoscono il benessere e il frigo è pieno, una nuova parola li disturba: glicemia.
Il padre di Chiara, intanto, si era avvicinato alla riva e cercava di controllare la situazione fra i due ragazzi. Se avesse portato il suo sguardo un po’ oltre, avrebbe notato una splendida miscela di colori cangianti fra il verde e l’azzurro, un cielo limpido colato a picco sulla linea dell’orizzonte, avrebbe visto due aliscafi sullo sfondo che incrociandosi si sovrapponevano; uno in arrivo, l’altro in partenza.
Sua moglie, stesa al sole, fruiva serenamente della vacanza e della splendida cornice che aveva intorno. Aveva l’aria di essere una donna avvezza a divertirsi nei momenti di lontananza del coniuge. I venti anni passati insieme avevano segnato solo lui, negli occhi di lei era rimasta l’immagine della bella e vivace ragazza che era stata.
Stanco di guardare aveva chiamato a sé il tentator isolano.
Chiedendo, con fare impacciato, cosa fosse accaduto fino ad allora fra lui e la figlia. “Niente”, era stata la semplice, sommessa – e quanto mai sperata – risposta. Una parola qualsiasi, anche quella, una qualsiasi scusa era il ponte per dar via ad un lungo sermone sui tempi ed i costumi.
A quel punto la piccola peste in maschera e braccioli fece capolino parlando di un bacio del quale era stato testimone. Solo un bacio? Un bacio solo. Beata, stupida giovinezza. Cosa c’è di più bello e profondo di un bacio? La maggior parte delle coppie non smette di fare sesso ma proprio di baciarsi appassionatamente. Perde il diletto, il trastullo per la bocca dell’altro. La bocca; meravigliosa porta di vita, passaggio di aria, nutrimento e parole. Strumento sopraffino attraverso il quale manifestiamo noi stessi sin dai primi istanti di vita. Un bacio. Cosa più di un bacio ci rende complici? Sublime sorso della vita di un altro, suggello senza eguali di un segreto d’amore.

[Vento d’estate (1) – Continua]

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