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La macchina da scrivere di StevensonLe storie sono come le ciliegie, una tira l’altra (leggi qui). . Tusitala typewriter Robert Lewis Balfour Stevenson aveva smesso di viaggiare, perché stava morendo ormai da troppo tempo; la nera signora lo aveva scovato anche in quella remota isola samoana – ma l’aveva mai perso di vista? Il tramonto era intenso e rapido, non bisognava perderne un attimo. Lo guardarono in silenzio, tenendosi la mano. Pensò ai tramonti e alle albe scozzesi, visti dal faro di Monach, sull’isola di Shilley (***). “…e finalmente quando l’alba chiude la notte e cinge il semicerchio del mare, Nessuno veniva più da tempo a chiedergli di raccontare delle storie al villaggio di Vailima, quelle storie scozzesi che i samoani amavano tanto, quelle storie per cui gli avevano dato il nome di Tusitala, “colui che racconta le storie”. Ormai lasciava fare, ma non credeva più nelle cure, indigene o scozzesi. La cuoca Tahiri cucinava per lui il pesce nel cocco, gli dava i pezzi di carne più pregiati: ma lui mangiava pochissimo. Tahiri si era messa le mani al volto, spaventata: aveva capito. E sapeva quello che succede quando gli dei tacciono troppo a lungo. E sacra lo era per Stevenson, una Hammond che pesava un accidente, una follia portarsela in giro per il mondo, quella era roba da scrittori sedentari: ne era orgogliosissimo, era stato uno dei primi ad averla, mentre i suoi colleghi non si fidavano di quel marchingegno. A lui piaceva picchiare forte sui tasti. Veniva dal futuro quell’aggeggio e lui amava il futuro, del passato non gli importava niente. Ainu il figlio di Tahiri aveva spesso portato Stevenson a pesca e gli voleva bene: era bravissimo col legno, gli dava un coltello e ti intagliava un delfino, una stella, il volto di una ragazza. Chiesero a lui. Gliela portarono di sera, con tamburi e fiaccole : Sentii nitidissimo un suono di cornamuse da guerra, vide la gente del suo clan avanzare nella brughiera. Vide il grande faro di Monach, proprio in cima al monte Vaea. Indicò la direzione con la mano. Otto giorni dopo, il tre dicembre del 1894, quaranta capi giunti da tutte le isole portarono a braccia in cima al Vaea Tusitala, “colui che racconta le storie”, e poggiarono sulla terra la sua macchina magica, ultimo dono dei samoani al loro grande amico. La tomba di Stevenson sul monte Vaea Note (*) – Andrea Bocconi (Lucca, 1950) vive ad Arezzo. Dopo aver lasciato l’insegnamento, si divide tra l’attività di psicoterapeuta e quella di scrittore. Ha scritto Il monaco di vetro (Jaca book/Grandevetro) e Il Matto e il Mondo (Nomina). Questo racconto è stato ripreso da http://www.sagarana.net/home.php (**) – Fanny Stevenson (nata Van de Grift) (1840-1914), già sposata con un certo Samuel Osbourne, da cui aveva avuto tre figli; divorziata, sposò Robert Louis Stevenson con cui visse a Upolu, la principale delle isole Samoa, dal 1890 fino alla morte dello scrittore nel 1894. (***) – Il faro di Monach (Monach lighthouse) o faro di Shillay è situato sull’isola di Shillay, una delle isole Monarch nell’arcipelago delle Ebridi Esterne (Scozia). Il progetto fu affidato ai fratelli David e Thomas Stevenson, ingegneri, ed il 1º febbraio del 1864 il faro venne acceso per la prima volta: I fari di Monach, sull’isola di Shillay: a sinistra il faro del 1864 e a destra il piccolo faro attivo dal 1997 al 2008. Nel 2008 è stato riattivato il faro originale del XIX secolo Immagine di copertina – Teresa Scarpa è Ainu, creatore della macchina che sa le storie. Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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