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Sconvolgente testimonianza su giovani e scuola

di Giancarlo Francesco Maria D’Anna

 .

Da una conversazione privata con un amico di vecchia data, una testimonianza che gli ho chiesto di mettere in forma scritta e di poter pubblicare.
S. Russo

 Subito dopo la laurea, nella seconda metà degli anni ’70, ho iniziato a fare supplenze ma appena vinto un concorso (come bibliotecario) ho lasciato la scuola; sono ritornato solo a metà degli anni ’80, come vincitore di concorso per le superiori. Ma ho ricevuto un’amarissima sorpresa: nella mia precedente esperienza bastava guardare un secondo negli occhi un alunno per capire quanto fosse intelligente e quanto sarebbe stato bravo o in difficoltà; non vi era alcuna possibilità di sbagliare, credetemi. Tornato non era più così: vorrei riuscire a comunicarvi quanto io sia stato colpito dal fatto che begli occhi, straordinariamente vivi ed acuti, appartenevano a ragazzi che purtroppo avevano problemi, il cui cervello era come un po’ costantemente ottuso e irrimediabilmente addormentato, ed arrancavano in tutte le materie.

Provavo (e provo ancora) rabbia perché sentivo che a quei ragazzi la natura, o il Padreterno, avevano donato alla nascita tutta l’intelligenza che si possa desiderare ma che qualcuno o qualcosa aveva compresso, schiacciato e soffocato la loro dote migliore. Chi era responsabile di questo crimine storico avverso i “miei” ragazzi?
Pochi secondi mi sono bastati per intuire qualcosa di cui mi sono convinto sempre più nei decenni seguenti: in quegli anni in cui sono mancato dalla scuola si era diffusa la tv privata, con programmi deteriori ma molto accattivanti (che la tv pubblica era costretta ad imitare), che inchiodavano davanti al piccolo schermo i bambini ed i ragazzi, soffocandoli dalla più tenera età con un profluvio di stimoli che non comprendevano e proprio per questo non permettevano loro di formarsi una struttura conoscitiva.
Era inutile tentare di liberarli dalla loro dipendenza e cercare di portarli a leggere di più, ormai era troppo tardi: i danni cerebrali erano irreversibili.

Una quindicina di anni dopo vinco un concorso all’Università e vi resto diversi anni; ma i tagli al Ministero mi rispediscono ai licei nei quali trovo un’altra, ancora più terribile sorpresa: metà dei miei ragazzi non capiva niente. Nulla. Senza esagerazione.
L’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha pubblicato recentemente un rapporto – Programme for International Student Assessment – in cui gli adolescenti italiani, tra gli 11 ed i 15 anni, sono gli ultimi in Europa per la capacità di capire un testo scritto o orale; precisamente, più del 50 % dei ragazzi di quella fascia d’età non riesce a comprendere una frase semplice, il che è un eufemismo per dire che non capiscono niente.

Certo, una parte di questi riesce con enorme fatica ad interagire con un contesto che sentono molto ostile ed incomprensibile giungendo a far credere di aver capito, ripetendo qualcosa; ma se si chiede di ripetere il concetto senza usare le parole che hanno memorizzato non ci riescono, perché sono solo queste, non quello, l’oggetto delle loro facoltà intellettive.

Ma c’è di peggio: questa situazione causa loro tanta sofferenza (muta o inconscia), per un senso d’inferiorità e di paura verso un contesto in cui sentono di essere del tutto inadeguati, e questi tre sentimenti vengono quasi sempre trasformati in aggressività, in cattiveria, in odio verso tutto e tutti, più o meno represso ma sempre pericoloso e doloroso.

Anche per comprendere la causa di quest’altra involuzione epocale sono stati sufficienti pochi secondi: i ragazzi che dicono di non stare troppo tempo dinanzi ai cellulari, sui vari social e programmi di messaggi, richiesti di precisare quanto sia secondo loro il tempo giusto, rispondono 2 ore o 1 ora e mezza.
In quegli anni che ero mancato dalla scuola si era infatti diffuso l’uso degli smartphone che avevano fornito loro, fin dall’infanzia, la balia e la bambinaia più perverse e subdole che si possano immaginare: le continue, quotidiane sevizie di una serie di stimoli ancora più disgregati e disgreganti la psiche della tv, perché in questa almeno un minimo di consequenzialità al loro interno le trasmissioni la devono mantenere, mentre nei social media no, il loro cervello può essere bombardato in quelle due ore da qualcosa come 500 contenuti (ma forse anche il doppio) completamente diversi, senza assolutamente nessun legame il precedente con il seguente. É facile capire l’effetto sconvolgente che ciò esercita su una psiche tenera, in formazione.


Nota della Redazione

In riferimento al tema, leggere sul sito, di Patrizia Montani (pediatra), gli articoli:
Bambini (4). Libri e telefonini
Bambini (5). Libri e telefonini (seconda parte)
 ;

di Antonio Pennacchi: Il nuovo analfabetismo

***

Appendice del 9 dic. h 21 (Cfr. commento di Vincenzo Ambrosino):

L’intervento della studentessa di Rethinking economics Bologna indirizzato a Romano Prodi.pdf

7 Comments

7 Comments

  1. Rinaldo Fiore

    9 Dicembre 2019 at 14:12

    Se noi abbiamo seminato male che cosa dobbiamo aspettarci da loro? I ragazzi sono una spugna e assorbono quello che c’è attorno… abbiamo dimenticato cosa abbiamo fatto negli ultimi 80 e passa anni?
    Abbiamo fatto una guerra senza che ci fosse la giusta causa e l’abbiamo persa, abbiamo creato la Repubblica più cartacea che funzionale, abbiamo creato due classi di cittadini, la classe dirigente che ha avuto come obiettivo potere, danaro, voti, e una classe di cittadini schiavi e tra le due classi, in assenza dello Stato, si sono affermate tutte le varie criminalità… E che vorremmo che fossero i giovani? Quello che date vi sarà restituito… Questo è quanto sinteticamente… Naturalmente finché viviamo possiamo recuperare… Almeno possiamo sperarlo.

  2. vincenzo

    9 Dicembre 2019 at 14:25

  3. La Redazione

    9 Dicembre 2019 at 20:53

    In considerazione che non tutti i nostri lettori hanno scelto di avere accesso a Facebook, chiediamo a Vincenzo di limitare l’uso dei link e di proporre “in chiaro” i suoi ‘documenti a sostegno’; poi la redazione si occuperà di annetterli all’articolo di base.
    Come facciamo in questo caso, per un articolo del 2017: una interrogazione che una studentessa di Rethinking economics Bologna pone a Romano Prodi

  4. Enzo Di Fazio

    9 Dicembre 2019 at 21:38

    In linea con il bell’articolo di Giancarlo D’Anna vorrei proporre questa “Lettera a Augias” pubblicata qualche giorno fa su la Repubblica

    COMMENTI
    Le lettere di Corrado Augias
    Studiate per fuggire dal carcere dell’ignoranza

    Caro Augias, ricordo ancora la domanda che ci fece il professore di Filosofia il primo giorno di liceo: «A che serve studiare? Chi sa rispondere?». Qualcuno osò rispostine educate («a crescere bene…», «a diventare brave persone…»). Niente, scuoteva la testa. Finché disse: «Ad evadere dal carcere». Ci guardammo stupiti. «L’ignoranza è un carcere – aggiunse –. Perché là dentro non capisci e non sai che fare. In questi cinque anni dobbiamo organizzare la più grande evasione del secolo. Non sarà facile, vi vogliono stupidi ma se scavalcate il muro dell’ignoranza poi capirete senza dover chiedere aiuto. E sarà difficile ingannarvi. Chi ci sta?». Mi è tornato in mente quell’episodio indelebile leggendo che solo un ragazzo su venti capisce un testo. E penso agli altri 19, che faticano ad “evadere” e rischiano l’ergastolo dell’ignoranza. Uno Stato democratico deve salvarli perché è giusto. E perché il rischio poi è immenso: le menti deboli chiedono l’uomo forte.
    Massimo Marnetto

    Risposta di Augias
    L’operaio conosce 300 parole, il padrone 1000: per questo è lui il padrone», era il titolo di una commedia di Dario Fo-Franca Rame (1969); l’idea gramsciana che dovere di un partito di sinistra fosse l’elevazione delle masse era ancora forte – di fronte al deserto culturale della parte opposta. L’ultima volta in cui l’ho sentita enunciare a livello politico fu col primo governo Prodi che dichiarò di voler mettere la scuola in cima alle priorità.
    Nel discorso programmatico del primo governo Conte le parole scuola e cultura non c’erano. Nel Conte due è invece comparso un breve accenno. La verità è che un accenno non serve di fronte alla magnitudine del disastro. Se i dati Ocse-Pisa rivelano che solo un adolescente su venti riesce a decifrare un testo di media complessità, vuol dire che la regressione è galoppante, che leggere su uno strumentino elettronico non serve a niente perché con una comunicazione scheletrica e ripetitiva s’arriva a trasmettere un appuntamento o al massimo un’effusione sentimentale ridotta a «Tvb» (Ti voglio bene). Leggere e scrivere sono un’altra cosa.
    Qualche giorno fa ho partecipato ad un corso per insegnanti organizzato da “Italiadecide” (Associazione di ricerca per la qualità delle politiche pubbliche). Una trentina di insegnanti, per la maggior parte donne, riunite a discutere di cooperazione e apprendimento alla luce dei princìpi costituzionali.
    Sono rimasto sorpreso dalla qualità e dal tenore degli interventi, dall’evidente passione nell’arduo compito di insegnare a generazioni di giovani distratti (attratti) da ben altro.
    A un certo punto una di loro ha detto: «Se offri una visione, il ragazzo ti segue». M’è parsa una frase chiave; «offrire una visione» significa non limitarsi a trasmettere una data, un nome, la località d’una battaglia o d’un trattato, significa completare un fatto, una pagina di testo, una strofa di poesia, una formula chimica, una scoperta della biologia accompagnandola col percorso, il significato, il contesto, il significato della cosa in esame. Poiché la politica è quello che, sulle spalle di insegnanti di questo livello grava l’intero peso di colmare il vuoto rivelato dai drammatici indici Ocse-Pisa.

    Da la Repubblica del 6/12/2019

  5. Pino Moroni

    9 Dicembre 2019 at 22:09

    Bravo Sandro (e naturalmente Giancarlo!) andava pubblicato, ed è tutto vero!

    Ho fatto la mia esperienza a Più Libri Più Liberi: i ragazzi presi dalle informazioni di internet e dai social erano fuori ambiente in un luogo dove occorreva “essere e pensare”.

    Non si torna più indietro. Come dice il mio amico americano, che è più avanti di noi “Atrofia… Atrofia..!”.
    Qualcosa rimane solo se si fanno un selfie con qualche personaggio.

  6. Rinaldo Fiore

    10 Dicembre 2019 at 06:57

    Partecipo di parecchie realtà che mi aiutano a vivere e mi sento fortunato perché tutte danno risultati positivi; so, per conoscenza diretta o indiretta, che questo accade in molte altre nicchie culturali che possono aiutare a risolvere il dramma dei giovani, testimoniata dal docente che ha raccontato la sua esperienza…
    È tutto vero, ma la vita non procede in linea ordinata, piuttosto inserisce ogni tanto, a caso, delle variabili che modificano tutta la sequenza e la storia…
    D’altra parte sappiamo che risollevare questo paese e quindi anche la nostra gioventù potrebbe richiedere qualche centinaio di anni… se tutto va bene e se le interferenze esterne incideranno solo moderatamente…
    Ha ragione il docente ma il futuro non è per niente fissato e quindi facciamoci gli auguri. Anzi vi narro un fatterello… Mio nipote per fargli conoscere le scuole medie vicine lo hanno portato assieme al resto della sua quinta in prima media e qui i prof hanno fatto domande ai ragazzi… Ad una di queste lui ha alzato la mano e ha fatto una lezione a compagni e prof che lo guardavano stupiti… e poi gli applausi.
    Sintesi, alle volte siamo più severi di quanto sia necessario.

  7. Angela Caputi

    12 Dicembre 2019 at 10:27

    Senza ribadire quanto già espresso a commento sul sito dalla collega Luciana Figini, con cui concordo in toto, mi permetto di sottolineare che i ragazzi affidati alla scuola per il loro sviluppo – non solo conoscitivo, ma anche, e più ampiamente, culturale, personale, relazionale, e dunque umano -, sono persone, e come tali vanno rispettate.
    Un docente che sia un professionista sa bene che il suo ruolo non è quello di colui che giudica i propri alunni – tanto meno dalla ‘vivacità’ dello sguardo – in base a pessimistiche e/o ideologiche considerazioni su come siano di scarso valore ‘i giovani d’oggi’, ma di colui che valuta la situazione di ogni singola persona, sia sulla base di prove oggettive, peraltro anch’esse formative (ovviamente), sia sulla base di un rapporto personale, che permetta di individuarne orientamenti, interessi, bisogni e carenze (esistono!), e di fornire risposte, interrogativi e motivazioni adeguate sia individuali che collettivi, in quella che comunemente viene chiamata ‘lezione’ e nella vita comunitaria della scuola. Non esistente allo scopo di riempire come sacchi questi ignoranti fanciulli apatici, poiché apatici sacchi diverrebbero, ma allo scopo di educarli, traendo da ognuno il positivo e gli interessi che è nelle sue possibilità sviluppare. Laddove per educare si intende anche promuovere il senso critico rispetto alla realtà in cui vivono, e per senso critico si intende la capacità di considerare ciò che si ha di fronte e di effettuare una scelta responsabile.
    Sono obiettivi e compiti difficili ed esposti a numerosi fallimenti, ma non fallimentari.
    Certo, per svolgere tale ruolo bisogna vivere nel “qui ed ora”, che insegnanti per professione e passione ed alunni hanno in comune, a meno che non si sia “laudatores temporis acti se puero” (*)

    (*) – Espressione di Orazio (Ars poetica, 173), che attribuisce questa qualità agli anziani, considerandola, insieme con altre, uno dei tanti malanni da cui è afflitta l’età senile: «lodatore del tempo passato, quando egli era fanciullo» (nota della Redazione)

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